(via Lavoce.info) La XVI legislatura ha compiuto due anni e tra pochi giorni sarà trascorso lo stesso periodo di tempo per il governo Berlusconi, insediatosi l’8 maggio 2008. Il bilancio della legislatura coincide in larga parte con quello del governo sia perché fino a questo momento il perimetro della maggioranza è rimasto identico, sia perché in Parlamento la compagine governativa domina con i numeri l’attività legislativa. Riprendendo una formula analoga a quella di un anno fa cerchiamo di mettere in luce con dieci schede, ciascuna dedicata a uno dei principali temi della politica nazionale, che cosa è stato fatto o non è stato fatto in questo primo biennio. La raccolta è stata in parte curata da Pietro Ichino e pubblicata anche sul suo sito.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
Il progresso è più rapido della giustizia. Il problema è che la politica è ancora meno rapida della legge. Se tutti i nostri parlamentari sono in corsa per vedere come correre o meno dietro alle necessità del Presidente del Consiglio, esistono aspetti che possono farci scivolare ancora più in basso nell’unica possibilità che abbiamo di risollevare e rendere al passo con i tempi il nostro Paese. Parliamo di innovazione che crea lavoro e ricerca che non riusciamo ad attrarre. Un dibattito che si è aperto e di cui continuiamo a non vedere traccia nei nostri media è quello sulla brevettabilità delle sequenze geniche. in sostanza non possediamo un sistema giuridico flessibile e efficiente che possa dare risposte efficaci all’evoluzione delle ricerche che si stanno compiendo nel mondo riguardanti l’uso e la proprietà di sequenze di genoma che possono già oggi contribuire a dare sollievo a molte persone affette da diverse malattie. Oggi esiste infatti una zona grigia di ricerche, offerta di servizi, test, applicazioni cliniche che non possono essere utilizzati in sicurezza perchè mancano le regole ed i confini di applicazione. E, a ben vedere, l’argomento non sembra di forte interesse per la politica che in questo caso dovrebbe rappresentare lo strumento per accendere il nostro futuro anche in questo campo. Perchè oggi si sta andando velocemente dalla scoperta alla applicazione della bioingegneria. La stessa ricerca e la conseguente brevettabilità impegna risorse ingenti sia in termini di milioni di euro che di anni. E la partita che si sta giocando è quella di una nuova medicina, dove le cure diventano personalizzabili, dove la genetica è impiegata per stabilire quali cure possano o meno funzionare su una determinata persona. Il fatto che nel nostro Paese l’attenzione a questi risvolti sia pressochè nulla, ci porta ad essere poco “appetibili” come sede di ricerca e sviluppo scientifico e questo è un problema sempre più evidente che ci sta allontanando dalle nazioni più progredite, con un domani fatto semplicemente di spesa per comprare quelle tecnologie che potevano possedere in casa. Senza tenere conto che spesso sono proprio i giovani i ricercatori che si applicano in questi campi. Giovani di cui abbiamo bisogno perchè hanno idee e capacità di sviluppare lavoro per sè e per gli altri. Una vera forza che si candida alla guida del Paese deve sicuramente stare in guardia nella difesa dei valori della Costituzione e delle aberrazioni “ad personam”, ma dovrebbe centrare la sua azione e la sua proposta su questi temi, farne il proprio motore trainante. Se ci si vuole occupare di sistema giuridico, si inizi a costruire una proposta vera su questo tema facendolo diventare la punta di diamante dell’azione politica. Anche le persone che tutti i giorni si alzano la mattina per andare a lavorare in ogni condizione comprenderebbero meglio a cosa serve la politica.
Spulciando tra i programmi dei candidati inglesi per le prossime elezioni del 6 giugno in Gran Bretagna ci si può imbattere in una proposta apparentemente curiosa avanzata dai liberaldemocratici di Nick Clegg sulla sanità. In sintesi l’idea è quella di trasformare i “primary care trust”, che possiamo pensare come i corrispondenti della nostra Asl, in organi elettivi. In realtà l’idea non è così curiosa come potrebbe apparire e ne abbiamo traccia anche in Italia nell’opera di Maccacaro negli anni ’70. Proprio oggi, nel pieno della discussione di deficit sanitari, di critica ai poteri dei Direttori Generali sempre più monocratici, di ingerenze della politica persino nella nomina dei primari degliospedali, questa proposta non è certamente da scartare. Malgrado tutto, infatti, uno dei settori di spesa maggiormente delicati e certamente onerosi, rimane in mano diretta non tanto della politica, quanto dei politici senza nessun vero controllo da parte di chi fruisce dei servizi sanitari. Il fatto che chi amministra il settore locale sanitario debba rispondere direttamente ai cittadini senza interposizioni e debba presentare un ventaglio di soluzioni al giudizio degli stessi fruitori del servizio con possibilità di scelta, potrebbe configurarsi come una piccola rivoluzione positiva con una semplificazione tra chi governa un sistema e chi ne usufruisce, rendendo maggiormente responsabili anche i cittadini del territorio sulle scelte da compiere e sottraendo la nomina al clientelismo politico e a meccanismi oscuri da parte ad esempio dei Presidenti di Regione che continuano a non essere perfettamente chiari. Chiaramente questa è una traccia che deve essere maggiormente sviluppata per ciò che riguarda il nostro territorio e che necessita di limiti e contrappesi adeguati come obbiettivi di politica sanitaria nazionali condivisi e mantenimento di interesse pubblico. Ma sicuramente ha il pregio della chiarezza, della responsabilità dei cittadini di una comunità data, della possibilità di scelta tra diversi programmi, di elezione di tecnici con una certa conoscenza del territorio in questione e via discorrendo.
Un fiorire di analisi, dati, commenti e qualche ricetta ci ha sommerso dopo le recenti elezioni regionali. Ricambi generazionali, di segretari di partito, bagni – pelosetti – di umiltà, indicazioni sul dove e come “stare con la gente”: non c’è che dire ne abbiamo sentite di ogni sfumatura. Forse l’ha però azzeccata Sergio Chiamparino quando dice che sì, bisogna stare tra la gente, ma sapendo anche cosa dire. E questa osservazione mi colpiva quando, tornando in treno da Roma, mi godevo la lettura di un bel libro che consiglio vivamente edito da Rubbettino: “Jacques Delors: Memorie”, fortunosamente trovato nella libreria vicino a Montecitorio. Perchè per rispondere al federalismo arraffazzonato degli omini verdi, basterebbe conoscere e puntare veramente sull’Europa, sempre più vissuta come luogo lontano ed estraneo, ma in verità vera fucina di nuove idee e campo su cui ci stiamo giocando senza accorgercene il nostro futuro. “La competizione che stimola, la cooperazione che rafforza, la solidarietà che unisce” è il credo di Delors, e basterebbe quasi per creare un programma politico. Basterebbe davvero conoscere dove nascono e vengono discusse le idee che ci governeranno nei prossimi anni, e che non saranno certamente le false crociate contro fantomatici immigrati che otterrebbero cure mediche nei pronto soccorsi prima degli “Taliani”. Pensiamo davvero che i nuovi governatori risolveranno i nostri problemi di lavoro facendo denunciare gli immigrati al Pronto Soccorso o magari attirando i fondi europei nelle proprie terre con seri progetti ambientali, industriali internazionali? Il problema sono le ronde padane o i fondi FESR dell’Unione Europea? Il problema è propagandare la visione dei film posticci su Barbarossa o studiarsi meglio il trattato di Lisbona? E il nostro tramite con l’Europa e con il mondo è davvero Borghezio? Il nostro problema è rinnovare anagraficamente la classe politica o iniziare a guardare il merito delle persone, dare la guida del nostro futuro a persone competenti?
Nel leggere le memorie di Delors si sente un respiro diverso, una costruzione di idee, di leggi come pure di uomini che mirano all’eccellenza e costruiscono la propria personalità politica sull’eccellenza, senza dimenticare le risposte vere ai bisogni delle persone comuni. Studiate, studiate, studiate diceva Gramsci, perchè avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. La vostra intelligenza, non la vostra ruffianeria o la vostra capacità di inseguire gli umori. Perchè, dopo averli denunciati, i problemi vanno risolti. E si risolvono non con la semplice gioventù, ma studiando. Come appunto fece Delors
Una bella riflessione di Michele Mezza dopo le ultime elezioni
E’ davvero incredibile con quale atteggiamento grave e pensoso, si dicano banalità. Oggi su repubblica Giovanni Valentini, con il tono di rivelare tutti i segreti di Fatima contemporaneamente, ci spiega, all’alba del 2010, che internet non è un mezzo ma è un sistema relazionale che rende la politica più efficacie. E lo fa, richiamandosi all’incursione di Berlusconi su Facebook.
Il dato drammatico è che questa banalità non appare in nessun frammento delle discussioni nel PD. In quel profluvio di dischiarazioni e balletti retorici di dirigenti in cerca di luce accanto al cadavere,nessuno in queste ore ha avuto l’idea di richiamare questo dato: gli unici fenomeni che emergono dal voto sono-Lega e Grillo- i due soggetti che si modellano su un network: territoriale la Lega, virtuale Grillo.Non è un problema di stile o moda: si tratta di un’idea nuova del mondo, e sopratutto una lucidissima strategia rispetto alla propria base sociale. Network significa sistema relazionale orizzontale, e non organizzazione gerarchia verticale. Il primo è oggi l’unico linguaggio politica praticabile, il secondo è un retaggio del ’900 senza interlocutori vivi.
Ora il fatto che nel dibattito a sinistra ancora non sia presente questa riflessione mi convince che siamo ancora lontani dal fondo del pozzo.Oggi siamo a learning by doing, ossia all’imparare praticando. Se non si sta nel fieme non ci si bagna.E non si colgono i fenomeni innovativi.
La mancanza di una lettura dei processi sociali ci impedirà ancora di trasformarci e di essere adeguati al modernoi.
Senza rete non si coglie il senso comune. Senza senso comune non si capisce dove andare e sopratutto con chi andare.E’ esattamente quello che sta accadendo da anni: pigliamo schiaffi in una stanza buia e l’unica cosa che facciamo e cambiare la faccia che viene colpita.
Mi rendo conto che la crociata sul TG1 sia più elettrizzante. Peccato che ci porta esattamente in una direzione opposta: centralità della TV di massa, importanza simbolica dei volti e dei messaggi delle news televisive, pooliticizzazione di ruoli professionali.Nel merito è una battaglia tecnicamente sbagliata: dopo tre decenni forse un conduttore può anche cambiare. Non è la prima volta. Altri direttori, in maniera più accorta, hanno modificato gerarchie e valori redazionali e nessuno si è stracciato le vesti. E’ inoltre sbagliato politicamente: la Rai diventa sempre la sostituzione della politica: il TG1 è il governo da abbattere, l’audience di Santoro è il consenso conquistato. Poi ci svegliamo e scopriamo che siamo su scherzi a parte.
La comunciazione oggi è sistema di produzione, e dunque va interpretato come uno spazio dove figure professionali e linguaggi crewano bisogni e conflitti materiali. Non come un’edicola dove vendere il proprio messaggio.
La scelta della rete, Obama insegna, non è una scelta tecnica, è politica allo stato puro: vuoldire scegliere come interesse prioritario la competitività degli individui, e non la protezione di masse inesistenti.
Trovo illuminante anche la vicenda della pillola RU 486. I governatori leghisti sono partiti lancia in resta, mettendo sul tavolo la propria sovranità sul territorio. Poi, grazie ad una reale immersione nel territorio, hanno percepito che la propria base sociale non è sintonizzata sulla ruffianata fatta al Vaticano e ora si fa marcia indietro. Non è una battuta a vuoto, è una straordinaria capacità di rappresentare, in real time, il mondo che si organizza.
Un medico, anche in politica, dovrebbe rimanere un medico. Ma cosa vuol dire? Il significato della frase può essere compreso dalle caratteristiche che Talcott Parsons riteneva fondamentali in chi esercita una “professione” – medici, sacerdoti, giuristi – differenziandole da quelle che contraddistinguono le pure “occupazioni” o “mestieri”. Il ruolo sociale di chi esercita una vera professione deve presentare quattro caratteristiche.
-“universalismo”: dal professionista ci si aspetta che non faccia favoritismi;
-“specificità di funzione”: gli si riconosce autorità nel suo campo specifico di intervento;
-“neutralità affettiva”: eviterà i sentimenti di amore e di odio, o almeno li controllerà, in modo che non interferiscano nella dinamica della relazione professionale;
-”orientamento verso al collettività”: dal professionista ci si aspetta che agisca in modo altruistico e non per denaro, a differenza di chi esercita un mestiere; nessuno può pensare che un commerciante mantenga indefinitamente aperta un’attività in perdita, ma ci si aspetta che il sacerdote, il giudice e il medico agiscano tenendo presente solo il bene della collettività e non il guadagno economico.
I tempi attuali non sembrano offrire molti esempi illustri in tal senso sia fuori che dentro la medicina. Ma ciò non toglie che queste caratteristiche possano essere il contributo che un medico sano possa donare alla gestione della cosa pubblica