Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

Cambiamento climatico e salute mentale

cambiamento-climatico-e-salute-mentale-4050Un opportuno stimolo da un testo veramente ricco e completo che invito caldamente a leggere.

“(…) Le sfide poste dal cambiamento climatico mettono a nudo le tensioni tra individuo e collettività, chiamando in causa una condivisa responsabilità morale, cioè politica. Parlare di ecoemozioni e di sindromi legate al cambiamento climatico espone il dibattito sul ruolo della psicoterapia nel mondo contemporaneo e la sua prospettiva antropocentrica e individualista., mettendo criticamente in discussione la dicotomia tra l’attenzione alle soluzioni individuali e la necessità di interventi trasformativi collettivi (quindi politici).

In realtà, nelle società occidentali, la chiave del successo, e quindi l’attenzione delle persone, sono principalmente l’individualità e la responsabilità personale; pertanto, la gestione e il trattamento delle emozioni ecologiche avviene solitamente attraverso l’attenzione alla resilienza, al coping e all’adattamento alle esperienze stressanti mentre si portano avanti i propri compiti di vita. Questo è coerente con il sistema neoliberale basato sulla competitività, la crescita economica e la supremazia del mercato, in cui ogni persona si sente impegnata a perseguire la realizzazione personale, finché non viene sopraffatta dalle crescenti aspettative insieme all’esaurimento e al crollo. Inoltre, vivere in un mondo sempre più incerto ed insicuro mina la fiducia delle persone, spingendole a cercare distrazione e conforto impegnandosi in attività di piacere e nel consumismo. Ma sia le richieste economiche sia le azioni di compensazione si rivelano distruttive per l’ambiente e la popolazione umana, aumentando i sentimenti di colpa, vergogna e inadeguatezza. Il cambiamento climatico mette in discussione l’ideologia neoliberista della crescita illimitata e del progresso perenne, promossa negli ultimi quarant’anni. Etichettare questo conflitto interiore e i correlati sentimenti di angoscia solo attraverso la terminologia psicopatologica e medica, concentrandosi esclusivamente sulla gestione dei sintomi e sul trattamento cognitivo-comportamentale individuale,  senza sottolineare la responsabilità economica e politica, è una dannosa semplificazione in quanto invalida questi sentimenti come base per l’azione e il cambiamento, indebolisce il loro potenziale di critica sociale e di protesta, portando eventualmente al fallimento e all’aumento del senso di impotenza, e così rendendo tale conflitto disadattativo. Addossare all’individuo la responsabilità di affrontare un problema globale rafforza le ragioni della depressione e dell’ansia.

È fondamentale evitare che gli interventi di salute mentale legittimino e consolidino status quo sociopolitici insostenibili, riconoscendo l’importanza di attivarsi nel mondo reale a livello collettivo per affrontare un problema di sistema. Il rischio è che l’ottenimento di di una nuova classificazione dei disturbi mentali legati alla crisi climatica, validata attraverso specifiche valutazioni psicometriche, porti i professionisti della salute mentale ad attenersi al ruolo di operatori sanitari e induca le persone colpite ad identificarsi come pazienti, invece di stimolare un dibattito su come costruire uno stile di vita equo e sostenibile sul pianeta Terra. In questo momento storico cruciale, il pensiero critico è uno strumento essenziale. (…)”

Nuovi confini della psicoanalisi

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   Molta letteratura psicoanalitica mostra le proprie Colonne d’Ercole, al di là delle quali non è possibile andare, in quadri psicopatologici diversi arrivando al limite della possibilità di poter dare un aiuto significativo a patologie come la schizofrenia (per quanto valga oggi tale inquadramento). L’idea sottostante è spesso ancora quella che esista un continuum tra quadri cosiddetti “nevrotici” più affrontabili e con maggiori risorse disponibili per la “guarigione” (e qui non ci addentreremo su cosa ciò significhi in analisi) passando poi per gli stati “borderline” e quindi le psicosi, con minori chance di trattamento. Eppure per diverse ragioni facilmente comprensibili, si sta aprendo la strada una riflessione sui limiti e sull’opportunità dell’esperienza analitica in persone ormai anziane e che in passato non erano considerate idonee al trattamento analitico. L’idea non è certamente una novità, soprattutto ricordando come in campo medico gli operatori si trovino sempre più di fronte a pazienti anche molto anziani che vengono non solo assistiti, ma a cui vengono in numero sempre crescente proposte terapie anche impegnative. Nella storia della psicoanalisi si è assistito sempre più ad un ampliamento delle fasce d’età che possono avere giovamento dalla talking cure, ricordando sempre come fossero considerati limiti invalicabili l’età pediatrica da un lato e la maturità dall’altro. Se la comparsa di clinici come Melanie Klein hanno rappresentato un vero e proprio cambio di paradigma per l’età infantile, forse il tempo è maturo per una riflessione molto approfondita e sistematica sull’età “estrema” a cui la psicoanalisi può rivolgere i propri benefici. Tra i tanti, mi piace riportare una riflessione di Franco De Masi nel suo “psicopatologia e psicoanalisi clinica” dove lamenta da un lato come la letteratura psicoanalitica trascuri abbastanza la sofferenza connessa all’invecchiamento , mentre dall’altro segnala come ” i pochi casi trattati analiticamente presenti nella letteratura hanno risultati sorprendentemente buoni e, pertanto, sarebbe molti utile se gli analisti fossero più consapevoli della richiesta d’aiuto da parte delle persone anziane che mancano di “oggetti” capaci di accogliere la loro angoscia e trasformarla”.

