Avere una forza lavoro ben pagata, con un più alto livello di benessere fisico ed un maggior livello di istruzione, rende i lavoratori più produttivi e il paese più ricco. Insomma, mentre i responsabili della politica economica europea si concentrano esclusivamente sui tagli alla spesa pubblica, ignorando gli effetti depressivi che questi in generale hanno sulla domanda aggregata, l’esperienza cinese degli ultimi decenni ci insegna che è particolarmente importante sostenere il settore dell’istruzione e della sanità (…).
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
L’8 luglio è stato presentato il nuovo Rapporto sull’uso dei farmaci in Italia nel 2009 dell’Osmed (consultabile qui). In sintesi
• Nel 2009 il mercato farmaceutico totale, comprensivo della prescrizione territoriale e di quel- la erogata attraverso le strutture pubbliche (ASL, Aziende Ospedaliere, Policlinici Universita- ri, ecc.) è stato di oltre 25 miliardi di euro, di cui il 75% a carico del Servizio Sanitario Nazionale. In media, per ogni cittadino italiano, la spesa per farmaci è stata di 420 euro.
• La spesa farmaceutica territoriale complessiva, pubblica e privata, è in leggera crescita ri- spetto all’anno precedente (+1,4%), mentre quella a carico del SSN diminuisce dell’1,7%, questo andamento è spiegabile in larga misura da un aumento delle compartecipazioni da parte dei cittadini (ticket +33,3%), dello sconto (+25,6%) e da una diminuzione dei prezzi (-3,2%). Nella valutazione di questa riduzione bisogna tener conto che una quota della pre- scrizione è stata erogata tramite forme diverse di distribuzione quali la diretta e la per con- to. Questa modalità di distribuzione incide mediamente nelle Regioni in cui viene adottata per circa il 22%, con livelli superiori al 30% in Emilia-Romagna e Toscana.
• Come già osservato nel 2008 la Regione con il valore più elevato di spesa pubblica per far- maci di classe A-SSN è la Calabria con 275 euro pro capite, mentre il valore più basso si ri- scontra nella Provincia Autonoma di Bolzano (circa 149 euro).
• La sostanza più prescritta è risultata, nel 2009, il ramipril con 47 DDD/1000 abitanti die. Altre sostanze rilevanti per consumo sono l’acido acetilsalicilico usato come antiaggregan- te piastrinico (42 DDD) e l’amlodipina (27 DDD). Alti livelli di esposizione nella popolazio- ne si osservano per l’associazione amoxicillina+acido clavulanico, per l’acido acetilsalicili- co e per il lansoprazolo con una prevalenza d’uso rispettivamente del 16,6%, 8,2% e 6,3%.
• I farmaci equivalenti rappresentano quasi la metà del consumo territoriale e circa il 28% della spesa, anche se la maggiore prescrizione si concentra ancora sui prodotti branded. Nel 2009 hanno perso il brevetto alcuni principi attivi molto prescritti come il pantoprazolo e il perindopril.
• Dall’analisi condotta nella popolazione a disposizione dell’OsMed si rileva nel complesso una prevalenza d’uso del 76%, con una differenza tra uomini e donne (71% e 81% rispet- tivamente). I maggiori livelli di consumo nelle donne riguardano i farmaci del sistema ner- voso centrale (e specificamente gli antidepressivi), i farmaci del sangue (soprattutto gli an- tianemici) e i farmaci del sistema muscolo-scheletrico (i bifosfonati). Alti valori di esposi- zione si osservano nei bambini e negli anziani: circa 8 bambini su 10 ricevono in un anno almeno una prescrizione (in particolare di antibiotici e antiasmatici).
• La spesa media di un assistibile di età superiore a 75 anni è di oltre 12 volte maggiore a quella di una persona di età compresa fra 25 e 34 anni (la differenza diventa di 17 volte in termini di dosi). La popolazione con più di 65 anni assorbe circa il 60% della spesa e delle DDD; al contrario, nella popolazione pediatrica fino a 14 anni, a fronte di elevati li- velli di prevalenza, si consuma meno del 3% delle dosi e della spesa.
Si continua a parlare di “prezzi” e di sprechi nella sanità fornendo diverse ricette su come affrontarli, non senza un certa dose di di velleitarismo e dilettantismo. Ma cosa sta dietro alla famosa siringa che costa 1€ ad Acquapozzillo e 10€ a Fresconaccio di Sotto? Non solo le normali variabili “di mercato” come le differenze tra consegna e tempi di pagamento o le diverse quantità per cui più ne prendi meno paghi, tenendo comunque conto che esistono norme dettate dalla Comunità Europea sugli acquisti di forniture che si rifanno al prodotto più vantaggioso economicamente. Negli acquisti sanitari – come probabilmente anche in altri settori – esistono variabili da tenere in conto dettate dalle diverse condizioni che gli ospedali, ad esempio, richiedono. Così la possibilità di avere una più veloce ed affidabile assistenza dopo la vendita, la possibilità di stoccare non nel luogo di consumo i dispositivi, l’offerta di garanzie più estese o il training – cioè l’insegnamento – di come usare il prodotto, possono variare di molto la spesa. In sostanza i diversi criteri di scelta e di risultati attesi possono far variare i prezzi in maniera significativa. E proprio qui si innesta il discorso sulla cosiddetta “centralizzazione” degli acquisti, cioè sui risparmi attesi dal fatto che il responsabile della spesa sanitaria di un’area vasta – come ad esempio una Regione – compri direttamente il materiale e successivamente lo distribuisca lle divere aziende. Come infatti acutamente riportano Attilio Gugiatti e Francesco Longo su www.lavoce.info la centralizzazione adottata in diverse esperienze non porta automaticamente ad un risparmio. Il vantaggo più rilevante e significativa è infatti “il processo di governo clinico che si innesta, che obbliga i professionisti a uniformare le scelte tecnologiche, esplicitando i criteri si selezione, in base a logiche di costo-efficacia”. Un discorso che si lega anche alla valutazione della miglior efficacia, che dovrebbe essere una guida negli acquisti sanitari di importanza almeno pari – personalmente credo anche maggiore – al costo. Se il beneficio sulle persone curate, e quindi su una comunità, è maggiore dopo l’introduzione di una tecnologia con standard più alti, risulterà anche giustificato un prezzo unitario maggiore di un prodotto con minore efficacia. Semplice ma non sempre condiviso. La proposta è quindi quella di valutare, nella spesa sanitaria, più variabili rispetto al solo “prezzo” come l’efficacia clinica e gli impatti che l’impiego dei dispositivi provoca in una comunità. Oltre al fatto che sarebbe necessario costruire ciò che già il Piano Sanitario 2003-2005 prevedeva tra gli obbiettivi strategici: “promuovere la conoscenza e l’impatto clinico, tecnico ed economico dell’uso delle tecnologie; sviluppare banche dati sui dispositivi medici e sulle procedure diagnostico-terapeutiche associate con i relativi costi creando bencmarking”.
I cambiamenti climatici incideranno sulla salute degli europei? Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità – Europa pare di sì e per spiegare cosa cambierà e come far fronte alle nuove emergenze sanitarie ha stilato il rapporto “Protecting Health in Europe from climate change” per fornire informazioni attuali e fornire una traccia ai sistemi sanitari europei sulle modalità di intervento. La prima modalità di cambiamento sembra essere un aumento della frequenza di ondate di calore, alluvioni e siccità di diverso tipo nel nord e sud Europa. Per ciò che riguarda il nostro “cortile”, l’europa centrale e meridionale, si assisterà ad un aumento delle temperature estive superiori alla media, una diminuzione delle precipitazioni annuali senza riduzione dei casi estremi con periodi di siccità. Le popolazioni maggiormente esposte saranno quelle delle grandi città, più esposte all’inquinamento e quelle che vivono nelle fasce ad alto rischio idro-geologico. in qualunque Paese si trovino, le categorie maggiormente a rischio rimangono i poveri, gli anziani, i malati e i giovani. I pericoli più insidiosi sarebbero rappresentati dagli impatti delle situazioni estreme di ondate di calore ma anche di freddo soprattutto per popolazoni che hanno maggior difficoltà all’approvvigionamento energetico, l’insieme di malattie legate al cibo, la variazione di distribuzione delle malattie infettive anche per la colonizzazione di specie patogene provenienti dall’area sub- e tropicale. Non ultime le malattie di pertinenza dell’apparato respiratorio causate dall’aumento dei livelli di ozono a livello del suolonelle città e il cambiamento nella distribuzione dei pollini.
