Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

Assunzioni in sanità? Vieni in Piemonte

Il governo ha confermato che «le vigenti disposizioni limitative delle assunzioni non si applicano agli enti del servizio sanitario nazionale che non sono interessate dai piani di rientro». Pochi giorni orsono l’Assessorato Sanità della Regione Piemonte ha fattivamente bloccato la nomina di nuovi primari, capi dipartimento e via discorrendo, almeno fino a quando non sarà riorganizzato l’assetto territoriale delle ASL ecc. Insomma, mettetevi d’accordo…

Esiste una sanità per i tempi di crisi?

Sicuramente la crisi economica colpirà la maggioranza delle famiglie con una riorganizzazione – nei fatti una riduzione – dei propri consumi e investimenti. Ma esisterà una fascia di popolazione che si troveranno in una situazione molto critica in cui si riveleranno consistenti problemi di salute immediati. In sostanza per una parte della popolazione la crisi non produrrà conseguenze immediate sulla salute, per un’altra invece saranno immediate perchè la crisi non colpirà in modo omogeneo e scaricherà gran parte dei costi e degli effetti su una certa fetta della popolazione che già in precedenza aveva meno beneficiato dello sviluppo economico. Qui si lega un’obbiettivo ben presente a chi opera sul sistema sanitario dal punto di vista progressista e cioè la necessità di evitare quanto più possibile danni o morti dove sia possibile.

Non sono certamente nuove le indagini che documentano con solide evidenze come situazioni socio-economiche svantaggiate favoriscono disturbi mentali, cardiovascolari fino all’aumento del numero dei suicidi. Improvvise contrazioni di reddito causano cambiamenti significativi negli stili di vita con maggior propensione verso il rischio (alimentazione di scarsa qualità, maggiore assunzione di bevande alcooliche e sostanze stupefacenti ecc.): in sostanza la crisi peggiora la capacità individuale a tutelare la propria salute. Questi effetti non possono essere solamente lasciati al gioco economico, ma necessitano che il sistema sanitario venga attrezzato per queste nuove esigenze, anche per tentare di mitigare questi effetti. Che fare quindi?

Esiste una volontà a livello della Regione Piemonte, di porre mano ad una profonda riorganizzazione del sistema sanitario. Ad oggi, in verità, non se ne comprendono le linee di sviluppo se non una generica volontà di ridurre il fronte della spesa, con la speranza che una razionalizzazione possa portare as un sistema sanitario che sappia meglio rispondere alla domanda di salute. Ciò ha una sua razionalità, ma sicuramente non solo non è suffciente, ma può portare ad un rovesciamento di ciò che crediamo: il bilancio non può essere un fine, ma al limite un vincolo rispetto al quale costruire le giuste risposte. E le giuste risposte, a mio modesto avviso devono svilupparsi tenendo conto che siamo in un momento in cui è necessaria una “medicina per i tempi di crisi” che possegga delle linee strategiche precise, come già segnalava Giovanni Fattore nel suo “crisi economica, salute e sistema sanitario”.

Innanzitutto bisogna capire come è fatta la domanda di salute e come cambia nelle diverse situazioni socio-economiche. Con uno sforzo davvero modesto devono essere resi leggibili e resi immediatamente disponibili i flussi di informazioni riguardo ai fenomeni su cui la crisi esercita effetti rilevanti. Sicuramente il monitoraggio della salute e della domanda di servizi, ma sopratutto porre particolare attenzione a patologie strettamente legate a situazioni di povertà – come ad es. quelle legate all’alimentazione o alle condizioni abitative -. Necessario sarebbe quindi creare attenzione a tutti quegli eventi sentinella facilemnte ottenibile dalla rete già esistente di medici di medicina generale ecc.

Bisogna quindi porre particolare attenzione nell’organizzare la risposta sanitaria a tutti quei servizi “sensibili” la cui maggior richiesta potrebbe creare delle “strettorie” che colpiscano in mnaiera privilegiata chi chiede aiuto nel momento di crisi. La crisi infatti non colpisce, come già detto, in modo omogeneo, ma può determinare dei “picchi” o differenze di richiesta in aree diverse.

