Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

La falsa speranza tecnologica in sanità

Certamente, isanità dna imm.001n nessuna nostra affermazione potrà mai ritrovarsi la tentazione di trascurare la ricerca di un continuo miglioramento degli strumenti medici ad ogni livello, ma sicuramente facciamo nostro anche lo stimolo costante nel ricercare, anche al di fuori della “speranza tecnologica”, un sostanziale miglioramento delle opportunità di salute.

Allo stato attuale, però, continuiamo a registrare come il dibattito in corso sulle politiche tese al miglioramento dello stato di benessere, sia sempre e solo imperniato sulla capacità di disporre di tecnologie sofisticate e sulla necessità di reperire finanziamenti destinati perlopiù ad accrescere l’armamentario tecnologico. Con il risultato di centrare l’attenzione di operatori, manager e cittadini su tale dimensione tecnologica come la sola in grado di poter elevare, migliorare magicamente il livello di qualità dei servizi sanitari e in definitiva dello stato di salute generale.

L’idea di puntare sulla tecnologizzazione esasperata, accrescendo la fiducia della popolazione verso terapie ad alto contenuto “ingegneristico” come strategia superiore rispetto alla  ricerca costante sull’individuazione e eliminazione dei determinanti negativi della salute, non è scevra da interessi economici oltre alla dimostrazione di come, tali sviluppi tecnologici, siano maggiormente accessibili a determinate classi sociali. Non è nuova la dimostrazione  di come la quota delle risorse investite in ricerca nel campo sanitario dipenda, in larga misura, dai meccanismi che verranno usati in futuro per finanziare la fornitura di prestazioni quando i risultati della ricerca verranno commercializzati. Ed ancora è chiaramente dimostrato un nesso assai stretto tra l’espansione dell’assicurazione sanitaria e lo sviluppo di tecnologie specializzate sempre più costose, che mutano la forma e l’estensione della copertura assicurativa stessa e risultano influenzate dagli incentivi che operano sempre attraverso il sistema assicurativo.

Questa rincorsa focalizzata sui limiti tecnici della capacità di cura e la distorta percezione della malattia come fatto personale, individuale, può portare all’indebolimento e irregimentazione della ricerca bio-medica, all’abbandono dell’impegno verso politiche di promozione a favore della salute delle classi più svantaggiate rendendo vana la grande conquista culturale del nesso tra causa ed effetti tra diseguaglianza e aspettativa di vita. Inoltre disarticola la necessaria azione coordinata tra chi opera nella salute, nell’educazione, nel lavoro, nelle politiche ambientali.

Lottare contro le diseguaglianza di salute

sanità dna imm.001“Siamo qui per noi ma non per noi, tanti ma per i ben più tanti che attendono da noi non solo un messaggio responsabile ma anche un’azione efficace per la salute e l’integrità di chi è oggetto di sfruttamento, emarginazione, repressione onde questi ne emerga con tutto il suo diritto e la sua capacità di porsi quale soggetto politico primario” (Giulio Maccacaro)

Abbiamo una convinzione inamovibile: le diseguaglianze di salute non rappresentano una condanna inappellabile, ma una caratteristica della nostra società che può essere modificata. Al di là di motivazioni etiche ricomprese nell’idea di giustizia sociale, risulta praticabile e possibile, in altre parole, un margine d’azione immediatamente percorribile che ci permetterebbe di attingere a un serbatoio di salute alla portata del nostro impegno. Condizione inevitabile è però la necessità di raccogliere la sfida di un coraggioso e quasi eretico rinnovamento delle nostre concezioni e criteri di lettura che reimpostino le false opinioni correnti sulla prevenzione, cura, organizzazione del lavoro e, in ultimo, della società derivate dalla pubblicistica più di moda, di cui l’onda privatistica non ne è che l’ultimo esempio.

Esiste, però, un problema essenziale che ostacola l’acquisizione di questa di ricerca al rango di priorità nell’agenda politica sanitaria: impegnarsi nell’analisi delle diseguaglianze nella salute conduce a un vero e proprio salto di qualità non solo verso il cambiamento per una nuova salute possibile, ma soprattutto rende coscienti sulla necessità di incidere nei diversi aspetti organizzativi del nostro quadro sociale. La conferma emerge dal costante richiamo sull’azione di fattori in gran parte esterni al mondo sanitario: il ruolo fondamentale dell’istruzione, le condizioni lavorative, lo Stato e le politiche abitative, le storie di migrazioni interne ed esterne al nostro paese, sono solo le più immediatamente individuabili.

La malattia stessa sembra rappresentare un momento finale, negativamente unificante di tutti questi aspetti. Cambia però l’angolazione, il punto di vista: lo stato di infermità non rappresenta più un evento casuale, accidentale, che può colpire senza apparente motivo ciascuno di noi, ma è rintracciabile in una storia per diversi aspetti quasi determinata, inserita in un contesto coerente dove è rinvenibile un filo conduttore. Interi gruppi di persone sembrano accomunati, nel bene nel male, in uno stesso destino di salute perché provengono da famiglie con livelli di istruzionr omogenei, appartengono allo stesso segmento sociale, hanno stili di vita e risorse simili.

La scelta di proporre questo argomento al centro della nostra azione politica possiede inoltre un altro motivo di interesse: pone in contraddizione le argomentazioni politiche correnti, ne coglie le profonde mistificazioni, i falsi assiomi che hanno relegato il discorso su salute, prevenzione cura a semplice computo economico, in un vicolo cieco che appare senza possibilità di risoluzione se non mediante il reperimento crescente di risorse. Svela inoltre la falsa pretesa di una scienza economica applicata alla sanità che si vorrebbe priva di ogni giudizio di valore, il cui unico fine sarebbe rivolto verso i soli problemi dell’efficienza, ergendosi a giudice della possibilità concreta, fattibilità, di interventi invece caratterizzati dall’efficacia e dall’equità reclamati da altri attori sociali, come quello medico e più in generale delle persone che formano la nostra comunità.

Questo è il nostro impegno per una riforma della sanità: più possediamo conoscenze sulle cause delle diseguaglianze, più ci avviciniamo alle radici dei meccanismi che possono condurci a una società sana, maggiori saranno le nostre capacità di scoprire e proporre approcci diversi ed efficacemente innovativi nel metodo e nella sostanza per nuove soluzioni politiche.

 

Sanità: il controllo a chi lo sa fare.

sanità pubblica imm.001Non è il toccasana dei mali, ma il sistema dei controlli in sanità è argomento che i cittadini sollevano con diverse buone ragioni.
Sottopongo a tutti una risposta veramente ben calibrata e corretta che il pragmatismo medico americano ha messo in piedi proprio negli ultimi anni, soprattutto dopo l’impennata del numero degli interventi chirurgici e l’aumento dei costi aggiuntivi.
Esiste infatti un organismo molto temuto che si chiama Joint Commission che ispeziona i diversi centri sanitari in maniera del tutto casuale e senza preavviso, passando al vaglio gli aspetti sia igienico-sanitario, medici, tecnici e via discorrendo.
Se tutto è in regola viene rilasciata una certificazione, il Golden Seal of Approval.
Se si riscontrano “anomalie”, la struttura – ambulatoriale o ospedaliera – non viene chiusa d’imperio, ma gli viene fatto di peggio.
Infatti, senza la certificazione perde di fatto le convenzioni con Medicare e Medicaid (i sistemi “quasi” pubblici per anziani e chi non può permettersi di pagare le salate rette americane) oltre che con le assicurazioni private, che normalmente rifiutano la continuazione di collaborazioni con chi non possiede il “Seal”.
Questa Join Commission presenta però delle altre e più importanti specificità.
Ad esempio è governata da 29 elementi che rappresentano medici, infermieri, sindacati, associazioni di cittadini come anche da rappresentanti delle assicurazioni.
Non ha particolari poteri caratteristici delle organizzazioni governative (non chiude gli ospedali come detto sopra).
Ha degli ispettori medici che vengono scelti nei diversi ospedali e con rotazioni continue ogni quattro anni.
Con l’ultima chicca interessante: una sede in una – almeno a noi sconosciuta – città dell’Illinois, molto lontana dai grandi centri di potere politico ed universitario. Uno strumento quindi “lontano” dalle burocrazie pubbliche, partecipato e fattivamente indipendente.

Con una filosofia: se non sei adatto non spetta a me distruggerti, ma ti tolgo l’ossigeno.

