E’ giustamente interdetto il governo del paese a chi non trova parole per giudicare un cambio di potere e di strategia quale quello avvenuto ad Unicredit. Un cambio di regime, non dissimile ad una tornata di elezioni politiche. Clamoroso l’esito, ancora più clamoroso il silenzio che si è levato a sinistra, a parte qualche borbottio di salotti editoriali. Dico subito che non è facile decifrare lo scenario. E proprio per questo sarebbe stata preziosissima una bussola politica per capire che siano i buoni e chi i cattivi.
L’estromissione di Profumo, lo spiega oggi Giavazzi sul Corriere della Sera, colpisce l’autonomia di un manager che voleva internazionalizzare la sua banca, pensando che fosse , appunto sua. Un manager efficiente, sicuramente preparato, e indubitabilmente di richiamo. Un nome di successo.
L’unico dettaglio che non tornava era che la banca non era sua.
Mi pare davvero singolare dopo mesi di lamentazioni sul turbo capitalismo e sul potere solitario di managers che si sostituiscono a tutti i proprietari, quelli legali, e quelli sociali, come i territori dove agiscono, attribuendosi guadagni e ruoli sproporzionati per ogni singola creatura del creato, ebbene dopo tutto questo oggi vedere le stesse vestali che criticano i samurai del mercato piangere per Profumo.
Unicredit, nel bene e nel male è una conglomerata. Giavazzi spiega che Profumo voleva farne una banca unitaria, ossia una banca verticalmente soggetta ad una sola volontà. In realtà Unicredit è una federazione di banche , che a loro volta, come gli istituti locali che le compongono, sono forme associative di più soggetti che hanno come unico rilievo comune il radicamento su uno stesso territorio.
Giusto o sbagliato, discuteremo. Il dato è questo.
Così come il fatto che il territorio è l’unico soggetto che al momento ha titolo per entrare nel mercato temperando, in maniera non dirigista ma socialmente equa, gli istinti speculativi di gestori finanziari proiettati solo a realizzare performances numeriche.
A fare impazzire la maionese è il fatto che dietro quei territori, e di conseguenza dietro le componenti di Unicredit, oggi si intravvede il profilo di Bossi. La lega , come forza egemone, si è identificata con l’autonomia, anche economica dei territori, e usa, cinicamente, questa sua caratteristica per orientare in senso paraclientelare, le sue propaggini finanziarie.
Si colgono qui due corni del problema: uno strategico e uno tattico. Quello strategico è il fatto che in un mercato frenetico ed automatizzato, convulsamente teso ad operazione di guadagno immediato, l’unico fattore che può introdurre una logica sociale e produttivistica nell’uso delle risorse finanziarie è appunto la comunità locale. Questo vale negli USA di Obama , come in Italia. L’unica opzione di democratizzazione dei mercati è proprio la dialettica fra poteri locali e risorse finanziarie. In questo snodo si intravvede l’unico spazio di negoziazione con quelle potenze economiche che ormai sfuggono ad ogni controllo e relazione, come appunto i capitali transnazionali.
Lungo questa strada dovrebbe reincamminarsi una sinistra di governo. Dico re incommainarsi perché questa fu la strada della cultura delle autonomie locali e del welfare comunale che negli anni ’60 portò la sinistra al centro della scena italiana. Ovviamente ad oscurare il quadro c’è un dato specifico, la componente tattica del nostro ragionamento. Come abbiamo detto la dialettica dei poteri locali viene stravolta dal ruolo della Lega. Un ruolo al momento tutto strumentale, proteso all’accaparrarsi potere e spazi di interferenza economica. Un ruolo che già annuncia quello che, a mio parere , sarà il vero conflitto politico costitutivo della terza repubblica: lo scontro con il sistema Tremonti. Non sarà sfuggito a nessun che sul tema Unicredit i due gemelli della politica nazionale -Bossi e Tremonti – si siano trovati su sponde opposte. E proprio questa contrapposizione ha fatto abbassare i toni ad entrambi, che capiscono come non sia ancora venuto il momento per uscire allo scoperto, che bisogna ancora giocare ai due compari per sgombrare il campo dagli outsiders. Ma è proprio in questo gorgo che si sta disegnando la nuova Italia. Nel silenzio generale. Così come appare singolare l’intera fra nord e sud, fra lega e potentati romani e sociliani che il voto di ieri nel consiglio di amministrazione di Unicredit ha sancito con la convergenza di fondazioni del nord e rappresentanti dell’ex capitalia e dell’ex banco di Sicilia. Che sta accadendo? Chi sono i buoni e chi i cattivi? Il nuovo governo Lombardo in Sicilia è cosa diversa da questa vicenda? E il nuovo partito berlusconiano del Popolo Siciliano fondato da Miccichè parla ad altri o no?
Insomma grande confusione sotto al cielo e la situazione è davvero terribile. Mi permetterei di porre un quesiti in vista della direzione del PD di domani: invece di discutere di veltroni e Bersani ci dite:
1) che pensate di quanto accaduto in Unicredit?
2) a parte il fatto che Profumo sia bravo e simpatico e le fondazioni bamcarie siano antipatiche e oscure, qual è il criterio per riformare i mercati finanziari se non introdurre un vincolo sociale sulle strategie delle banche?
3) Il gioco dei tedeschi nell’operazione non rischia di spossessare questo paese anche dell’unico soggetto finanziario globale e quali le alternative?
4) Se in Unicredit profumo deve aver la possibilità di gestire la sua strategia , senza interferenza questo principio vale anche per la Fiat di Marchionne?
5) Nell’eventualità di un conflitto fra poteri verticali , vicini a Tremonti, e poteri orizzontali, vicino alla Lega, la sinistra con chi stà?
Domande complesse, lo so, e anche contraddittorie, ma come diceva il presidente mao la rivoluzione non è un pranzo di gala. E nemmeno le riforme.
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