Qui si lega la diminuita capacità di accesso ai servizi al momento non coperti in maniera sufficiente dal Sistema Sanitario. Questi servizi esistono e basterebbe citare settori quali le cure odontoiatriche, riabilitative, oculistiche, dove la spesa privata delle famiglie è forte e che rappresentano comunque aree di servizio essenziale. Necessario quindi monitorare il flusso di domanda che riguarda il settore privato il quale non copre solo prestazioni secondarie, ma appunto essenziali. Questa stretta osservazione può consentire iniziative mirate tempestive e permettere la dismissione di altre aree non necessarie ma al momento coperte dal Sistema Sanitario.

La sanità è un sistema cosiddetto labour intensive che appartiene ad una fascia di attività che moltiplica i propri effetti positivi sul sistema economico nazionale ma sopratutto locale. La crisi può essere un’opportunità per interventi in grado di migliorare i livelli di efficienza, ma questi interventi dovrebbero mirare ad aumentare i livelli di attività date le risorse, piuttosto che ridurre le risorse a parità di livelli di attività.

In sostanza esiste davvero una sanità dei tempi di crisi e attrezzare il nostro sistema di cure per alleviare l’impatto dell’impoverimento della popolazione deve restare un punto fermo della nostra politica sanitaria, soprattutto in sistema locale

I medici continuano a cucire dove altri tagliano

Tranquilli: i camici bianchi non sono sicuramente nel panico per le mosse del Presidente Cota che, secondo fonti informate tipo Lospiffero.com, si appresta a mandare a casa i direttori generali delle aziende sanitarie e a commissariare le stesse. Per noi non cambia nulla e continueremo a curare le persone come abbiamo fatto in passato quando si sono succeduti piani sanitari regionali, piani sanitari nazionali, riforme, deleghe, cambi assessorili e quant’altro. Dalla gente che lavora in sanità, tutto ciò viene semplicemente visto come un giro di valzer che non porta a nessun vero cambiamento nei luoghi di cura. Ben altre sono le ambasce e il risparmio di qualche direttore generale non potrà permettere l’acquisto di nuovi strumenti o la sistemazione delle piante organiche. La vera “ciccia” della faccenda saranno invece le “missioni” che i nuovi commissari o direttori riceveranno dagli uffici regionali: migliorare lo stato di salute della popolazione in Piemonte o semplicemente grattare il fondo del barile per far quadrare qualche bilancio? Forse commissariare le attuali ASL ha il risultato che per un po’ di tempo nessuno prenderà vere decisioni, essendo per sua stessa natura limitato il ruolo degli stessi commissari. Poco importa, inoltre, la battaglia che si sta combattendo in Regione: l’assessore sempre più emarginato a cui viene sottratto il vero controllo del governo sanitario dal Direttore Generale di fresca nomina di cui non si conoscono i rapporti con il kingmaker a capo dell’Aress che sembra ampliare le sue prerogative anche in campi di altra natura da quelli dell’Agenzia che a sua volta ha il suo riferimento presso un altro Assessorato non sanitario. E nel disordine sovrano i medici, come sempre, continuano a fare quello che hanno sempre fatto a dispetto di chi dovrebbe indirizzarli verso nuovi obbiettivi di salute: ricucire le storie di salute delle persone.

Sanità in discreta salute, cresce il privato

Il Rapporto Oasi 2010 del Cergas Bocconi evidenzia che il Ssn riesce a controllare la crescita della spesa, che resta inferiore del 9% alla media Ue-15. Carenti lo sviluppo di strumenti manageriali e l’attuazione di nuove policy.

Un sistema che riesce a contenere la crescita della spesa (+2,4% nel 2009), ma non a rispettare i tetti di spesa, impegnato a formulare nuove policy per venire incontro ai nuovi bisogni ma che non riesce ad affiancare a questa evoluzione una crescita degli strumenti e delle professionalità richieste. È questo il quadro che emerge dal Rapporto 2010 dell’Osservatorio sulla funzionalità delle aziende sanitarie italiane (Oasi) del Cergas Bocconi (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale), il rapporto che ogni anno evidenzia i punti di forza, criticità e dinamiche in atto del Servizio sanitario nazionale.

