Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

Piemonte: cinghiali radioattivi e ammalati a spasso

Mentre Roma si accartoccia su se stessa con le note difficoltà nel trovare una maggioranza di Governo, in Piemonte sembra sceso un velo mediaticamente nebbioso su problemi che il centrodestra governante sta disattendendo, quando non li complica. Oggi, cinghiali radioattivi e tagli di posti letto negli ospedali ci indicano come i problemi ambientali e del welfare rimangano sempre in testa nei “cahiers de doléances” che non trovano grandi risposte nell’attuale dibattito politico. I fatti sono semplici: tracce di Cesio 137 oltre i limiti tollerabili in caso di disastro nucleare sono stati rinvenuti in controlli su cinghiali nel vercellese e presentazione in Commissione Sanità regionale della riduzione da 18 mila a 16.300 di posti letto della rete ospedaliera piemontese. Nel primo caso, escludendo incidenti nucleari non conosciuti, rimane sospetta l’area di rilevamento coincidente con la zona di Trino vercellese dove è in corso lo smantellamento della centrale Enrico Fermi che ha concluso la sua attività nel marzo 1987. Le rilevazioni sono state comunicate dallo stesso Ministero della Salute. Certamente la notizia rappresenta uno stimolo all’approfondimento del contesto ambientale in cui vivono queste specie che rappresentano delle vere e proprie “sentinelle” sulla stato di inquinamento dei territori. Una prima riunione di coordinamento degli accertamenti è già stata indetta per l’8 marzo e servirà a comprendere cosa stia effettivamente accadendo ed escludere altre cause, da residui di Cernobyl a traffici illeciti di materiale nucleare sul nostro territorio. E una brutta sorpresa si sta preparando ai pazienti piemontesi con un taglio lineare dei posti letto proposto in Commissione regionale secondo gli standard prescritti dal governo tecnico che  prevede la discesa a 3 posti letto disponibili per le malattie acute e 0.7 nei non acuti ogni mille abitanti. Ottimizzazione, quindi, che nasconde un vero e proprio razionamento con riflessi immediatamente comprensibili soprattutto per tutti coloro che non troveranno strutture pubbliche in grado di fornire una risposta sanitaria adeguata.
Sistema sanitario pubblico e diritto alla salute sotto attacco in nome di un razionamento di marca economica davvero cieco e indifferente alla salvaguardia di un sistema che è fra gli indici di civiltà di un Paese.

Nella sbornia quindi di grandi manovre nazionali, continuano a non essere adeguatamente  governati problemi ambientali e di welfare molto più vicini ai cittadini e che rappresentano la vera agenda politica nazionale.

Apertura studi medici h24: un mito forse inutile

In tutti programmi elettorali (da destra a sinistra) una delle poche cose condivise appare essere l’apertura “sette giorni su sette per 24 ore” degli studi di medicina generale. Ma siamo sicuri che sia la risposta giusta per i nuovi bisogni di salute?

Una bella analisi di Roberto Polillo da leggere su quotidianosanità.it (altro…)

Balduzzi si accorge dopo un anno della sanità del piemonte

La campagna elettorale “sveglia” il Ministro Balduzzi che si ricorda della sanità del Piemonte e convoca un tavolo tecnico per stabilire di chi sia la responsabilità del deficit del capitolo sanitario. L’invito è rivolto ai precedenti presidenti della regione Ghigo, Bresso e Cota e potrebbe tenersi immediatamente dopo le elezioni, forse già il 27 febbraio stesso. “Un’operazione verità” – secondo Balduzzi, “ che deve precedere qualsiasi altra decisione ed è doverosa considerato che da tempo assisto ad un balletto di cifre sul quale è tempo di fare chiarezza”. Viene davero da chiedersi come mai Balduzzi, candidato nelle liste montiane, non si sia accorto di nulla durante il suo anno al Ministero e non abbia attivato per tempo tutte le possibilità che il dicastero offre per porre rimedio a questa situazione. La situazione infatti è nota da tempo e non può passare inosservata la battuta dell’attuale Assessore alla sanità della Regione Piemonte, l’Ing. Monferino, che ha dichiarato come, nei fatti, si assista ad un fallimento “tecnico” del governo regionale, su cui l’impegno sanitario grava per circa l’80% del bilancio. Forse proprio la parola “tecnico” potrebbe aver fatto sussultare il candidato del partito degli aristo-tecnici su un bilancio che un assessore “tecnico” – che non pare voglia cedere alla pubblicazione dei propri conflitti di interesse – non ha saputo mettere in carreggiata, sostituendo il taglio dei dipendenti con l’istituzione di una sovrastruttura al momento attuale giudicabile come inutile, con a capo Direttori Generali di aziende sanitarie mancati. Già, tutto tecnico, ma tecnicamente l’aristo-tecnico Balduzzi poteva pensarci prima a rimettere le cose a posto…

