Il Consiglio dei Ministri ha deciso di impugnare davanti alla Corte Costituzionale il piano sanitario della Regione Piemonte recentemente approvato dalla Giunta di centrodestra. La ragione dello stop sembra da imputarsi alla mancata copertura finanziaria. L’impianto della nuova organizzazione con la creazione delle sei Federazioni sanitarie, non convince quindi il governo dei tecnici orientato a non considerare sufficienti le fonti di risparmio che erano state pubblicizzate dal governatore Cota e dall’Assessore Monferino.Se comunque il Governatore si mostra tranquillo, Mercedes Bresso va all’attacco sottolineando come l’allarme sul rischio dell’aumento dei costi non fosse una semplice fantasia dell’opposizione, ma una drammatica realtà. “Se si aggiunge -prosegue l’ex presidente – il fatto di avere approvato un Bilancio 2012 affidato all’irresponsabilita’ di chi l’ha redatto, il quadro complessivo del Piemonte e’ molto preoccupante”. ”Se il piano sanitario era la principale riforma di questa maggioranza -conclude Bresso- c’e’ da augurarsi che la smettano presto di fare danni”. In parole povere, i tecnici di Palazzo Chigi bocciano sonoramente il tecnico “padano”: non è un buon momento per il Piemonte, al verde anche di capacità contabili.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
È in pericolo la salute degli italiani. Mentre aumentano i fattori di rischio, diminuisce infatti la risposta dei servizi pubblici e le Regioni risparmiano sulla prevenzione. A lanciare l’allarme è il “Rapporto Osservasalute 2011” del Policlinico Gemelli.
La salute degli italiani, infatti, si trova ora più che mai sotto il fuoco incrociato della crisi economica e, sebbene gli effetti di questa congiuntura negativa si rendano manifesti con una certa latenza di tempo, salta già agli occhi come gli italiani, pressati dalle restrizioni economiche, comincino a risparmiare su azioni preventive di base quali una sana alimentazione e lo sport. Si rinuncia per esempio a frutta e verdura, che diventa un lusso per pochi (per la prima volta dal 2005, si registra un calo del numero di porzioni consumate/giorno – 4,8% contro il 5,7%, dato che era rimasto grosso modo stabile fino al 2008; a mangiarne di più sono coloro che spesso consumano i pasti a mensa che si conferma come luogo maggiormente associato al consumo di verdure, frutta e ortaggi).
Bisognerà valutarla nel suo testo finale, ma l’addio al ticket sanitario a favore di una franchigia potrebbe risultare interessante soprattutto per chi usfruisce dei servizi sanitari. Il sistema prevederebbe di abolire esenzioni e ticket così come li abbiamo conosciuti per far posto ad un altro tipo di compartecipazione che prevede ogni anno una spesa massima individuata a seconda del reddito e non più della patologia. Poniamo come esempio quello di due cittadini che guadagnano rispettivamente 40mila e 120mila euro all’anno. La quota i compartecipazione stabilita si aggirerebbe al 3 per mille sul reddito. Il primo pagherebbe in un anno, se fruisce di qualsiasi prestazione che costa di più, 30 euro mentre il secondo fino a 300 euro. Le successive prestazioni oltre quel valore non si pagano. Il sistema sarebbe poi ulteriormente corretto modulando la quota in funzione al numero dei componenti della famiglia e alla presenza di anziani e disabili, oltre alla possibiità di scalare anche le spese verso al sanità privata per evitare la fuga dei redditi più alti verso le strutture non pubbliche e lasciando inveriati i costi di quelle pubbliche. Il sistema effettivamente contiene elementi di equità e omogeneità, tenendo conto del dato attuale dove alla fine un italiano su due non paga ticket e l’esenzione del pagamento per patologia avvantaggia non poco chi ha redditi alti. Semplificando forse in maniera eccessiva si potrebbe dire “pagare meno per pagare tutti”! Tenendo infatti fermo il sistema attuale del ticket che viene pagato ogni volta da chi non è esente, chi ha bisogno di sanità può arrivare a sborsare tra i 500 e i 1000 € l’anno, sistema che non permette certamente un ulteriore aggravio dei ticket così come stabilito, tra l’altro, dalla legge a partire dal 2014. Non da ultimo bisogna sottolineare un certo guadagno in trasparenza dove oggi esistono zone davvero oscure nel capire chi paga e cosa paga. Le prese di posizione contrarie sono certamente da tenere in considerazione e da ascoltare attentamente, anche se sembrano gravate da ideologismo e poco efficienti ed efficaci sia dal punto di vista della pubblica amministrazione, sia dal punto di vista di cosa e quanto pagano i cittadini: lasciando le cose come sono la perdita di equità e l’aggravio per i cittadini sono garantiti.
Come segnalato da Marco Belpoliti su “La Stampa” di oggi, la Regione Lombardia ha iniziato a consegnare alle persone dimesse dall’ospedale, una nota con la seguente frase: Egregio Signore/a, 3.681,84 € rappresenta il rimborso corrisposto mediamente agli ospedali della Lombardia per il costo sostenuto per tipologie di attività e di prestazioni simili a quelle da Lei usufruite nel corso del Suo ricovero”. Non entro in discussioni sull’etica di questo tipo di iniziative, sul perchè esiste un sistema sanitario nazionale basato sull’universalità, sul perchè chi ha scritto la nostra Costituzione ha sancito quello della salute come un diritto ed altre amenità del genere. Se mi capiterà di essere ricoverato e, spero, dimesso sarà però mia cura inoltrare alla Direzione Generale un messaggio di risposta in cui chiederò a quanto ammonta la cifra che la Regione riceve dai cittadini per tali prestazioni; per quanti anni ho finanziato con il mio lavoro – e quindi con le tasse – il Sistema Sanitario Nazionale; quanto incide il costo degli stipendi da centinaia di migliaia di euro del Direttore Generale, Sanitario ed Amministrativo eccetera eccetera. Solo per far recuperare a queste strutture un po’ di pudore verso i malati che cura.
Tanto rumore per nulla. La riformetta della sanità varata oggi dalla Regione Piemonte si conclude con un nulla di fatto e completamente svuotata dai proclami che il Presidente Cota aveva tuonato dalla campagna elettorale in poi. Nella sostanza vengono istituite le sei Federazioni sanitarie anch’esse svuotate dagli iniziali compiti annunciati e configurandosi, in realtà, come sei nuovi posti, immaginiamo profumatamente remunerati, che aumenterenno i “commis” regionali e di cui non si sentiva la mancanza: un nuovo livello intermedio in un’epoca in cui l’amministrazione tenta invece di semplificarsi. Staremo a vedere cosa succederà con il nuovo piano sanitario, ma non ci aspettiamo grandi modificazioni dell’attuale assetto sanitario. Vedremo.
Poco più di quattro mesi a partire da oggi. E’ questo il tempo a disposizione di Regioni e Governo per evitare che scattino in automatico i tagli alla sanità della manovra di luglio. Ieri primo incontro per condividere la road map che dovrebbe portare all’accordo. Sul piatto spesa, ticket e Lea. Continua a leggere su Quotidianosanità
Che la salute costi, e molto, è un’ovvietà. In tempi di crisi è quindi logico che le “razionalizzazioni” della spesa pubblica coinvolgano anche gli ospedali, richiedendo un dimagramento delle risorse assegnate al suo funzionamento. Ma quanto è necessario tagliare? Lasciamo da parte qui considerazioni politico-sociali e consideriamo invece qualche vincolo di semplice fattura economica. Un confronto immediato viene posto con altri tipi di organizzazione sanitaria che sembrano essere maggiormente efficienti e meno costose, come ad esempio quelle di sanità privata. Con diverse sorprese. (altro…)
Il Conto annuale della Ragioneria dello Stato 2010 registra un calo del personale nel Sistema sanitario nazionale dello 0,8% tra il 2009 e il 2010. Più o meno 5000 lavoratori in meno…
L’autunno del governo Berlusconi procede e iniziano i bilanci di cosa siano stati questi ultimi tre anni. Logico quindi che ognuno guardi cosa sia successo nel proprio campo di attività e non mi sottraggo nemmeno io. Cosa è successo in campo sanitario? Tralasciando le considerazioni più filosofiche i fatti, cioè i provvedimenti adottati, lasciano alquanto a desiderare. Di rilevante, come anche ci ricorda quotidianosanità, sembra potersi ricordare la legge sulle cure riguardanti il dolore e il progetto sulle farmacie dei servizi. Ma non è possibile dimenticare i 12 miliardi di € tagliati al finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale, l’introduzione nel 2011 del ticket di 10 € sulle prestazioni specialistiche -che si completerà nel 2013 con l’introduzione di altri ticket -. Sempre collegate al sistema sanitario si ricorderanno il blocco dei contratti dei lavoratori in camice bianco e quello del turn over, per cui solo una piccola parte di chi andrà in pensione verrà sostituito. Molto invece è stato scritto nel capitolo degli annunci per cui provvedimenti come il testamento biologico, la riforma degli ordini, le sperimentazioni cliniche o la riforma indicata nel libro bianco del Ministro Sacconi sono rimasti annunci, quando non hanno superato l’esame parlamentare rimanendo solo sulla carta. Gli stessi costi standard e la politica di federalismo fiscale, che coinvolge significativamente anche il settore della salute, sono di fatto al palo e morti ancor prima di essere nati. Certamente, a nostro giudizio, l’applicazione di molti provvedimenti annunciati – e non convertiti in legge – avrebbe complicato un corretto sviluppo del sistema sanitario. Rimane il fatto che nel settore della sanità molto si è detto e poco si è fatto con un bilancio certamente non lusinghiero per un governo che stimava se stesso come capace di “fare”. Requiescat in pace.
Molti Paesi europei, nonostante il terribile momento finanziario, stanno immettendo più risorse in sanità ma, ovunque, l’aumento degli investimenti risulta del tutto insufficiente a soddisfare l’aumento stabile nei bisogni e nella domanda. L’Italia ha conseguito, negli ultimi decenni, importanti risultati in campo sanitario, come confermato dal notevole aumento dell’aspettativa di vita e dalla diminuzione progressiva della mortalità. Tuttavia esistono forti motivi di insoddisfazione testimoniati da:
- crescita delle disuguaglianze nelle condizioni di salute dei cittadini, sia geografiche che economico-sociali;
- enorme disequità nei servizi sanitari erogati, nell’accesso, nei risultati e frequente percezione di scarsa qualità dei servizi sanitari da parte dei cittadini, soprattutto in alcune Regioni;
- sprechi nell’uso delle risorse e rischi per la sostenibilità del sistema;
- incapacità nel prevenire il prevenibile. (altro…)