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Monferino part time?

Rientrato da una parentesi di aggiornamento in Francia, scopro che il nuovo Direttore Generale della sanità in Piemonte stia ancora a “bagnomaria” nell’attesa che qualcuno sciolga il rebus delle sue compartecipazioni nei c.d.a. – remunerati – di diverse aziende. In soldoni firmerà il suo contratto in Regione se gli saranno garantite le prebende che attualmente riceve da altre fonti. Una domanda semplice semplice potrebbe essere quella di come farà a garantire una costante presenza in assessorato, tenendo conto che l’impegno non è certamente da considerarsi alla stregua di un hobby. Chi lavora per la sanità certamente non lo fa solo per passione, ma da qui a pensare al part time ce ne corre davvero…

Il Sudan meglio del Piemonte?

Emergency apre un ospedale in Sudan in due anni. Usa anche tecnologie ecosostenibili e progetta la struttura partendo dale esigenze di chi vive nelle sale operatorie, nei reparti, negli ambulatori. Perchè questi lavoratori sanno quali saranno i flussi delle persone, da dove verranno, come si muoveranno all’interno di un ospedale, dove andranno. Due anni. Noi siamo ancora a capire se possiemo fare la città della salute, dove, come. L’obbiettivo di emergency è semplice: dare le migliori risposte possibili di salute. E chiaramente il concetto di “spreco” non è nemmeno immaginabile date le risorse possedute. L’obbiettivo è una risposta alla salute. Non altro. Non gli ospedali “Hub” con i “satelliti” del nostro Presidente del Piemonte. Mi chiedo come sia possibile che chi lavora in sanità non abbia la nausea e non dica nulla.

Quanti Pronto Soccorso chiuderanno in Piemonte?

Sapete di cosa si parla nei luoghi di lavoro? Se pensate che tutti i giorni nelle mense aziendali si parli dell’ultimo ricorso al Tar o delle terre dell’ex Presidente del Consiglio regionale Gariglio o del tapiro verde donato in Consiglio Regionale a Mercedes Bresso, beh, negli ospedali non sembra esserci traccia di queste campali battaglie o informazioni giornalistiche. Parlando almeno del mio luogo di lavoro, sembra che l’argomento più gettonato sia la prossima riorganizzazione dei presidi di cura. Come pure del blocco del turn over, delle pensioni, dell’impossibilità prossima ventura di ottenere nuovi strumenti di diagnosi e cura. Passando per alcune domande come ad esempio quali Pronto Soccorso verranno salvati nella nostra ASL. Non è un mistero che ad esempio in uno degli ospedali della mia Azienda ospedaliera stia facendosi strada l’idea che il Pronto Soccorso possa restare aperto fino alle 8 di sera per poi chiudere e riaprire la mattina dopo. E poi 3 pronto soccorso nel giro di 10 km sono effettivamente uno spreco, come chioserebbe il nostro Presidente della Regione! Ma quest potrebbero essere chiacchiere di quattro amici al bar: aspettiamo con fiducia che dopo più di 6 mesi di nuovo governo regionale qualcuno ci racconti finalmente cosa avverrà della nostra sanità.

Cota e la salute al di sopra delle proprie possibilità

E dire che non sono nemmeno partito prevenuto. Partire, nel governo della salute, da presupposti diversi poteva anche diventare un momento di confronto e di crescita, il momento in cui diversi modi di vedere si confrontavano e potevano misurarsi, a volte anche compenetrarsi, mescolarsi e magari arrivare ad una buona sintesi. Ma purtroppo ci ha pensato la dura realtà a riportarmi indietro. E la dura realtà è il documento “Il cittadino al centro della sanità” che è stato recentemente presentato dal Pesidente della Regione Piemonte, dal suo Assessore alla Sanità ed altri. Un vero bagno di nulla, ma con accenti pericolosi, dove la salute è stata dimenticata non si sa dove e si tenta di fare i nipotini di Peter Drucker senza però avere lo stesso acume del fondatore del management moderno. (altro…)