L’analisi comunque suggerisce la necessità di adattamento dei sistemi sanitari attraverso soprattutto una diversa distribuzione dei servizi ed un’attenta preparazione agli eventi estremi. I professionisti dei sistemi sanitari dovranno essere i primi riguardo nel campo della prevenzione, individuazione e risposta agli effetti del cambiamento climatico. Un problema da considerare sarà inoltre dato dall’aumento delle spese sanitarie delle famiglie che dovranno quindi essere considerate per non lasciare “alla prova dei mezzi” coloro ce non possiedono risorse aggiuntive per far fronte a tali rischi. La sicurezza sanitaria risulta quindi un perno centrale ineliminabile con la necessità di sostegno alla sanità da parte di altri settori, ad esempio anche con il rafforzamento dello sviluppo di sistemi di indagine e di comunicazione. Fondamentali risultano anche il potenziamento della forza lavoro del settore sanitario e la necessità di rendere ecosostenibile ogni servizio sanitario.
La sanità piemontese in mostra oggi sulle pagine dei giornali. Da una parte il Prof. Fronda, Direttore della Chirurgia delle Molinette, denuncia che con il blocco previsto dalla Giunta Cota nei prossimi mesi dovrà ridurre posti letto ed interventi per mancanza di personale. Dall’altra il consigliere del Presidente della Regione arruola 13 nomi illustri della sanità piemontese per intervenire su altrettante aree sanitarie dall’emergenza per infartuati, alla rete per gli ictus peraltro già avviata dalla precedente amministrazione. In mezzo a tutto questo il silenzio dell’opposizione tutta, che non si scandalizza del fatto che si crei una struttura aristocratica medica che deciderà al di là della normale dialettica democratica e scientifica e che lascia senza colpo ferire che sia attivato un vero e proprio razionamento delle prestazioni sanitarie a ridosso dell’estate, momento certamente critico come ben sanno i medici che lavorano negli ospedali e ambulatori. Fare una seria opposizione in Regione significa anche incalzare i decisori politici sul fatto che esistono priorità che vanno affrontate con professionalità e che la prima cosa da osservare è come l’amministrazione possa favorire il lavoro dei medici. Perchè i medici sanno lavorare, si organizzano in società scientifiche che elaborano linee guida, costruiscono modalità di gestione attraverso la discussione ed il consenso dei propri aderenti e hanno da molti anni rifiutato nello svolgere la loro professione tipi di organizzazione a sfondo paternalistico, come sembra voler invece costruire la nuova Giunta Regionale. Questo è infatti il modello di sanità che sta muovendo i primi passi in Piemonte: un paternalismo che non coinvolge più solamente i pazienti, ma anche i medici delle strutture sanitarie: un ritorno indietro nel tempo contro ogni forma di organizzazione sanitaria moderna. Il tutto condito dal completo silenzio dell’Assessore Regionale alla Sanità che dovrebbe essere lo “specialista della materia. Se verrà qualcosa di buono saremo certamente favorevoli ad applicarla senza dubbi, ma la politica che entra nella Medicina dalla porta di servizio attraverso i proconsoli diventa certamente pericolosa. Se certamente eravamo consapevoli di che piega avrebbero preso gli eventi un minuto dopo il responso delle urne, ciò che ci fa male è il silenzio molto più pericoloso dell’opposizione democratica, che sembra aver smarrito anche la capacità di leggere i fatti che accadono sotto gli occhi di tutti, dopo aver smarrito le idee.
Il progresso è più rapido della giustizia. Il problema è che la politica è ancora meno rapida della legge. Se tutti i nostri parlamentari sono in corsa per vedere come correre o meno dietro alle necessità del Presidente del Consiglio, esistono aspetti che possono farci scivolare ancora più in basso nell’unica possibilità che abbiamo di risollevare e rendere al passo con i tempi il nostro Paese. Parliamo di innovazione che crea lavoro e ricerca che non riusciamo ad attrarre. Un dibattito che si è aperto e di cui continuiamo a non vedere traccia nei nostri media è quello sulla brevettabilità delle sequenze geniche. in sostanza non possediamo un sistema giuridico flessibile e efficiente che possa dare risposte efficaci all’evoluzione delle ricerche che si stanno compiendo nel mondo riguardanti l’uso e la proprietà di sequenze di genoma che possono già oggi contribuire a dare sollievo a molte persone affette da diverse malattie. Oggi esiste infatti una zona grigia di ricerche, offerta di servizi, test, applicazioni cliniche che non possono essere utilizzati in sicurezza perchè mancano le regole ed i confini di applicazione. E, a ben vedere, l’argomento non sembra di forte interesse per la politica che in questo caso dovrebbe rappresentare lo strumento per accendere il nostro futuro anche in questo campo. Perchè oggi si sta andando velocemente dalla scoperta alla applicazione della bioingegneria. La stessa ricerca e la conseguente brevettabilità impegna risorse ingenti sia in termini di milioni di euro che di anni. E la partita che si sta giocando è quella di una nuova medicina, dove le cure diventano personalizzabili, dove la genetica è impiegata per stabilire quali cure possano o meno funzionare su una determinata persona. Il fatto che nel nostro Paese l’attenzione a questi risvolti sia pressochè nulla, ci porta ad essere poco “appetibili” come sede di ricerca e sviluppo scientifico e questo è un problema sempre più evidente che ci sta allontanando dalle nazioni più progredite, con un domani fatto semplicemente di spesa per comprare quelle tecnologie che potevano possedere in casa. Senza tenere conto che spesso sono proprio i giovani i ricercatori che si applicano in questi campi. Giovani di cui abbiamo bisogno perchè hanno idee e capacità di sviluppare lavoro per sè e per gli altri. Una vera forza che si candida alla guida del Paese deve sicuramente stare in guardia nella difesa dei valori della Costituzione e delle aberrazioni “ad personam”, ma dovrebbe centrare la sua azione e la sua proposta su questi temi, farne il proprio motore trainante. Se ci si vuole occupare di sistema giuridico, si inizi a costruire una proposta vera su questo tema facendolo diventare la punta di diamante dell’azione politica. Anche le persone che tutti i giorni si alzano la mattina per andare a lavorare in ogni condizione comprenderebbero meglio a cosa serve la politica.
Spulciando tra i programmi dei candidati inglesi per le prossime elezioni del 6 giugno in Gran Bretagna ci si può imbattere in una proposta apparentemente curiosa avanzata dai liberaldemocratici di Nick Clegg sulla sanità. In sintesi l’idea è quella di trasformare i “primary care trust”, che possiamo pensare come i corrispondenti della nostra Asl, in organi elettivi. In realtà l’idea non è così curiosa come potrebbe apparire e ne abbiamo traccia anche in Italia nell’opera di Maccacaro negli anni ’70. Proprio oggi, nel pieno della discussione di deficit sanitari, di critica ai poteri dei Direttori Generali sempre più monocratici, di ingerenze della politica persino nella nomina dei primari degliospedali, questa proposta non è certamente da scartare. Malgrado tutto, infatti, uno dei settori di spesa maggiormente delicati e certamente onerosi, rimane in mano diretta non tanto della politica, quanto dei politici senza nessun vero controllo da parte di chi fruisce dei servizi sanitari. Il fatto che chi amministra il settore locale sanitario debba rispondere direttamente ai cittadini senza interposizioni e debba presentare un ventaglio di soluzioni al giudizio degli stessi fruitori del servizio con possibilità di scelta, potrebbe configurarsi come una piccola rivoluzione positiva con una semplificazione tra chi governa un sistema e chi ne usufruisce, rendendo maggiormente responsabili anche i cittadini del territorio sulle scelte da compiere e sottraendo la nomina al clientelismo politico e a meccanismi oscuri da parte ad esempio dei Presidenti di Regione che continuano a non essere perfettamente chiari. Chiaramente questa è una traccia che deve essere maggiormente sviluppata per ciò che riguarda il nostro territorio e che necessita di limiti e contrappesi adeguati come obbiettivi di politica sanitaria nazionali condivisi e mantenimento di interesse pubblico. Ma sicuramente ha il pregio della chiarezza, della responsabilità dei cittadini di una comunità data, della possibilità di scelta tra diversi programmi, di elezione di tecnici con una certa conoscenza del territorio in questione e via discorrendo.
Il Presidente della Regione Piemonte annuncia un nuovo piano sanitario in cui gli ospedali saranno gestiti secondo un modello “riunito” nelle ASO e scorporate dalla ASL. Il Pd critica il modello e rilancia l’attuale modello. Cosa ne capisca la gente è tutto da vedere. Mi sembra il solito giro di valzer incentrato sulle partite di giro dei soldi e di tentativi di penetrazione della sanità privata. Non mi sembra un gran cambiamento: dal punto di vista della maggioranza le solite storie; dal punto di vista dell’opposizione idem. La tristezza è che nessuno parla di cosa effettivamente si aspettano le persone che si rivolgono alle strutture sanitarie. Oltre al fatto che di prevenzione, cure domiciliari, assistenza di prossimità, miglioramento delle diseguaglianze di salute non se ne parla proprio. Mah!