Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

Medici gettonisti in Piemonte: un pranzo gratis?

sanitàIl Piemonte di Cirio è la Regione in Italia che ha speso di più per le prestazioni di medici – e infermieri -“gettonisti”: oltre 115 milioni di euro. Cifre che vanno oltre quelle di Regioni come la Lombardia (104 milioni di euro), bastione della sanità privata e molto più popolosa della nostra. E ad accorgersene c’è voluta l’ANAC, l’autorità anti corruzione che ha messo la lente d’ingrandimento sul fenomeno rilevandone la criticità dato che il fenomeno appare in costante crescita: 51 milioni di euro nel 2021, 76 nel 2022 e 100 tondi nel ’23. E la prima domanda che viene da farsi è: come mai altre regioni con la stessa crisi di personale hanno risposto meglio rispetto alla nostra spendendo di meno? Forse che in tempi non sospetti hanno coperto le piante organiche in maniera più efficiente?

Questo pranzo non è stato quindi gratis in quanto si tratta di risorse del tipo “una tantum” che non daranno nessun tipo di vantaggio nel lungo periodo, dato che saranno professionisti che interromperanno la loro attività finito il pagamento della prestazione.

Senza entrare sulle conseguenze “sul campo” di tali scelte che vanno dalla mancata garanzia di continuità assistenziale al diverso riconoscimento anche economico rispetto a chi, restando fedele al sistema pubblico, macina turni massacranti rinunciando a ferie e al tempo di vita ( ben sapendo che i medici non percepiscono nessun guadagno se fanno straordinario).

Non viene il dubbio che queste risorse potevano essere spese in maniera efficace ed efficiente, soprattutto tenendo conto che siamo tutti noi a pagarle?

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Italia: diseguaglianza di salute di genere e di reddito. Indagine OCSE

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Su Quotidiano Sanità: Cronicità. Quattro pazienti su dieci non si sentono sicuri nella gestione della propria salute e non si fidano del loro sistema sanitario. In Italia problemi di diseguaglianze di genere e di reddito. La prima indagine Ocse su 19 Paesi.

 

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Salute & Ambiente

sanità pubblica imm.001Quando parliamo di ambiente non possiamo non parlare di salute. Un esempio fondamentale è il legame che esiste tra la sfida energetica e la tutele della salute. Uno dei nodi principali infatti non sembra essere tanto la possibilità di reperire energia, bensì le conseguenze dell’utilizzo di fonti fossili energetiche alle quali ci stiamo affidando in modo “eccessivo” e i relativi impatti dannosi. Quindi uno dei primi passi da compiere è l’individuazione degli effetti sull’uomo e dei fattori scatenanti. Richard Klausner individua alcuni punti su cui interrogarsi preventivamente nella valutazione delle differenti possibilità di scelta:

- quali saranno gli effetti

- in che modo si manifesteranno

- quale sarà la loro portata

- quando si manifesteranno

- chi verrà colpito in misura maggiore.

Esistono strumenti scientificamente consolidati per rispondere a queste domande?

Uno degli strumenti più raffinati che viene impiegato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nelle sue rendicontazioni sullo stato globale della salute è il DALY, sigla che significa Disability-Adjusted Life Years. Questo strumento permette di “misurare” il peso della malattia in una comunità attraverso la combinazione di diversi parametri: perdite dovute a morte prematura e perdite di vita sana dovuta a forme di inabilità. Un singolo DALY è uguale alla perdita di un anno di vita in buono stato di salute. Tra le diverse funzioni, il DALY serve anche a selezionare e misurare il costo degli interventi per la prevenzione e/o cura di determinate malattie, quindi anche per la definizione delle priorità in sanitarie e per la scelta dell’attribuzione di risorse finanziarie e umane.

Una proposta che sostengo per la prossima legislatura regionale in Piemonte è il rafforzamento di questo tipo di parametri per valutare in maniera più scientifica, comprendere gli impatti di ciò che scegliamo dal punto di vista ambientale e disegnare le priorità in sanità derivanti dalle scelte ad esempio energetiche che ci apprestiamo a compiere.