La sanità alle elezioni regionali del 2024

icona piras imm.001La discussione sui temi della sanità – sicuramente momento centrale del prossimo confronto elettorale di giugno – inizia già a deragliare, soprattutto riguardo i legami che i temi dell’economia hanno con quelli dell’organizzazione sanitaria.
Il primo rischio è quello del “mito dei modelli”, che si riferisce alla convinzione di come sia possibile applicare alla sanità modelli di analisi, valutazione e controllo propri di altri settori, sperimentati nelle realtà private di produzione e scambio di beni. Così come la fiducia nell’importare nel settore sanitario modalità manageriali tipiche di altre realtà. L’organizzazione della salute ha infatti peculiarità e complessità riconosciute che non permettono queste trasposizioni.
Un secondo mito da cui guardarsi è quello definito come quello della “cassetta degli attrezzi”. L’impiego di nuovi strumenti di gestione fornisce spesso l’impressione, soprattutto tra gli operatori sanitari, di essere un moltiplicatore di informazioni (veri e propri metri cubi di tabulati) non utilizzabili a fini decisionali. La capacità di lettura di questa gran massa di informazioni è infatti ancora estremamente modesta e le ricadute sui processi di decisione sono del tutto insoddisfacenti.
L’ultimo è quello della “quadratura dei conti” dove l’errore è considerare l’equilibrio economico-finanziario come un obiettivo, a volte l’unico, da raggiungere e non come un vincolo da rispettare. La preoccupazione è che l’attenzione nei confronti dell’efficienza possa far passare in secondo piano quella dell’efficacia sul contributo che le prestazioni della sanità possano portare al miglioramento dei livelli di salute collettiva e di capacità di rispondere ai bisogni, sempre in trasformazione, della popolazione. Un eccesso di efficientismo potrebbe portare a dimenticare la valutazione dell’efficacia complessiva del servizio, la capacità di un’azione di raggiungere l’obbiettivo per la quale era stata congeniata.
Tenendo conto di tutto ciò risulta chiaro come il riferirsi a modelli “lombardi”, porsi come fine l’efficienza senza prendere in considerazione l’efficacia delle prestazioni o riferirsi a semplici dati economici, siano posizioni che gettano fumo negli occhi e che non portano da nessuna parte. Posizioni, peraltro, come sempre portanti nella destra piemontese e nazionale.

Votare per la salute?

icona piras imm.001Spulciando tra i programmi elettorali in Europa, ci si può imbattere in una proposta apparentemente curiosa riguardante la sanità. In sintesi l’idea è quella di trasformare le articolazioni corrispondenti alle nostre Asl  in organi elettivi. In realtà l’idea non è così curiosa come potrebbe apparire e ne abbiamo traccia anche in Italia nell’opera di Giulio Maccacaro. fondatore di Medicina Democratica. Proprio oggi, nel pieno della discussione di deficit sanitari, di critica ai poteri dei Direttori Generali sempre più monocratici, di ingerenze della politica persino nella nomina dei primari degli ospedali, questa proposta non è certamente da scartare. Malgrado tutto, infatti, uno dei settori di spesa maggiormente delicati e certamente onerosi, rimane in mano diretta non tanto della politica, quanto dei politici senza nessun vero controllo da parte di chi fruisce dei servizi sanitari. Il fatto che chi amministra il settore locale sanitario debba rispondere direttamente ai cittadini senza interposizioni e debba presentare un ventaglio di soluzioni al giudizio degli stessi fruitori del servizio con possibilità di scelta, potrebbe configurarsi come una piccola rivoluzione positiva con una semplificazione tra chi governa un sistema e chi ne usufruisce, rendendo maggiormente responsabili anche i cittadini del territorio sulle scelte da compiere e sottraendo la nomina al clientelismo politico e a meccanismi oscuri da parte ad esempio dei Presidenti di Regione che continuano a non essere perfettamente chiari. Chiaramente questa è una traccia che deve essere maggiormente sviluppata per ciò che riguarda il nostro territorio e che necessita di limiti e contrappesi adeguati come obbiettivi di politica sanitaria nazionali condivisi e mantenimento di interesse pubblico. Ma sicuramente ha il pregio della chiarezza, della responsabilità dei cittadini di una comunità data, della possibilità di scelta tra diversi programmi, di elezione di tecnici con una certa conoscenza del territorio in questione e via discorrendo.

Privatizzazione delle conoscenze in sanità

sanità pubblica imm.001Lo spostamento di risorse pubbliche verso attori “privati” può avere aspetti sfuggenti. Tra i meno conosciuti c’è quello delle conoscenze prodotte all’interno dei sistemi sanitari: la necessaria costruzione del nostro sapere scientifico che progredisce e ci fa avanzare nella capacità di rispondere ai bisogni di salute della popolazione. Oggi questa capacità viene sistetizzata nel termine di “Educazione Continua in Medicina” o ECM. Sembrerebbe normale che tale sistema che ricomprende  il sapere sulla salute, debba trovare delle forme di gestione condivise e all’interno di un sistema universalistico e pubblico. Anche solo per il semplice fatto che i contenuti formativi sono prodotti nella stragrande maggioranza dei casi da professionisti che lavorano nel sistema sanitario nazionale il quale, tra l’altro, fornisce con le proprie strutture gli strumenti e i dati utilizzati per costruire questo insieme di conoscenze. Nei fatti l’uso dell’accumulo delle conoscenze e l’indipendenza culturale non è proprietà pubblica che in percentuale minima: molto spesso il sistema sanitario si trova non solo ad utilizzare, ma a dover acquistare contenuti formativi generati da professionisti che sono propri dipendenti e che cedono ai privati – ad agenzie di formazione o direttamente alle industrie – le conoscenze maturate. Riepiloghiamo per chi non credesse ai propri occhi: 1) il sistema sanitario pubblico genera la gran parte delle conoscenze aggiornate attraverso i propri professionisti; 2) gli stessi professionisti vendono ai sistemi privati tali conoscenze a provider privati; 3) gli altri professionisti e le aziende sanitarie stesse acquistano conoscenze dal sistma privato per l’aggiornamento continuo obbligatorio! Questa semplice equazione è desumibile dai dati di AGENAS: il numero di eventi accreditati a livello nazionale per l’aggiornamento degli operatori sanitari è aumentato negli ultimi tre anni, parallelamente all’emergere di nuovi bisogni formativi avvertiti dal personale sanitario, messo a dura prova nei tre anni di emergenza pandemica: riferendoci – ripetiamo – alla sola formazione accreditata a livello nazionale, si è passati da 17 mila eventi nel 2020 a quasi 28 mila (2021) e ai 32.567 del 2022. Il ricorso a provider privati di educazione continua a essere prevalente: negli ultimi tre anni la percentuale di eventi sponsorizzati è sempre stata superiore al 50 per cento. Ancora peggiore è l’offerta di eventi formativi rivolta ad altri operatori sanitari: per esempio, i dati Agenas 2020-2022 dicono che gli eventi accreditati a livello nazionale rivolti agli infermieri sono meno della metà di quelli accreditati per i medici, nonostante la popolazione infermieristica sia molto più numerosa. Un tentativo di arginare tale sistema viene compiuto dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) e diversi ordini provinciali dando un contributo importante nel proporre diversi eventi centrati soprattutto su tematiche riguardanti la deontologia professionale e la bioetica. Ma nel complesso l’investimento pubblico nella formazione potrebbe essere in calo: in particolare, nel 2020 la spesa per la formazione si è ridotta del 19.3% con flessioni anche superiori al 40 per cento in molte regioni.

Altra segnalazione in merito sono i risultati di una survey pubblicata sul Journal of European CME – che raccontano come la maggior parte delle società scientifiche in ambito medico ha cercato finanziamenti esterni per congressi (93 %) e corsi di formazione in presenza (86 %). I finanziamenti per i congressi sono arrivati da fonti diverse ed erano giustificati a fronte dell’inserimento nell’agenda del meeting di sessioni organizzate dall’industria, come i simposi satellite previsti al di fuori del programma scientifico. Le attività online sono state finanziate per lo più dall’industria (79 %) mentre le attività sincrone ( i webinar dal vivo) lo sono state di meno (64 %). Dalla stessa indagine, le società scientifiche lamentano problemi legati alle risorse, alla difficoltà di fare una programmazione a medio termine delle attività formative e alla mancanza di competenze digitali nel pianificare e realizzare dei corsi. Le società hanno anche sottolineato come il gran numero di eventi organizzati da altre organizzazioni renda più difficile raggiungere un numero ampio di operatori sanitari”. In sostanza i provider privati si stanno sostituendo in maniera pervasiva alle agenzie pubbliche di formazione. Chiaramente se la formazione di chi opera nel sistema sanitario nazionale diventa territorio di conquista di soggetti privati non sarà una sorpresa vedere l’attuazione non dei genuini bisogni formativi di chi lavora nel mondo della salute ma la proposizione e la spinta all’utilizzo di un insieme di modelli diagnostici, di terapie e dispositivi medici che possono ricongiungersi agli interessi degli stessi provider privati. Oltre all’impegno squilibrato verso aree medico-chirurgiche più attrattive per le ricadute economiche delle industrie, cosa già nota per la farmaceutica. In sostanza si crea una vera e propria disuguaglianza tra i diversi settori specialistici, amplificando le disuguaglianze anche tra il personale dei centri con maggiore e minore volume di attività (i primi sono più corteggiati dagli sponsor perché hanno una potenzialità prescrittiva maggiore), malgrado i bisogni sanitari della popolazione non siano diversi su tutto il territorio. Non ultimo il fatto che tale sistema porta inevitabilmente a differenze molto sensibili nelle diverse zone geografiche del nostro Paese.

Capire il lavoro nella sanità è costruire un nuovo Paese

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In tempi di spending review il lavoro sanitario è certamente uno degli argomenti su cui si esercitano esperti di ogni caratura con soluzioni talvolta fantasiose. Tagli lineari di miliardi di euro sono annunciati in ogni dove mediatico incontrando resistenze e plausi spesso acritici o semplicemente esasperati dalle diverse esperienze di buona o cattiva prestazione sanitaria ricevuta nella vita di ognuno. In pochi, però, arrivano a capire l’organizzazione della diagnosi e cura che oggigiorno si trova ad affrontare le nuove esigenze dei cittadini che ricorrono ai servizi ospedalieri o di base. Compreso chi dovrebbe governare il sistema a livello regionale o di azienda sanitaria. Senza addentrarsi in analisi poco adatte a questa piccola nota, molti pensano il lavoro sanitario  come quello di una fabbrica nella quale i diversi lavoratori, nella diversità delle competenze, eseguono fondamentalmente tutti il medesimo compito e ogni unità lavorativa esegue da solo tutti i passi per fabbricare un oggetto. Con questa logica la produzione dell’oggetto sarà funzione del semplice numero di lavoratori il cui contributo sarà la divisione del numero di oggetti prodotti per il numero degli stessi lavoratori. Potremo quindi modulare il semplice numero dei lavoratori per ottenere maggiore o minore produzione o fare in modo che ogni lavoratore produca più velocemente l’oggetto in questione riducendo il tempo di fabbricazione. Ma il sistema delle cure appartiene ad un altro tipo di “fabbrica”. In questo diverso laboratorio ogni singola persona svolge un compito differente, una parte del lavoro finale e per fabbricare anche un unico oggetto i lavoratori devono per forza cooperare. Questa divisione del lavoro è già economicamente più efficiente in quanto la specializzazione permette a ciascuna unità lavorativa di diventare molto esperto in un determinato compito e di portare al massimo, appunto, l’efficienza lavorativa. In questo caso, però, cambiando il numero dei lavoratori – in più o in meno – non si assiste ad una modificazione del prodotto finale in percentuale al numero delle persone che vengono aggiunte o tolte. Paradossalmente, aggiungere o diminuire il personale potrebbe portare allo stesso risultato finale non prevedibile: aggiungere nuove figure lavorative potrebbe portare sia ad un miglioramento che ad un peggioramento se si interferisse con il flusso di lavoro. Questo è quello che succede nell’organizzazione sanitaria: la correttezza – ed anche il numero – delle prestazioni dipende più dall’organizzazione e dalla sapiente miscela dele conoscenze tra le diverse parti più che dal loro numero. Se inoltre inserirete in tutto questo le parole merito, preparazione, capacità di collaborazione, inventiva, capacità di innovazione, ricerca, è possibile che abbiate le chiavi per costruire non solo una nuova organizzazione sanitaria più efficace e con costi minori, ma un Paese diverso all’altezza di sfide più complicate.

Grecia: la mortalità infantile aumenta del 43% secondo Lancet

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Se uno Stato va in bancarotta come sarà la salute dei suoi cittadini? E se rifiuta i diktat dei creditori internazionali sui tagli del servizio sanitario cambierà qualcosa? La risposta ci arriva da uno studio pubblicato a febbraio sulla forse più prestigiosa al mondo rivista medico-scientifica “Lancet” compilato da ricercatori delle università inglesi di Cambridge ed Oxford. Mentre la risposta alla prima domanda appare più prevedibile, la seconda è tutt’altro che scontata. Ma andiamo per ordine.

