In tempi di dibattito sul come uscire dalla crisi e sul partito del lavoro ai giovani – chez Mentana – stride il dato italiano sulla percentuale dei laureati nella fascia tra i 30 e 34 anni. Mentre in Europa la media è del 34,6 %, in Italia solamente il 20.3 % degli under 34 possiede un titolo di Laurea. Il dato appare ancora più sconfortante se paragonato a Germania (30.7%), Spagna (40.6%), Francia (43.4%) e Gran Bretagna (45.8%). Conseguentemente lo stesso obbiettivo europeo per il 2020, che è del 40%, appare fuori da ogni sogno per il nostro Paese che punta al massimo al 27%. Questo dato rappresenta una preoccupazione importante per la Commissione Europea che considera questa come una debolezza “strutturale” del nostro Paese, accompagnata dal problema connesso degli abbandoni scolastici. Se dunque può avere un senso riconoscere il merito a chi lo possiede, il problema più ampio, da aggredire immediatamente e con forza, rimane quello di preparare il futuro di chi sarà domani il cittadino italiano fornendo una preparazione diffusa migliore e di qualità “almeno” europea. Non basta quindi crogiolarsi nel falso dato che gli italiani di oggi non sono mai stati tanto istruiti rispetto al passato, perchè gli assi cartesiani devono parametrarsi con ciò che accade negli Stati con cui condividiamo un’area economica, culturale e – ancora non completamente – politica tra le più sviluppate nel mondo. Questo significa essere davvero europei
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
Segnalato dall’Inkiesta proprio nei giorni degli esami di maturità, fa un certo effetto sapere che in Italia il tasso di abbandono scolastico è pari a circa il 18% della popolazione compresa tra i 18 ed i 24 anni. Il dato risulta certamente ancor più preoccupante se si considera che la Strategia Europa 2000 pone come obbiettivo ai Paesi Europei una percentuale del 10% e che la media europei di abbandoni è intorno al 14%. Se le motivazioni possono essere le più varie, il problema risulta non di poco conto nel momento in cui l’Italia vorrebbe candidarsi a membro del gruppo di testa dei paesi industrializzati e tra i leader dell’innovazione tecnologica. Una riserva di giovani senza competenze o strumenti di conoscenza da impiegare come arma anti disoccupazione non potranno certamente aiutare il nostro Paese nel mantenere gli stessi livelli di benessere e a sviluppare l’occupazione stabile. Anche se purtroppo tutto questo sembra abbastanza dimenticato nelle priorità di azione delle forze politiche sia a destra che a sinistra.
Per dire come dovrebbero funzionare le cose faccio un piccolo esempio. Negli Usa, dallo scorso dicembe, i ministri dell’educazione e del tesoro hanno lanciato un progetto di educazione finanziaria nelle scuole, così come avvenuto anche in Gran Bretagna. Il motivo è semplicemente dato dal fatto che la recente crisi economica ha messo a nudo il fatto che la popolazione non possiede le nozioni base su come si gestiscono i mutui, i contratti di acquisto di una casa o le proprie scelte pensionistiche. L’idea è che l’abc su questi argomenti va conosciuto prima e non dopo l’aver fatto questo tipo di scelte. Una carta di credito mal gestita, i mutui subprime e altro ancora appartengono a decisioni che sono prese in prima persona dalle singole persone, ma che a lungo andare possono coinvolgere interi capitoli di debito pubblico indirettamente, ma anche direttamente. Per non parlare delle semplici risorse di una famiglia: fenomeni che possono non apparire per periodi di tempo anche medio-lunghi, ma che quando esplodono non sono rincorribili. Certamente rimane la consapevolezza che tutto ciò può non essere sufficiente, ma sicuramente è meglio che niente. Senza fare tante parole e stracciarsi le vesti, bisognerebbe ispirarsi a questo tipo di pragmatismo utile e farne tesoro anche noi.