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Capire il lavoro nella sanità è costruire un nuovo Paese

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In tempi di spending review il lavoro sanitario è certamente uno degli argomenti su cui si esercitano esperti di ogni caratura con soluzioni talvolta fantasiose. Tagli lineari di miliardi di euro sono annunciati in ogni dove mediatico incontrando resistenze e plausi spesso acritici o semplicemente esasperati dalle diverse esperienze di buona o cattiva prestazione sanitaria ricevuta nella vita di ognuno. In pochi, però, arrivano a capire l’organizzazione della diagnosi e cura che oggigiorno si trova ad affrontare le nuove esigenze dei cittadini che ricorrono ai servizi ospedalieri o di base. Compreso chi dovrebbe governare il sistema a livello regionale o di azienda sanitaria. Senza addentrarsi in analisi poco adatte a questa piccola nota, molti pensano il lavoro sanitario  come quello di una fabbrica nella quale i diversi lavoratori, nella diversità delle competenze, eseguono fondamentalmente tutti il medesimo compito e ogni unità lavorativa esegue da solo tutti i passi per fabbricare un oggetto. Con questa logica la produzione dell’oggetto sarà funzione del semplice numero di lavoratori il cui contributo sarà la divisione del numero di oggetti prodotti per il numero degli stessi lavoratori. Potremo quindi modulare il semplice numero dei lavoratori per ottenere maggiore o minore produzione o fare in modo che ogni lavoratore produca più velocemente l’oggetto in questione riducendo il tempo di fabbricazione. Ma il sistema delle cure appartiene ad un altro tipo di “fabbrica”. In questo diverso laboratorio ogni singola persona svolge un compito differente, una parte del lavoro finale e per fabbricare anche un unico oggetto i lavoratori devono per forza cooperare. Questa divisione del lavoro è già economicamente più efficiente in quanto la specializzazione permette a ciascuna unità lavorativa di diventare molto esperto in un determinato compito e di portare al massimo, appunto, l’efficienza lavorativa. In questo caso, però, cambiando il numero dei lavoratori – in più o in meno – non si assiste ad una modificazione del prodotto finale in percentuale al numero delle persone che vengono aggiunte o tolte. Paradossalmente, aggiungere o diminuire il personale potrebbe portare allo stesso risultato finale non prevedibile: aggiungere nuove figure lavorative potrebbe portare sia ad un miglioramento che ad un peggioramento se si interferisse con il flusso di lavoro. Questo è quello che succede nell’organizzazione sanitaria: la correttezza – ed anche il numero – delle prestazioni dipende più dall’organizzazione e dalla sapiente miscela dele conoscenze tra le diverse parti più che dal loro numero. Se inoltre inserirete in tutto questo le parole merito, preparazione, capacità di collaborazione, inventiva, capacità di innovazione, ricerca, è possibile che abbiate le chiavi per costruire non solo una nuova organizzazione sanitaria più efficace e con costi minori, ma un Paese diverso all’altezza di sfide più complicate.

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Sanità senz’anima a Progetto Democratico

Domani presenterò il libro di Gerardantonio Coppola alle ore 20.30 nella sede di Progetto Democratico in via Ormea 93 F. Una serata per parlare di salute, medici, medicina, servizio sanitario, ospedali, spesa sanitaria… Venite a parlarne con noi, senza peli sulla lingua.

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Perché bisogna difendere il Servizio Pubblico Sanitario

epidemiologia e prevenzione

Paolo Vineis ci (ri)spiega perché sia necessario difendere il Servizio Pubblico. Non solo quello sanitario

Qui il collegamento con l’articolo pubblicato in Epidemiologia & Prevenzione

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Crisi Piemonte: iniziamo dalla Sanità.