I ricercatori hanno preso in considerazione i dati provenienti dalla Grecia di cui tutti conosciamo la parabola economica recente e che certamente non può pensarsi come culturalmente diversa dalla Francia o dalla Germania. I risultati sono stati davvero al di là delle attese: la mortalità infantile è raddoppiata con un aumento dei bambini sottopeso alla nascita di quasi il 20%, cifra pari a quella dei bambini nati morti. La situazione è così grave  per le persone affette da malattie croniche gravi come ad esempio il diabete che spendono tutte le loro risorse solo per comprare cibo oppure l’insulina per sopravvivere. Il taglio delle forniture di siringhe monouso ha poi fatto impennare le infezioni da AIDS da 15 a quasi 500 in tre anni.

Ma se in Grecia questa è la situazione imposta dalla Troika europea che ha obbligato al dimezzamento del bilancio del Servizio Sanitario, i ricercatori britannici hanno scovato un vero e proprio caso “di scuola” dove le cose sono andate diversamente grazie alle decisioni politiche prese in controtendenza, o meglio in speculare contrasto rispetto alla Banca Centrale Europea o al Fondo Monetario. Infatti ci eravamo dimenticati della feroce crisi economico-finanziaria che qualche anno orsono aveva colpito l’Islanda, che invece aveva duramente respinto le misure dettate dai creditori internazionali e dal fondo monetario – pur ricordando che Rejkyavik non fa parte dell’Unione Europea. Gl islandesi,, così come i finlandesi, attraverso un durissimo ma solidaristico piano di sacrifici scelti attraverso la condivisione popolare ma soprattutto concentrando i tagli in altri settori , hanno compensato gli effetti nocivi della crisi sulla salute delle loro popolazioni, non  facendo registrare particolari scostamenti sulla mortalità infantile e altri parametri riferiti alle patologie più gravi.

Qui puoi scaricare l’articolo di Lancet

Sanità senz’anima a Progetto Democratico

Domani presenterò il libro di Gerardantonio Coppola alle ore 20.30 nella sede di Progetto Democratico in via Ormea 93 F. Una serata per parlare di salute, medici, medicina, servizio sanitario, ospedali, spesa sanitaria… Venite a parlarne con noi, senza peli sulla lingua.

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Le distrazioni della politica sulla Sanità

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Esiste una certa distrazione sui temi delle politiche del Sistema Sanitario. Tutta la discussione sembra concentrarsi ad esempio sui cosiddetti “costi standard”, lasciando in un cono d’ombra i fatti e le trasformazioni che il sistema salute sta affrontando nel più profondo silenzio. In realtà chi si occupa di sanità ad ogni livello, sente come necessario concentrarsi su temi quali la geografia dei servizi (cosa fare e dove farlo), le priorità di intervento, il raggiungimento dell’equità nella distribuzione dei benefici sanitari e via discorrendo. Ad aggravare questa tendenza ci si mette una malattia endemicamente presente nel nostro Paese: si dibatte su dati non più attuali quando non clamorosamente errati. Se ad esempio l’invecchiamento della popolazione italiana è un trend di clamoroso impatto ciò non si è però tradotto in un aumento dell’ospedalizzazione; oppure il tasso di crescita della spesa sanitaria degli ultimi anni non registra aumenti preoccupanti. La discussione politica non sembra quindi davvero accorgersi di cosa stia effettivamente accadendo nei luoghi di diagnosi e cura. In questo modo problemi come la trasformazione delle risposte all’utenza legate all’accorpamento delle aziende, l’approssimazione nella capacità di governo pubblico dei problemi delle persone non autosufficienti, la stessa trasformazione della classe medica con una, peraltro positiva, femminilizzazione della dirigenza sanitaria cui non corrisponde un allineamento delle retribuzioni rispetto all’altro sesso, sono relegati a curiosità poco appetibili per i media nostrani e a poca consapevolezza del decisore politico. La mancanza di attenzione alle reali dinamiche presenti all’interno del sistema sanitario non potrà certo allinearsi con risposte moderne, efficienti e soprattutto efficaci che il normale cittadino richiede a fronte di un impegno finanziario diretto (tasse) o indiretto (pagamento in proprio di prestazioni non assicurate dal sistema) e come garanzia indicata dalla nostra stessa Costituzione