I ticket sanitari hanno un impatto sulle famiglie maggiore dell’Imu o dell’Iva, producono una diminuzione delle prestazioni specialistiche e provocano una diminuzione del gettito nelle casse dello Stato. Queste le conclusioni del Presidente dell’Agenas (l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) Giovanni Bissoni derivanti dai dati presentati da uno studio condotto dalla stessa Agenas e presentato il 9 maggio scorso. Per maggiore memoria, i dati si riferiscono al superticket introdotto nel 2011 dalla finanziaria firmata dal Ministro Tremonti e che avrebbero dovuto compensare un mancato finanziamento al Sistema Sanitario Nazionale di 830 milioni, mentre la stima del gettito ottenuto è di soli 244 milioni. Ma gli effetti negativi prodotti non si fermano al solo versante finanziario, registrandosi ad esempio una flessione del 17.1 % di prestazioni specialistiche da parte di cittadini esenti, non attribuibili certamente ad una maggiore appropriatezza delle prestazioni, tenendo anche conto solamente del profilo epidemiologico della popolazione. Riduzione delle prestazioni che danneggia doppiamente il Ssn che realizza entrate molto al di sotto delle stime iniziali ma con costi fissi inalterati. La maggiore flessione riguarda in maniera più marcata gli esami di laboratorio. Per farla breve – e dare un numero significativo – gli effetti del superticket tremontiano si aggirerebbero in media a circa 400 € a famiglia. Come altre volte, quindi, bisogna porre maggiore attenzione alle spese nemmeno tanto nascoste che una tassazione sprovveduta produce e smettere di considerare prioritari falsi obbiettivi politici come quelli dell’Imu.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
Bisognerà valutarla nel suo testo finale, ma l’addio al ticket sanitario a favore di una franchigia potrebbe risultare interessante soprattutto per chi usfruisce dei servizi sanitari. Il sistema prevederebbe di abolire esenzioni e ticket così come li abbiamo conosciuti per far posto ad un altro tipo di compartecipazione che prevede ogni anno una spesa massima individuata a seconda del reddito e non più della patologia. Poniamo come esempio quello di due cittadini che guadagnano rispettivamente 40mila e 120mila euro all’anno. La quota i compartecipazione stabilita si aggirerebbe al 3 per mille sul reddito. Il primo pagherebbe in un anno, se fruisce di qualsiasi prestazione che costa di più, 30 euro mentre il secondo fino a 300 euro. Le successive prestazioni oltre quel valore non si pagano. Il sistema sarebbe poi ulteriormente corretto modulando la quota in funzione al numero dei componenti della famiglia e alla presenza di anziani e disabili, oltre alla possibiità di scalare anche le spese verso al sanità privata per evitare la fuga dei redditi più alti verso le strutture non pubbliche e lasciando inveriati i costi di quelle pubbliche. Il sistema effettivamente contiene elementi di equità e omogeneità, tenendo conto del dato attuale dove alla fine un italiano su due non paga ticket e l’esenzione del pagamento per patologia avvantaggia non poco chi ha redditi alti. Semplificando forse in maniera eccessiva si potrebbe dire “pagare meno per pagare tutti”! Tenendo infatti fermo il sistema attuale del ticket che viene pagato ogni volta da chi non è esente, chi ha bisogno di sanità può arrivare a sborsare tra i 500 e i 1000 € l’anno, sistema che non permette certamente un ulteriore aggravio dei ticket così come stabilito, tra l’altro, dalla legge a partire dal 2014. Non da ultimo bisogna sottolineare un certo guadagno in trasparenza dove oggi esistono zone davvero oscure nel capire chi paga e cosa paga. Le prese di posizione contrarie sono certamente da tenere in considerazione e da ascoltare attentamente, anche se sembrano gravate da ideologismo e poco efficienti ed efficaci sia dal punto di vista della pubblica amministrazione, sia dal punto di vista di cosa e quanto pagano i cittadini: lasciando le cose come sono la perdita di equità e l’aggravio per i cittadini sono garantiti.
(via Italia Futura) di Walter Ricciardi
Direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università Cattolica di Roma e dell’Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni Italiane. E’ il primo Editor non inglese dell’Oxford Handbook of Public Health e componente non americano del National Board of Medical Examiners degli Stati Uniti d’America
Quello dei ticket è l’ultimo intervento del Ministero dell’Economia in ambito sanitario introdotto senza prendere in alcuna considerazione le implicazioni sulla salute dei cittadini, in particolare di quelli che, avendo redditi limitati, opteranno per beni primari quali alimentazione e casa, prima di ricorrere a servizi di prevenzione, diagnosi e cura che potrebbero salvargli la vita e che dovrebbero essere già finanziati dalle tasse e gestiti da manager competenti in grado di conciliare la qualità dei servizi con le sempre più scarse risorse disponibili. (altro…)
Certamente fa un po’ impressione l’esitazione del governo regionale del Piemonte di fronte ai ticket sanitari. Da un lato ci pensa il Ministro della Salute Fazio a chiarire due cosette che dovevano essere già chiare agli amministratori piemontesi: da un lato ogni regione dovrà far fronte da sola all’eventuale rinuncia all’applicazione, dall’altra viene chiarito come le Regioni che stanno attuando un piano di rientro concordato per ripianare il deficit non potranno abolire il ticket. I rimedi suggeriti dimostrano anche lo stato confusionale di chi elargisce consigli per la cura del problema. (altro…)