L’Italia precipita in basso nella classifica sanitaria

L’Italia è ancora al vertice nell’eccellenza sanitaria mondiale? Sembra davvero di no. Secondo i dati dell’Euro Health Consumer (Health Consumer Powerhouse 2012) – resi noti  da Quotidianosanità.it – sulla base di 42 indicatori di performance di 34 stati europei, il nostro sistema sanitario nazionale si è classificata:
10° nel sottogruppo “diritti del malato e informazione” (dopo Croazia, Estonia,Lituania ecc.) ,
11° per la voce “risultati” (dopo Islanda, Rep.Ceca, Slovenia ecc.);
21° per “accessibilità e tempi di attesa”(dopo Romania, Grecia, Cipro ecc.) ;
22° per l’area “farmaceutica”(dopo Slovenia, Irlanda, Rep.Ceca ecc.) ;
26° per “prevenzione, equità di Sistema”(dopo Portogallo, Malta, Slovacchia ecc.) .
Su tutte le voci globalmente esaminate risultiamo occupare il 21° posto.
Ancora peggiore, secondo il rapporto Ocse-UE “Health at a Glance Europe 2012“, la nostra posizione per ciò che riguarda le risorse impegnate a favore della prevenzione sanitaria: 0.5% della spesa sanitaria globale contro una media europea del 2.9%, toccando il fondo della classifica insieme a Cipro.
Critica anche la percentuale destinata al mantenimento del Sistema Sanitario. Secondo i dati della Organization for Economic Co-operation and Development- (Oecd Health Data 2012), il nostro Paese investe il 9,3 % del Pil (meno di Olanda 12%, Francia e Germania 11,6%,Gran Bretagna e Spagna 9,6%) di cui il 76,6% è “spesa pubblica”.
La spesa pro-capite italiana è di 2.964 $ (contro Olanda: 5.056, Germania :4.338, Francia: 3.974, Irlanda: 3.710, Gran Bretagna: 3.433, Spagna: 3.060).
Sono quindi davvero lontane le performances dei primi anni 2000, quando il Sistema Sanitario Nazionale italiano risultava al 2° posto al mondo per capacità di risposta assistenziale universale in rapporto alle risorse investite secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il tutto nel silenzio della campagna elettorale sui temi sanitari e sulle responsabilità di questa caduta che potrà essere ancora per poco ammortizzata dall’impegno e dalla competenza degli operatori sanitari italiani.

Lezioni gratis di sanità per parlamentari

Mario Falconi, Presidente del Tribunale dei Diritti e dei Doveri dei Medici (Tdme), ha lanciato una iniziativa a mio avviso molto meritoria: lezioni gratis di sanità a disposizione dei nuovi parlamentari e dei consiglieri regionali che dovranno governare il Paese. sarebbe certamente significativo se questa disponibilità venisse raccolta dalla nuova leva politica che verrà prossimamente eletta, considerando la scarsa cultura in materia rilevabile quotidiamente da chi la sanità la vive e la costruisce. La proposta nasce certamente dai dubbi sulla competenza media dei legislatori, rimarcando ancora una volta come non sia sufficiente oggi, soprattutto per materie complesse e delicate, un profilo anagrafico giovane, ma certamente una classe politica e manageriale capace, colta e responsabile. Il problema di competenza è inoltre aggravato dal fattivo abbandono dei precedenti percorsi formativi in tali materie, anche attraverso le vecchie scuole di partito che comunque garantivano una certa qualità di conoscenza a chi aspirava a decidere su grandi questioni sociali come appunto la salute, il lavoro, la scuola e via discorrendo. Raccogliere la disponibilità di trasmissione di questo patrimonio culturale dovrebbe essere, a nostro modesto parere, persino vincolante a livello di partiti politici. Obbligatorio, così come i professionisti sanitari spendono parte del proprio tempo, anche libero e non pagato, per sostenere con prove ed esami la propria crescita attraverso l’Educazione Continua in Medicina, raccogliendo i crediti formativi.