Paranoia. Luigi Zoja e la caffettiera della nonna

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Chi è il paranoico e perchè può oggi interessarci in maniera così stringente? Può la paranoia essere adoperata come uno strumento – non il solo certamente – attraverso cui capire meglio il nostro tempo? Luigi Zoja ci pone, in questo suo testo dalla leggibile complessità, di fronte a questa logica  nascosta che procede scambiando cause con effetti intravvedendo la possibilità di fuoriuscita dalla patologia individuale a quella della “massa”. E questo “stile sragionante” dove si spinge il proprio male all’esterno, inventando ostacoli ed ostilità e attribuendo sempre a qualcosa di “esterno”, “Altro da sè” tutti i guai passati, presenti e futuri, sembra davvero essere una delle cifre con cui guardiamo oggi il mondo. Con l’importante notazione di come esistano infinite gradazioni dalla normalità a ciò che definiamo come pazzia. Per capirci meglio basta riandare al caso della “caffettiera della nonna”. Un’ anziana signora era assistita da una giovane ragazza che viveva con lei. Un giorno la ragazza vide una caffettiera nella vetrinetta e disse: ” Che bella caffettiera!” La nonna cominciò a sospettare: quella caffettiera le piace troppo, potrebbe rubarla. Così la nascose. Dopo qualche giorno alla nonna venne voglia di caffè. e, abitudinaria come tutti gli anziani, cercò la caffettiera nella vetrinetta. E non la trovò, dimenticandosi che l’aveva nascosta. “La caffettiera non c’è più, dunque è stata rubata dalla ragazza” ricavando una conferma dalle premesse che lei stessa aveva creato.

Dentro e fuori la stanza. Costanza Jesurum

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 Costanza Jesurum ha scritto un bel libro su “cosa accade a chi fa psicoterapia oggi”. Un argomento certamente molto difficile da digerire, soprattutto in tempi dove tutto è breve: terapia breve, velocità nella cura, immediata risoluzione dei problemi di qualsiasi natura, farmaci che agiscono nello spazio di un caffè (ma non si sa fino a quando…) e via di questo passo. Senza essere un vademecum in cui trovare allineate in ordine alfabetico le risposte alle domande che un po’ tutti si pongono quando si avvicinano al mondo della psicoterapia (che cos’è rispetto alla medicina? Perchè ci sono tante scuole? Perchè bisogna pagare le sedute che si saltano? Quali rischi si corrono nell’affidarsi a chi promette di guarire la nostra psiche?), il testo rappresenta un filo di Arianna che percorre le infinite e diverse sfaccettature di un incontro tra due menti permettendoci di non perdere mai la direzione o di saltare su altri mondi che poco hanno a che fare con l’argomento. Per arrivare a sentire che ogni psicoterapia è un campo affettivo dove si arriva credendo che una coosa sembri ma non sia, per scoprire che è diversa da quel che si credeva…

Psicopatologia e Psicoanalisi Clinica. Franco De Masi

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Franco De Masi non ha bisogno di molte presentazioni per chi pratica l’area della psicoanalisi. Già Presidente del Centro Milanese di Psicoanalisi, membro della Società Italiana di Psicoanalisi, ha al suo attivo molte pubblicazioni con una particolare attenzione per la comprensione psicoanalitica e la terapia dei pazienti più gravi. Leggere, però, il suo “Psicopatologia e Psicoanalisi Clinica” – ed. Mimesis, 2016 (pag. 216), ci riporta non solo ai fondamentali della materia, ma a tutto ciò che nella storia della disciplina si è mantenuto integro e vitale tenendo conto degli autori che hanno ampliato e contribuito all’evoluzione delle tecniche e delle teorie analitiche. Lontano dall’idea che esista una singola teoria psicoanalitica ortodossa, De Masi passa in rassegna i concetti del lavoro analitico senza pensare ad una loro linearità, ma cogliendone le molteplici stratificazioni che si sono aggiunte nel corso del tempo. Il testo non vuole essere una “summa” del sapere psicoterapeutico/psicoanalitico, ma è il naturale sviluppo dei suoi insegnamenti agli allievi della Sezione Milanese dell’Istituto Nazionale del Training della Società Psicoanalitica Italiana, registrate e trascritte dagli allievi e riviste dall’Autore. Il testo è, a mio modesto parere, un importante strumento da tenere nella cassetta degli attrezzi di chi sente la necessità di confrontarsi con chi ha praticato quest’arte e, soprattutto, ha vissuto in prima persona il presentarsi di nuove idee e tecniche che oggi vengono considerate dei classici, nel bene e nel male.

“L’aspettativa dei giovani analisti, che anch’io avevo ai miei tempi, è di poter arrivare a possedere un sistema organico di teorie e conoscenze tali da poter comprendere e orientarsi con sicurezza nel lavoro clinico. Purtroppo, invece, la conoscenza analitica deriva, e si arricchisce continuamente, dalla pratica clinica, che perciò diventa sempre più efficace. Non è possibile nessuna conoscenza valida sempre. Spesso l’analista , anche quando ha raggiunto un elevato livello di competenza, si meraviglia di quel che ancora non conosce e di come si ampli continuamente la sua visione. Se guardiamo le cose da questo punto di vista, è chiaro che non esiste una teoria generale della psicoanalisi, ossia non esiste una teoria esplicativa che possa aiutarci a comprendere la molteplicità dell’esperienza clinica. Esistono invece alcune ipotesi che possono rivelarsi utile quando sono applicate ad ambiti psicopatologici specifici. In psicoanalisi, come in ogni scienza, non esistono verità eterne…”

Otto Kernberg. Narcisismo: la dimensione politica

La conferenza dello psicoanalista Otto Kernberg tenutasi a Torino e organizzata dall’Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica