di Alessio Vianello, portavoce di Verso Nord
Un anno fa, il manifesto di Verso Nord è nato sull’emozione di una domanda chiara e semplice: l’Italia è ancora un paese dove poter immaginare il futuro dei nostri figli? Un’anno dopo, constatiamo che l’analisi fatta allora è confermata drammaticamente in questi giorni e che una risposta positiva ancora non ci può essere. Constatiamo il fallimento inappellabile della Seconda Repubblica, la quale, giunta ormai al tramonto, ci lascia un’eredità che pesa come un fardello:
- un bipolarismo malato ed improduttivo fatto di coalizioni costruite sull’onda delle occasioni, mentre il voto si è trasformato in uno strumento per liberarsi del “nemico”, senza porsi il reale problema di governare;
- una classe politica vecchia e delegittimata. Da vent’anni ormai ci sono gli stessi attori, le stesse facce, le stesse piccole ambizioni personali: a sinistra Veltroni-D’Alema, a destra Berlusconi e la sua corte, al centro protagonisti di altre stagioni che non mostrano di favorire alcun ricambio;
- un paese in ginocchio, situato nei bassifondi di tutte le classifiche di indicatori economici e segnato da numerose piaghe: debito pubblico abnorme, elevato tasso di imposizione fiscale, inefficienza della PA, inefficienza della giustizia, disoccupazione giovanile e femminile galoppante, tasso di crescita zero…
- una conflittualità potenziale enorme, perché è certo che tra un po’ si dovrà pagare il conto. Abbiamo vissuto per decenni sopra le nostre possibilità. Ora emergono grandi e nuove economie. La ricchezza ed i consumi si ridistribuiscono, la vecchia Europa reagisce con lentezza, e l’Italia con maggior lentezza tra tutti i fondatori dell’UE.
A partire da questa analisi noi riproproniamo la stessa direzione di marcia da intraprendere per uscire dalla crisi: Verso Nord, ossia verso l’Europa. È a Nord infatti che troviamo le regole per la stabilità economica, le regole per aprire i mercati chiusi, la flessibilità nel lavoro, la mobilità sociale e il welfare a sostegno di giovani e donne, i sistemi tributari più efficienti, le città sostenibili e la forza per reggere la competizione globale in atto. Serve marciare Verso Nord e serve farlo con pragmatismo e concretezza post ideologica. Sappiamo tutti molto bene che cosa bisogna fare. Il problema è che ogni decisione è giocoforza impopolare. Questa è la nostra missione: rendere popolari e condivise le proposte impopolari che servono per uscire dal disastro in cui ci ha cacciato la Seconda Repubblica. Oggi si può e si deve farlo, perché la Grecia è dietro l’angolo e perché le Borse tremano tutti i giorni.
Ciò che serve lo abbiamo ribadito in tutti i modi e in tutte le sedi:
1) Uno stato leggero, che faccia bene le cose essenziali che deve fare uno Stato e lasci fare al privato quelle superflue e non essenziali. Questo si traduce in un taglio radicale della spesa pubblica: prefetture, province, sedi staccate tribunali, autorità portuali, enti periferici, contributi alle aziende, regioni a statuto speciale, sanità regionali… tutto ciò deve essere accompagnato da una vera riforma federale, strumento ideale per raggiungere questo obbiettivo, attraverso l’imposizione di costi standard veri e la responsabilizzazione dei territori e dei loro amministratori. Non la farsa del federalismo fiscale alla Calderoli che non ha inciso sui costi standard e ci ha portato solo nuove tasse locali;
2) Cambiare il mercato del lavoro con più flessibilità in entrata ma anche in uscita e più tutele al lavoratore nell’arco della sua vita, non più a difesa del posto di lavoro ma dell’impiego. Ridurre le tasse sul lavoro e soprattutto ai giovani;
3) Concorrenza a tutti i livelli (antitrust, poste, autostrade, energia, servizi pubblici locali, professioni tariffe minime, numeri chiusi e divieto di pubblicità);
4) Sburocratizzazione a partire dall’eliminazione drastica dei mille adempimenti inutili per le imprese, che sono ostacolo agli investimenti stranieri. Oggi lo Stato opprime chi vuole investire;
5) Garantire la Giustizia Civile che oggi è allo stallo completo.
Ma il problema è: come imporre al Paese questa agenda? Noi di Verso Nord non abbiamo mai pensato di aggiungere l’ennesimo partitino alla già lunga lista esistente. I partiti sono cose serie, nascono da forti istanze sociali, spesso da atti fondativi anche violenti. Però è indubbio che sia ormai molto diffuso un senso di smarrimento di gran parte della popolazione per il tradimento delle tante promesse dei grandi partiti. Alla vigilia di una competizione elettorale che si prefigura come l’ultima chance che ha il Paese di compiere uno scatto d’orgoglio prima di essere commissariato, l’offerta politica in campo continua ad apparire vecchia e incapace di rinnovarsi.
Il Popolo delle Libertà, ammesso che sia un partito, è identificato inscindibilmente con Silvio Berlusconi. È costruito sulla sua forza economica e asservito alla sue esigenze personali. È il principale interprete del fallimento inappellabile della Seconda repubblica. È il partito che ha sostenuto le leggi ad personam, che ha votato questa legge elettorale oscena, che ha sottratto agli elettori il potere di scelta dei propri rappresentanti ed ha ingessato il paese in un bipolarismo coatto, che ha sostenuto un premier che ha vilipeso tutti gli organi costituzionali e che ci ha resi ridicoli agli occhi dell’intero pianeta. Lo diciamo con chiarezza, per noi l’investitura di Alfano è mero maquillage. Serve ben altro per fare la sezione italiana del Partito Popolare Europeo! Il popolarismo europeo – che ci piace assai, specie nella sua versione laica tedesca – parte da un pacchetto di solidissimi principi, dà ampio spazio al confronto interno, non liscia il pelo agli elettori con promesse che sa di non poter mantenere, non considera gli avversari come dei nemici e soprattutto mette in pensione i leader che perdono. Anzi, non ne ha bisogno, perchè provvedono da soli. Non possono essere gli esponenti del Pdl a tirare fuori il paese dalle secche dove lo hanno cacciato. Con quale credibilità Alfano parla di “partito degli onesti”, quando la platea che applaude è piena di indagati? Prima si chiuda chiaramente con Berlusconi, con i suoi accoliti e i suoi avvocati, togati e non, poi potremmo cominciare a parlare di popolarismo europeo.
Vogliamo parlare della Lega? L’unico partito stalinista ancora in vita, che si regge sull’infallibilità del capo. Si può realisticamente pensare di affidare la riscossa di un paese in ginocchio ad un partito che ha totalmente fallito e tradito la sua sua stessa ragione di nascita, la riforma federale? Il federalismo doveva essere la leva per imporre i costi standard, ridurre la spesa pubblica, sburocratizzare il paese per il rilancio delle PMI. E invece ci ha portato solo tasse nuove, che immancabilmente gli amministratori locali della lega impongono ai propri cittadini. Oggi la Lega è il partito della spesa pubblica, basti pensare all’accanimento sul mantenimento delle Province; è un partito antimoderno, che dice no a qualsiasi infrastruttura in Veneto ascoltando il comitato paesano di turno; è un partito antieuropeista, che difende pochi furbetti tradendo tutti coloro che hanno rispettato le regole europee; è un partito antiliberale, che vota NO al referendum sull’acqua a favore dei monopoli pubblici; è un partito partitocratico, basti ricordare la battaglia per il controllo delle Casse di Risparmio; è, infine, il partito che doveva mandare a casa i ladroni, ma che ha votato tutti i provvedimenti ad personam che Silvio Berlusconi ha portato in Parlamento. Mi domando: cosa serve ancora ai piccoli produttori, ai professionisti, agli artigiani, al popolo del Nord che ha dato ciecamente fiducia alla Lega, per capire il bluff, la fregatura? La fregatura di una proposta chiusa, vuota, che sta portando il paese alla rovina, fatta di slogan vuoti, ampolle, ultimatum ridicoli, stupidaggini come i Ministeri al Nord.