New York paga i suoi medici sulla performance

Il sistema ospedaliero pubblico di New York ha introdotto un cambiamento epocale nella modalità di retribuzione dei propri medici. Al posto di aumenti salariali automatici, il nuovo sistema si baserà sulla capacità di miglioramento della performance dei sanitari: capacità di contenimento dei costi delle terapie, aumento della soddisfazione dei pazienti, miglioramento della qualità delle cure, miglior coordinamento delle cure. Il nuovo regime, come annunciato da un editoriale del New York Times, è già a regime in tre istituzioni da considerare tra le più importanti della città e certamente tra le più blasonate nella comunità scientifica internazione quali la Mount Sinai School of Medicine, la New York University School of Medicine e il Physician Affiliate Group of New York, coinvolgendo più di 3000 medici. Tale tipo di sperimentazione non è in verità così nuova o sconosciuta come appare. Basterebbe richiamare ad esempio la sperimentazione, ormai oggetto di studi, compiuta ad Amsterdam sui medici di base che diede risultati rimarchevoli. Chiaramente questi tipi di esperienze non possono essere valutate o importate tout court in sistemi sanitari completamente diversi come quelli continentali, ma sarà sicuramente da osservare con attenzione anche al di qua dell’Atlantico. Come non siamo dei fautori del sistema sanitario americano – di cui peraltro esistono diverse favole metropolitane ed è poco conosciuto nel nostro Paese – non possiamo però demonizzare cambiamenti che porteranno a modificazioni significative sull’organizzazione del lavoro delle professioni sanitarie che ci investirà. Prima o poi.

Sindrome cinese in sanità

Se lo dice Pietro Forestieri, Past President del Collegio italiano dei Chirurghi, c’è da crederci. La spending review, con il taglio nel settore della sanità del 20 % delle risorse, ha come risultato una minore affidabilità dei dispositivi medici con marchi meno conosciuti e che vengono acquistati a prezzi stracciati. Forestieri fa un semplice esempio: ” Due auto uguali. La prima, di una nota casa automobilistica, costa 100 mentre la seconda, di un nuovo marchio prodotta all’Est o in Cina, costa 50. Entrambe vi porteranno da Milano a Roma, ma con la seconda sarà più facile rimanere a piedi e il meccanico non la potrà riparare perchè mancano i pezzi di ricambio.” Il dispositivo medico fabbricato in Cina costerà certamente meno e farà pure risparmiare, ma la qualità è quasi sempre minore e la casa madre non ne garantisce l’assistenza. E questo vale su vasta sscala: dalle siringhe ai macchinari più complessi. Auguri!

Attacco alla sanità pubblica

I mezzi di informazione stanno dando conto, per chi non se ne fosse accorto, dello scacco portato alla sanità pubblica sia a livello locale che nazionale. Il tutto è brevemente riassunto dalla dichiarazione del Presidente del Consiglio Monti: “Potremmo non riuscire più a garantirlo se non si trovano nuove forme di finanziamento”. A livello piemontese c’è persino sorpresa sul fatto che il Governo stia scavalcando in tagli lineari quanto già ventilato proprio dall’Assessorato in materia, mantenendo un rigoroso silenzio sulla possibile apertura verso modelli privati. Chi mastica un po’ di queste cose è ben conscio del fatto che le uniche “manovre” messe in campo per far fronte alla spesa sanitaria, sono state quelle, appunto, dei tagli lineari, senza tentare di percorrere altre strade. In sostanza, per far tornare i conti, la logica è stata quella di tagliare su scala nazionale/regionale una quota fissa: se ne esistono 100 ne taglio 10. Il sistema sanitario è, come tutti i sistemi moderni e altamenti tecnologizzati, estremamente complesso e possiede meccanismi che sono al limite della controintuitività. Ha certamente delle falle molto grandi a cui nessuno continua a mettere mano, ma nel complesso continua a dare risposte buone. Chi conosce il sistema sanitario anche negli snodi più nascosti ha comunque una certezza: ne potremo venire fuori solo se faremo ciò che è necessario in maniera diversa e non facendo le stesse cose ma di meno. Oggi assistiamo solo all’ansia dei tagli, continuando a non chiedere a chi ci lavora come si dovrebbe organizzare il sistema, come si potrebbero fare in maniera diversa le procedure necessarie. Nessuno, inoltre, sa bene di cosa si stia discutendo: non esistono dati certi e sicuri, omogenei su costi delle prestazioni e persino sul loro numero. Anche a livello di chi ci lavora in sanità. Mi ha stupito, molto recentemente, assistere durante un corso su nuove procedure di diagnosi e cura nel mio settore, alla scena muta dei relatori alla domanda dei costi di queste procedure. Questa è una mancanza della mia categoria che oggi non possiamo più permettere. Non perchè la somministrazione di tali cure debbano dipendere dal semplice costo, ma perchè è necessario costruire il “valore” di quella procedura. In caso contrario applichiamo la stessa logica che oggi stiamo criticando. Ma il problema rimane e fa una certa rabbia sapere che con tagli o nuove tasse il sistema continuerà a non essere nè efficace nè efficiente. Soprattutto se continueremo a dare in mani davvero inesperte la gestione economica della nostra salute.