chiamparino

Il tramonto dell’attuale classe amministrativa del Piemonte è nei fatti. Ricorsi o non ricorsi, la sensazione della chiusura di un ciclo è palpabile nel comune sentire, anche se ciò non significhi automaticamente il passaggio di colore nelle bandierine del Consiglio Regionale. Ma è necessario dare una solida base ai ragionamenti che in tutti questi anni sono stati al centro di una crisi non solo politico-economica ma soprattutto sociale. Presentarsi di fronte alle speranze delle persone cercandone il consenso necessita un momento di ragionamento profondo e salutare dove si raccolgono tutte le battaglie fatte e si proiettano in un’idea di società, di volontà politica chiara e senza ambiguità. La proposta è quella di ripartire da un’idea di salute e di organizzazione dei servizi sanitari importante non solamente perché questa rappresenta circa l’80% del bilancio dell’attività di ogni regione, ma soprattutto perché i motivi ed i modi delle risposte sanitarie danno il senso e la forma di quale società vogliamo costruire. Tenendo conto che anche il centrosinistra dovrà operare scelte davvero dolorose per rimettere all’onore del mondo quanto di più sensibile tocca ogni cittadino: le cure e l’assistenza alla propria persona. Da qui dobbiamo ripartire, chiamando a raccolta le nostre intelligenze e la nostra esperienza per poter formulare proposte concrete ed efficaci sulla competenza principe dell’azione amministrativa regionale: l’organizzazione della risposta ai bisogni di salute. Che, è ormai ampiamente riconosciuto, non può limitarsi ad una risposta di tipo economicistico o semplicemente organizzativo. La proposta è quindi quella di iniziare a lavorare da subito trovando i modi e le sedi adeguate per iniziare a costruire una risposta forte e moderna che dovrà arrivare in tempi rapidi e certi. Una domanda che proponiamo prima di tutto a Sergio Chiamparino, il candidato certamente meglio “attrezzato” e che personalmente ritengo dotato di personalità e capacità politica tale da comprendere immediatamente quante chances si giochino su questo fronte anche in altri settori che devono essere rilanciati nella nostra Regione quali il lavoro, la ricerca, l’innovazione. Subito quindi una sorta di Stati Generali della Salute del centrosinistra. Per il nostro benessere e la nostra sicurezza di cittadini

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I ticket sanitari pesano più dell’Imu

I ticket sanitari hanno un impatto sulle famiglie maggiore dell’Imu o dell’Iva, producono una diminuzione delle prestazioni specialistiche e provocano una diminuzione del gettito nelle casse dello Stato. Queste le conclusioni del Presidente dell’Agenas (l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) Giovanni Bissoni derivanti dai dati presentati da uno studio condotto dalla stessa Agenas e presentato il 9 maggio scorso. Per maggiore memoria, i dati si riferiscono al superticket introdotto nel 2011 dalla finanziaria firmata dal Ministro Tremonti e che avrebbero dovuto compensare un mancato finanziamento al Sistema Sanitario Nazionale di 830 milioni, mentre la stima del gettito ottenuto è di soli 244 milioni. Ma gli effetti negativi prodotti non si fermano al solo versante finanziario, registrandosi ad esempio una flessione del 17.1 % di prestazioni specialistiche da parte di cittadini esenti, non attribuibili certamente ad una maggiore appropriatezza delle prestazioni, tenendo anche conto solamente del profilo epidemiologico della popolazione. Riduzione delle prestazioni che danneggia doppiamente il Ssn che realizza entrate molto al di sotto delle stime iniziali ma con costi fissi inalterati. La maggiore flessione riguarda in maniera più marcata gli esami di laboratorio. Per farla breve – e dare un numero significativo – gli effetti del superticket tremontiano si aggirerebbero in media a circa 400 € a famiglia. Come altre volte, quindi, bisogna porre maggiore attenzione alle spese nemmeno tanto nascoste che una tassazione sprovveduta produce e smettere di considerare prioritari falsi obbiettivi politici come quelli dell’Imu.

