La sfida che ogni metropoli si ritrova ad affrontare è quella della diminuzione del consumumo di combustibili fossili con il conseguente miglioramento della qualità dell’aria e della spesa energetica. A questo riguardo è riconosciuto che la pressione maggiore viene esercitata dall’uso privato delle automobili che la gran parte di noi giornalmente usa in maniera massiccia. Il dato è che oggi le nostre città e tutto il nostro sistema di vita sono disegnati in funzione dell’uso di questo mezzo. L’auto stessa rappresenta nella nostra economia urbana torinese un tassello molto importante, anche se molto meno rispetto al passato, e quindi la resistenza a modificare la nostra mobilità a favore di soluzioni che diminuiscano questo tipo di locomozione è grande. Il filone maggiormente in voga tra i nostri amministratori – a dire il vero trasversale a tutti gli schieramenti – rimane quello di pensare che nuove automobili con migliori prestazioni di consumo ed emissioni inquinanti ridotte risolveranno il problema. Sarà così? Chi studia questi problemi non lo pensa e per dimostrarlo rilancia un’argomentazione che un economista britannico, William Stanley Jevons, pubblicò nel1865 nel suo libro “The Coal Question”, la cui validità non è stata smentita fino a oggi. Jevons osservò che l’uso del carbone era aumentato, anzichè diminuire, dopo l’introduzione dei motori a vapore che ne consumavano di meno. Il risultato dell’equazione non cambierebbe, al giorno d’oggi sostituendo il termine carbone con altri esempi più attuali. Ad esempio usiamo internet molto di più in termini di volume e di ore di collegamento rispetto a dieci anni fa, quando le connessioni erano più lente: oggi scaricare una pagina di internet è molto più veloce rispetto al passato, ma ciò non ha portato ad una diminuzione del tempo totale di connessione, anzi al suo aumento. La stessa cosa accade con l’auto: il miglioramento dell’efficienza e il minor consumo al chilometro non provoca una diminuzione del consumo totale e delle emissioni inquinanti, ma al contrario la aumentano. Così come avviene con i condizionatori di aria fredda in estate. In sostanza stiamo sbagliando l’obbiettivo finale, pur tenendo conto che il miglioramento dell’efficienza delle auto e di tutte le altre tecnologie deve essere perseguito con costanza e senza cedimenti. Il vero bersaglio, quindi, non è l’automobile in sé stessa, ma il come e il perchè viene usata. Una soluzione strutturale potrà quindi nascere quando ci porremmo la giusta domanda sul perchè aumentiamo sempre più i chilometri percorsi: è proprio il disegno delle nostre città che oggi non funziona più. E questo è un argomento squisitamente di competenza delle nostre amministrazioni comunali che finora non sembra mettano grande coraggio nel risolvere il problema in questa chiave. Se infatti non sarà possibile risolvere il problema con il miglioramento dell’efficienza dei mezzi pubblici, bisognerà iniziare a pensare a un diverso disegno degli insediamenti delle attività produttive, degli uffici pubblici, del ricollocamento delle aree abbandonate, delle volumetrie dei nuovi edifici e via discorrendo: in sostanza il problema dell’inquinamento e del consumo di energia nelle nostre città si intreccia in maniera sempre più stretta all’urbanistica, al disegno e collocazione dei centri di scambio, consumo, ai punti di interesse pubblico amministrativo e sociale. Un esempio è quello di Manhattan a New York, dove, per assurdo, l’uso delle automobili da parte dei cittadini è limitato e le performances ambientali sono tra le migliori al mondo tra le grandi metropoli. Dare quindi i corretti obbiettivi all’azione delle nostre amministrazioni cittadine è forse il vero punto di svolta per migliorare il nostro futuro economico e ambientale, lasciando perdere discussioni mediocri e prive di fondamento che ci distraggono dalle vere soluzioni.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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