Il Partito Democratico avrebbe una chance di prendere in mano la sfida della modernità e dell’innovazione politica e di dire le cose come stanno, come facciamo noi. “Siamo a terra, ma ci possiamo rialzare. Servono sacrifici di tutti, ma per farlo bisogna tagliare la spesa pubblica e liberalizzare”. E invece no. Non è la sinistra post-referendum e post-amministrative la risposta per l’uscita dalla crisi. E il problema non è tanto il condizionamento di Vendola o Di Pietro. Il problema investe in pieno il Partito Democratico. Abbiamo già visto i primi segnali di incapacità di fare scelte chiare, che lo rendano affidabile per un progetto riformista. Lo diciamo con dispiacere, ma con altrettanta chiarezza. Qui il problema è governare, e con i nuovi Ulivi o le nuove Unioni non si governa! Si vivacchia con mediazioni al ribasso e qui non c’è più tempo per mediazioni. Dov’è il Bersani delle lenzuolate che ci piaceva tanto? Oggi troviamo un Bersani che annuncia che come primo atto andrà a Bruxelles a rinegoziare il patto di stabilità, che vota no al referendume che dice no al taglio della Provice. Ce lo diceva Nicola Rossi: un candidato premier che dice una cosa del genere in questa situazione è inidoneo a guidare il paese, è “UNFIT”, come dicono gli inglesi.
Rimane il Terzo Polo. Noi abbiamo salutato la nascita e guardiamo oggi con grande attenzione a quell’esperienza politica, ma non così tanto da entrarci. È stato importantissimo che la critica al sistema bipolare all’italiana si sia tradotta in un’offerta politica, che coraggiosamente e responsabilmente Casini prima, Rutelli e Fini poi, abbiano denunciato l’improduttività di uno schema politico bloccato e messo a nudo, sia a destra che a sinistra, i limiti degli attuali schieramenti. È altrettanto importante che il Terzo Polo rivolga il suo messaggio politico al campo moderato dello schieramento, che mantenga viva una progettualità finalizzata alla nascita di una nuova casa dei moderati e dei riformisti di stampo liberaldemocratico ed europeistico. Cioè di una casa che oggi non c’è in Italia, per buona pace di Angelino Alfano. Ma vogliamo, con la vicinanza naturale che abbiamo a questa esperienza, ma con altrettanta fermezza, dire che il terzo Polo così com’è oggi, fatto di una somma di sigle, di protagonisti di stagioni passate della politica, fatto esclusivamente di ceto politico, non è sufficiente a rappresentare quella volontà di cambiamento e di innovazione che oggi serve e chiede il Paese. Secondo noi non è sufficiente, non solo perché, fino ad oggi, non ha mostrato la capacità di aprirsi al nuovo, di rappresentare un’avanguardia politica coraggiosa e non solo un centro residuale che lucra sulle disgrazie degli altri schieramenti, ma anche perché non ha ancora esplicitato il suo DNA riformatore, la sua volontà di tagliare di netto la spesa pubblica nel Sud d’Italia e di abbracciare un’agenda di liberalizzazioni. Finchè i partiti che oggi compongono il Terzo Polo non assumeranno con responsabilità decisioni chiare, organizzative e politiche, dicendo al paese qual è la loro agenda di priorità e dicendo che per realizzarla avranno anche il coraggio di sciogliere i partiti di appartenenza e lanciare una costituente di un nuovo partito laico e riformista che dia spazio a nuovi leader, la loro capacità di convincimento della maggioranza delusa dei moderati resterà frustrata. E prevarrà l’idea che il Terzo Polo è una zattera di salvataggio di alcuni parlamentari ma non un progetto d’avanguardia politica e civica.
Avvertiamo quindi il rischio di una chiusura a riccio del sistema. La politica che si chiude nella politca diventa così aliena al cittadino. Per questo, come cittadini, avvertiamo un senso di responsabilità a dare il nostro contributo, assieme al ceto politico più giovane e più coraggioso, per una grande ricostruzione della legittimità e della necessità della politica, rivendicando il diritto di fare politica anche senza essere niente, né ministri, né parlamentari. Certo che oggi è forse troppo tardi per intervenire strutturalmente sul nostro sistema economico e sociale. Ma se oggi la Germania cresce a +4 e noi a zero ciò è dovuto al fatto che più di dieci anni fa il Cancelliere socialdemocratico Schroeder ha varato drastiche riforme sociali ed economiche e che dieci anni più tardi quelle stesse riforme sono state confermate dalla Cancelliera conservatrice Merkel. Quale fiducia possiamo dare noi invece ai nostri illustri politici che, davanti alle telecamere dei talk-show, pontificano sui problemi del Paese e sulle soluzioni da prendere per risolverli? Ci si può fidare di una classe politica del genere? Consentitemi di citare Cacciari: “La seconda repubblica ha fallito. I protagonisti di destra e di sinistra si facciamo da parte”.
Di fronte a questo fallimento, noi ci mettiamo la faccia, e siamo qui per assumerci delle responsabilità. Vi porto un esempio. Oggi nessuno riflette sull’ultimo dato CENSIS: il 42% dei dipendenti compresi tra 24 e 30 anni di oggi andrà in pensione nel 2050 (ammesso che riescano a versare 40 anni di contributi), percepirà meno di 1000 euro al mese. Questo significa che la generazione che oggi si immette sul mercato del lavoro è in partenza una generazione di poveri. Riprendo dunque la domanda iniziale: l’Italia è ancora un paese dove poter immaginare il futuro dei nostri figli? La risposta è sì, può esserlo. Gli strumenti per invertire la rotta ci sono, ma sono drastici ed urgenti e per adottarli bisogna mettere la barra Verso Nord. Ma se i partiti tradizionali non si rinnovano e non hanno il coraggio di assumere fino in fondo le sfide che questa crisi ci pone di fronte, il prezzo più alto lo pagheranno i nostri figli. Se nessuno dei partiti principali dice e fa queste cose, bisogna che qualcuno lo dica e imponga questa agenda di riforme al Paese. Al Paese serve una nuova offerta politica moderata, civica e riformista, che occupi il campo moderato, ma sia alternativa a questo centrodestra illiberale e traditore. Traditore di un’idea liberale di uno stato leggero e regolatore, traditore delle giuste aspettative dei giovani per un sistema sociale che garantisca mobilità e chance di successo per i meno abbienti e che sostenga i bravi e meritevoli. E alternativa anche a questa sinistra, così com’è uscita dalle amministrative e dal referendum, che abbiamo visto incapace di sciogliere i nodi centrali di un vero riformismo di stampo europeistico. Ma non un partito tradizionale. Noi proponiamo una “costituente civica”: un’offerta elettorale prima e politica poi alla maggioranza moderata indignata e silenziosa del Paese, preoccupata ed indignata di come si sono buttati vent’anni di storia e di come nessuno si prenda pubblicamente la responsabilità di questo scempio istituzionale.
A chi ci rivolgiamo?
A chi ha sperato nella rivoluzione liberale di Berlusconi ed ha avuto aumento di spesa pubblica e monopoli pubblici e privati. A chi ha sperato nel federalismo della Lega e ha trovato occupazione del potere locale e nuove tasse. A chi ha sperato nel riformismo di Veltroni e si è ritrovato Bersani sui tetti a lisciare il pelo ai precari pubblici invece di dir loro con responsabilità la verità ed aiutarli ad affrontare la sfida della concorrenza e del mercato. Ai tanti elettori delusi non solo dagli schieramenti esistenti ma dalla politica in sé, a cui non interessa più nulla della destra e della sinistra ma si chiedono perché, pur pagando le tasse più alte d’Europa e col debito pubblico fuori controllo, in Italia i treni sono lenti ed in ritardo, le città allagate ogni alluvione, le scuole arretrate e prive di risorse, i tribunali intasati, le casse per le infrastrutture vuote. E perché mentre loro arrivano a stento a fine mese e non riescono a risparmiare più un euro, gli evasori fiscali non vengono individuati pur essendoci gli strumenti per farlo e perché chi delinque non sconta mai una pena. E si chiedono a cosa serve la politica se non a garantire tutto questo?