Qui è scaricabile la ricerca dell’Agenas

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La sanità tagliata non produce salute

La cura della nostra salute costa circa l’80% del bilancio delle nostre casse regionali. Questo semplice fatto rende conto dell’attenzione che i tagliatori di spesa a tutti i livelli prestano al “forziere” sanità cercando di trovare lì il propellente liquido per far fronte alle attuali crisi. Finora la scure è calata con modalità di semplice comprensione anche ai non esperti: tagliare dappertutto di una X percentuale in maniera “lineare”, cioè sia a livello di ospedali che di regioni, servizi, personale, strumentario e via discorrendo. Insomma abbiamo fretta, i soldi sono in gran quantità spesi per la salute, bisogna cercare di non scontentare più di tanto nessuno e quindi sembrerebbe davvero equo tagliare una certa porzione in maniera uguale a tutti. Ma davvero questo metodo ci porterà ad una nuova salute finanziaria? Pare di no leggendo un “working paper” a cura dei ricercatori dell’ALTEMS (Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari) dove un confronto  delle performances economico-finanziarie tra le principali aziende ospedaliere del Lazio con alcune aziende nazionali, fa emergere alcune idee interessanti. Come ad esempio il livello di produttività e di efficienza delle singole strutture è molto differente e le singole aziende non producono tutte le stesse cose. E così tagliare di una stessa percentuale le risorse può condurre al collasso quelle che non funzionano bene ma non avvantaggiano certamente quelle che sono state precedentemente virtuose. Non solo, ma questo criterio in realtà produce più danni di quelli che vorrebbe sanare. Bisogna quindi certamente abbandonare ogni pregiudizio ideologico e interrogare in maniera veramente scientifica i dati, le informazioni che pure sono a disposizione per pensare in maniera assennata dove e come mettere le risorse a disposizione. Ma soprattutto colpisce la chiosa della presentazione: “In un tale contesto due opzioni sono possibili: (1) perseguire ottusamente il miraggio di un sistema totalmente pubblico ma “snello”, oppure, forse più pragmaticamente, (2) investire su quello che realmente funziona meglio sviluppando nell’amministrazione Regionale la funzione di “committenza” e conseguendo, attraverso gli strumenti già noti (autorizzazione stringente, accreditamento all’eccellenza, accordi contrattuali rigorosi, tariffario “competitivo”), una vera e propria rivoluzione, salvando la sanità pubblica della Regione.”

Leggi il working paper


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Con la crisi peggiora lo stato di salute in Italia

 Roma, 6 dic. (Adnkronos Salute) – Più poveri e ‘malaticci’. La crisi economica sta facendo sentire i suoi effetti anche sullo stato di salute psicofisica degli italiani che, rispetto al periodo pre-crisi, stanno peggio. E’ quanto emerge da un’indagine del Centro studi della Fimmg (Federazione italiana medici medicina generale) che ha esplorato gli effetti della crisi economica sulla salute delle persone attraverso gli occhi attenti dei medici di famiglia che, con oltre un milione di contatti giornalieri, costituiscono un monitor efficace sui fenomeni che riguardano la popolazione.

La ricerca completa – condotta su un campione di 1.050 medici – sarà presentata mercoledì prossimo a Roma, in occasione dell’incontro ‘Fare i conti con la salute. Le conseguenze della crisi sul benessere psicofisico della popolazione’, organizzato dalla Fimmg. Analizzando le tabelle dello studio balza agli occhi un dato significativo: per il 50% dei camici bianchi, con la crisi economica, lo stato di salute degli italiani è peggiorato rispetto a qualche anno fa. Una percentuale che cresce al Sud e nelle Isole (57%) e nelle zone dove è diminuita l’occupazione (63%). Per il 48% è invece stazionario, mentre solo l’1,4% ritiene che sia migliorato. Il 64% dei camici bianchi nota inoltre che i pazienti, sempre a causa della crisi economica, trascurano il proprio stato di salute.

Dall’indagine emerge chiara la correlazione tra disagio socio-economico e salute psicofisica: l’89% dei medici di famiglia riferisce che i pazienti, a causa della crisi economica, sono più stressati. “Un aspetto – spiega Paolo Misericordia, responsabile del Centro studi Fimmg – che si registra soprattutto nei territori con più disoccupazione, criminalità e malessere sociale”.

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