Ripensare gli ospedali per diminuire i costi del welfare

Il Ministro della Salute, Renato Balduzzi, fa’ quel che può e si accinge a varare una miniriforma contente medicinali monouso, regole con maggiore tracciabilità sull’attività privata dei medici, multe a chi vende sigarette ai minori, lotta alla medicina difensiva e altro che si vedrà. Il Ministro sa però bene che norme di questo genere potranno raschiare un po’ meglio il barile ma null’altro. D’altra parte in un governo “tecnico” e ormai avviato a scadenza naturale, non si può sperare in molto di più. Tutto ciò, comunque, non permetterà una inversione significativa sulla spesa sanitaria che solamente una vera e propria innovazione potrà sanare. E innovazione anche in questo caso non significa fare in maniera più veloce o diversa le cose, ma fare altre cose. Di ricette veloci non ne ha nessuno, ma è chiaro che esistono nodi che devono essere sciolti. Uno dovrà essere quello dell’organizzazione dei nostri luoghi di cura, ancora fermi ad una concezione veramente novecentesca che la medicina più avanzata sta abbandonando. E ripensare le nostre strutture, soprattutto quelle ospedaliere, significa ragionare per intensità di cure, differenziando gli spazi stessi e i momenti di cura. L’ospedale moderno, infatti, è un ambiente ad alta intensità di cura, dove ad un primo momento tecnologicamente e assistenzialmente impegnativo ne subentra un altro dove, in un normale decorso, diminuiscono le necessità della persona. In diversi Paesi si sta adottando un sistema praticamente separato anche dal punto di vista fisico, con articolazioni degli ospedali diversi. Oggi si guardano più le giornate di degenza in uno stesso letto o Reparto per calcolare il risparmio – quando non la necessità di spendere meno trattando casi meno complessi -. Il futuro sarà una corretta valutazione delle necessità delle persone ricoverate, trovando in ogni momento della cura il più corretto impiego dei mezzi umani e strumentali a disposizione in spazi diversi. Oggi continueremo a pagare il lavoro delle diverse professionalità sanitarie in maniera poco intelligente ed appropriata, sottraendo, ad esempio, il lavoro vero di un chirurgo facendogli compilare per diverse ore carta inutile che non abbatterà gli errori o i costi. Sì, avete capito bene: per diverse ore al giorno paghiamo lo stipendio di un chirurgo per un lavoro da impiegato amministrativo. E’ chiaro che così non ne verremo fuori…

La siringa sanitaria

C’è questa faccenda dei tagli alla sanità, su cui si sente di tutto e di più. In realtà nessuno ha ancora visto bene “le carte” e tutti parlano di tagli senza sapere bene in cosa consisteranno. Chi lavora in sanità sa bene che è un problema molto complesso e che l’economia sanitaria, come quella ambientale, è un argomento conosciuto pochissimo e che si avvicina alla composizione della formazione della nazionale di calcio. Ma in tutte le discussioni, televisive o meno, manca davvero la voce di chi ci lavora in sanità; oltre al fatto che medici ed infermieri sono ormai del tutto estromessi dal governo sanitario in mano ad una pletora di amministrativi non secondo nemmeno a chi vive di politica. Ma le cose più curiose si registrano su fatti come le famose siringhe che costerebbero 1 € a Sucate di sopra e 10 € a Vigata. Di recente ne ho sentita una simpatica da un economista sanitario su cui varrebbe la pena di riflettere, per incominciare. Oltre al fatto che i cosiddetti costi “standard” non funzionerebbero per diversi motivi, la cosa che mi ha colpito è il motivo per cui la siringa di Sucate costerebbe molto meno di quella di Vigata: semplicemente perchè la Regione di Sucate paga la ditta fornitrice entro 90 giorni, mentre quella di Vigata lo paga in circa 6 mesi – sempre che lo paghi. Inoltre se i due ospedali si mettessero in testa di comprare un semplice apparecchio per fare un elettrocardiogramma, i costi potrebbero differire semplicemente a seconda della garanzia che lo strumento avrà: se lo assicuro per un mese lo pagherò 1, mentre se lo garantisco per un anno con immediata sostituzione se presenta anomalie, potrei pagarlo 10. Le “cose” che si usano in sanità hanno sicuramente un costo molto alto, dato dalla loro natura e dalle applicazioni che si fanno, ma il problema immediato non è dato dalla “natura” del bene appartenente alla sanità, ma da semplici leggi di mercato che valgono per tutti i settori. Basterebbe davvero poco per iniziare, lasciando a casa demagogie e populismi idioti professati da chi non conosce la materia su cui pontifica. E comunque io avrei fatto entrare durante la partita con la Spagna Diamanti…