Oggi, mentre parliamo, abbiamo la consapevolezza, se non addirittura la certezza, che l’intuizione che un anno fa avevamo solo accarezzato col nostro Manifesto, oggi è concreta, realizzabile e assolutamente necessaria per aiutare il Paese ad uscire dai bassifondi. È una sfida difficile, coraggiosa, che deve essere lanciata al berlusconismo e al leghismo sul loro terreno, contenendo loro l’elettorato moderato deluso, sposando in pieno il modello liberale di sviluppo sociale ed economico, rendendo credibile la nostra volontà di riformare in senso federalistico l’apparato dello Stato e di accompagnare tale riforma con una drastica riduzione della spesa pubblica in primis per finanziare la scuola e dare speranza alle giovani generazioni.
Oggi vogliamo lanciare, per primi, il nostro impegno a costruire con tanti altri, a partire dal Nord, una costituente civica di un nuovo soggetto politico che abbia un DNA radicalmente riformista, un riformismo non negoziabile per un voto in più o per una lisciata di pelo alla corporazione di turno; che parli dritto al cuore e alla pancia delle persone e dica con concretezza che la festa è finita, che gli equilibri globali sono cambiati; che determini un ricambio generazionale del ceto politico della Seconda Repubblica che ha fallito il suo primo obiettivo; che si appelli a quanti nella cosiddetta società civile se la sentono di dedicare cinque o dieci anni della loro vita ad una missione sociale per poi tornare ad occuparsi della loro professione. Che rimetta in moto il paese dopo 20 anni di immobilismo. Tutto ciò potrà sembrare velleitario. Ci potranno rinfacciare che Verso Nord è solo un movimento d’opinione, che i blocchi di potere che a destra e a sinistra si sono tenuti in piedi l’uno con l’altro non cadranno e che per spostare numeri, consenso e voti serve ben altro. Io vorrei rispondere mettendo in evidenza, con pragmatismo e concretezza, quello che Verso Nord ha compiuto nel suo primo anno di vita. In quest’anno di lavoro abbiamo incontrato tante persone e compagni di viaggio con i quali abbiamo condiviso sensibilità e programmi. Ma soprattutto abbiamo condiviso la sensazione di dover giocare una partita nuova, tutta post ideologica, fuori dagli schemi tradizionali. Ora, dai manifesti, dai decaloghi, dalle visioni strategiche, dalle idee forti condivise in questo primo sentiamo di dover passare ad una fase diversa, che è quella della presenza sui territori, del dialogo con le persone, del coraggio di chi mette la faccia nella sua città e dice: “Presente, io ci sono!”. Il nostro ruolo è questo, quello di offrire al Paese, assieme a tanti altri, una via d’uscita dalla crisi. Ed è anche un auspicio. È un auspicio che già da oggi vorremmo riempire di quella concretezza di cui si abbevera la buona politica, per poter dire nei nostri territori che la speranza è concreta, è fattibile assieme a tutti coloro che, senza se e senza ma, se la sentono di giocare in mare aperto. La nuova forza riformatrice del paese si può costruire, una nuova casa dei moderati riformisti è alle porte. Noi di Verso Nord ci siamo. Ma per farcela davvero serve la capacità di rendere popolare il messaggio, di portarlo da Aosta a Palermo, di rappresentarlo attraverso leaders locali ma soprattutto attraverso una leadership nazionale che oggi manca.
Punto. E a capo.
Alessio Vianello, portavoce di Verso Nord
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