Malafede sanitaria al TG1

Il diavolo si nasconde chiaramente nel dettaglio, ma cercandolo si trova. Se vi è capitato di guardare il TG1 di questa sera non vi sarà sfuggito il servizio sul Sistema Sanitario Nazionale, in cui veniva presentato un caso di “malasanità” avvenuto a Palermo ed un caso di “buona sanità” accaduto a Vercelli. Stante il fatto che ogni  giorno sono innumerevoli le prestazioni sanitarie eseguite nel nostro Paese e che circa il 99% sono corrette e di buona qualità, mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca veder semplificare il buono al Nord e il cattivo a Sud. Da medico del Nord personalmente non ci sto a questo tritacarne televisivo e penso, nemmeno velatamente, che ho assistito ad un episodio di informazione in malafede.

Cota e la sanità: dilettanti allo sbaraglio

Ciò che più stupisce delle dichiarazioni dell’ultima settimana del Governatore Cota e della sua squadra è la completa ignoranza del “pianeta sanità”. Tenendo conto che si parla di circa l’80% del bilancio regionale, la cosa si fa preoccupante. Tralasciando amenità come i pampers ai nuovi nati – sarebbe più utile intervenire meglio su questi presidi per categorie a rischio come gli anziani – è utile esaminare meglio cosa effettivamente hanno detto gli amministratori della nostra sanità. Straordinari per diminuire le liste d’attesa? Forse non tutti sanno che per i medici specialisti non è previsto l’istituto dello “straordinario”. Essendo dirigenti – non si sa bene di cosa, ma è così – i medici lavorano per soddisfare le esigenze delle persone che richiedono assistenza secondo carichi di lavoro richiesti dalle aziende. Se per raggiungere quei carichi ci metti 8 o 12 ore sono “affari” tuoi, anche se esiste un orario di lavoro di circa 8 ore giornaliere. Una forma di straordinario esiste per chi fa turni di guardia o reperibilità, che sono cose diverse. Tenendo anche conto che il Governatore Cota e la sua giunta hanno chiaramente ridotto anche la possibilità di sostituire i medici i pensione con nuovi medici (si chiama blocco del turn-over), un qualsiasi reparto deve comunque dare un volume di assistenza programmato con meno medici. E le ore che si fanno in più non vengono comunque pagate: è storia comune che ogni medico ospedaliero abbia di norma decine o anche centinaia di ore extra orario che nessuno riconoscerà mai. Maggiori contributi per pagare ore in più e contenere le liste d’attesa sono quindi una pia illusione e non toccano il problema. Che è più quello della richiesta di visite non appropriate o di organizzazone del lavoro che altro. Oltre al fatto che è davvero di dubbio gusto far passare l’idea che i medici siano dei mercenari che aspettano solo di farsi pagare qualche ora di lavoro in più per abbattere le liste d’attesa. Non si sa poi quando effettivamente potrebbero farle queste ore, visto il fatto che si lavora già per centinaia di ore in pù fuori dall’orario di lavoro. Insomma Cota e i suoi sono a digiuno della differenza che corre tra curare un sintomo o una malattia. L’altra chicca ci proviene dal capogruppo dei berlusconiani in Regione Piemonte che chiede poliambulatori aperti fino al tardo pomeriggio e sale operatorie in funzione tutto il giorno, sabato compreso. Se non avete perso il filo del ragionamento fatto finora, vi verrà spontaneo chiedere con quali risorse di medici, infermieri, tecnici e via discorrendo sarebbe possibile fare tutto ciò. Ricordando anche che i medici sono abituati a lavorare sulle urgenze la sera e la notte, a garantire la gestione di un reparto tutti i giorni della settimana sabato e domenica compresi. Ma davvero ci si sarebbe aspettato di più, almeno sapere come, quando e con chi risolvere il problema sanitario. Dal momento che hanno istituito non una, ma ben due commissioni in appoggio alla scrittura delle politiche sanitarie della nostra Regione. Sarebbe ora di avvertire il governo della sanità piemontese che il tempo della ricreazione sta finendo e che sarebbe ora di passare dal vuoto dilettantismo alla concretezza della professionalità.