Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

Prepararsi. Conversazioni con Jacques Attali

Ognuno si rende ben conto inconsciamente che il rientro non sarà facile, per non dire altro. Basta prendere sul serio qualche notizia che  ha fatto l’attualità di questa settimana: in Francia il numero di posti di lavoro distrutti è stato il più elevato dagli anni ’30 e delle onde di violenza percorrono le banlieues; In Europa la recessione si consolida con i piani di rigore; negli Usa una annunciata ricaduta della crescita lascia intendere che la crisi è lontana dal termine; gli incendi in Russia e le inondazioni in Pakistan ci ricordano la forza della natura alla quale l’uomo aggiunge i propri squilibri.

D’altra parte quali le buone notizie? In Europa padroni trionfanti annunciano profitti record e versano nelle proprie tasche bonus mai visti; In Asia e in altre parti sfoggiano delle crescite insolenti.

Alcuni, tra i più potenti, come dire i più ricchi, comprendono le minacce risultati da tali disequilibri e agiscono: la decisione di qualche miliardario americano, tipo Bill Gates e Warren Buffet, di impiegare almeno la metà dei propri patrimoni ad azioni di sviluppo mostrano, meglio di tutti i G20, la presa di cosscienza della necessità di una sincera azione mondiale e il discredito nel quale sono caduti i governi; se un tale movimento si estenderà a macchia d’olio, avrà un impatto considerevole e farà nascere una sorta di plutocrazia planetaria, innesco di un governo mondiale a carattere censuario. (altro…)

Sanità ed Istruzione come volani antirecessivi

Avere una forza lavoro ben pagata, con un più alto livello di benessere fisico ed un maggior livello di istruzione, rende i lavoratori più produttivi e il paese più ricco. Insomma, mentre i responsabili della politica economica europea si concentrano esclusivamente sui tagli alla spesa pubblica, ignorando gli effetti depressivi che questi in generale hanno sulla domanda aggregata, l’esperienza cinese degli ultimi decenni ci insegna che è particolarmente importante sostenere il settore dell’istruzione e della sanità (…).

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La nuova partita di Mercedes Bresso

Il riconteggio dei voti delle elezioni regionali in Piemonte più che aprire nuovi scenari, da il via a nuove partite sul fronte del centrosinistra, che molti pensano e nessuno dice. Molto di tutto ciò gira intorno alla possibilità che non si ritorni a nuove elezioni, ma ad una semplice sostituzione di Presidenti: via Cota, dentro Bresso. In questo caso Mercedes Bresso , il cui ruolo veniva dato per marginale, diventerebbe anche una volta il kingmaker della politica piemontese con Chiamparino “costretto” invece a sciogliere le sue perplessità politiche per giocare un ruolo di primo piano verosimilmente a livello nazionale. Gli stessi rapporti tra Mercedes Bresso ed il suo partito, il PD, si riposizionerebbero con un indubbio vantaggio a favore della “nuova” Presidente, tenendo conto che la sostituzione dei consiglieri del listino  premierebbe figure certamente molto vicine a Bresso diminuendo l’eventuale potere di interdizione all’interno della stessa maggioranza dei partiti del centrosinistra. In parole povere si è più vicini ad una soluzione senza nuove elezioni e con Bresso confermata per un secondo mandato in posizione di forza. Un nuovo scenario, insomma, che non potrà essere lo stesso di quello di qualche mese orsono anche se avesse vinto allora Bresso e nulla potrà essere come prima anche all’interno delle due coalizioni.

Il progresso scientifico militare meglio di quello civile?

Nero su bianco in un articolo web del Sole24ore, giunge l’elogio a Massimo d’Alema che afferma pubblicamente che in Italia si spende poco per gli armamenti. La posizione del lider maximo viene giudicata persino saggia per una ragione molto semplice: internet e il GPS nascono dalla ricerca e dallo sviluppo finanziato dal complesso militare-industriale, così come decine di soluzioni medico-sanitarie che hanno allungato la nostra vita. In sostanza la principale spinta alla ricerca, all’innovazione tecnologica ed al benessere civile nascono dalla ricerca sugli armamenti. In pratica  Einstein e migliaia di medici, biologi, fisici, cosmologi, ingegneri non hanno capito una fava e continuano a perdere tempo negli ospedali, laboratori, politecnici e via discorrendo, civili. La ricerca della gran massa degli scienziati non è un acceleratore di benessere e di pace quanto la ricerca su ciò che può distruggere la nostra civiltà. Sarà, ma non ci credo.

Il minimo comun denominatore possibile delle opposizioni.

A livello nazionale e locale, esiste una discussione sulla capacità delle opposizioni di unirsi e dare una prospettiva politica a tutti coloro che, con la propria “astensione” attiva, più che far vincere il centrodestra sembrano aver fatto perdere il centrosinistra. Nasce così un florilegio di temi su cui non sembra possa raggiungersi una vera sintesi, ma di cui la vera essenza è che poco interessano i cittadini che vorrebbero conquistare. Credo che il tema che continua ad interessare gli elettori del nostro Paese sia relativo alla perdita di potere economico, sia che si voglia leggere come perdita di posti di lavoro o di potere d’acquisto. Il resto rientra nella categoria “fuffa”. Su quali temi creare quindi una unità di forze politiche? Lasciando perdere la “fuffa” credo potrebbe essere apprezzato un cartello di forze politiche che si batta per politiche economiche di espansione – quelle che una volta si chiamavano keynesiane – rovesciando le screditate teorie economiche di depressione e di tagli delle destre; una nuova regolamentazione della finanza; una maggior capacità di controllo democratico sulla politica della banca centrale europea. Come alcuni ricordano, questo è quello che, al contrario, hanno fatto piccole e grandi banche, operatori ed agenzie finanziarie e via discorrendo, unendosi e lasciando indietro futili differenze contro la politica di regolamentazione che era stata tentata dall’amministrazione americana poco tempo fa: hanno vinto unendosi sotto l’egida della finanza, anche politicamente riuscendo a disgregare la sponda opposta. Bisognerebbe lasciare perdere le inutili discussioni sul nulla delle opposizioni e iniziare a ragionare di unità d’azione proprio su questi temi economici, che poi rappresentano gli attuali profondi bisogni di operai, disoccupati e professionisti, L’unione insomma tra merito e bisogno.

La cura o il rispetto? Un articolo di Jacques Attali

Se la sinistra vuole ridare a Nicolas Sarkozy tutte le chances per il 2012, non potrà fare migliore scelta che ridurre il proprio progetto di società, come proposto da Martine Aubry (Segretaria del Partito socialista Francese), al concetto di “cura” (care) (…). Questo concetto si inscrive nella tradizione della filosofia empatica inglese, che risale a Hume e Adam Smith e risorge negli Stati Uniti con Reagan, nel 1982, con un libro di Carol Gilligan facendo del “care” l’ideologia del femminismo, la “moralità delle donne”, prima di diventare, con un altro libro di Joan trento, nel 1993, una forma generale di società. Così definito, questo concetto trova a priori una risonanza nella crisi attuale: rinvia al bisogno di rispondere al sentimento di solitudine, d’abbandono, in cui soffrono coloro che sono in una situazione precaria, in una società che privilegia i vincitori.  Essa ha anche l’abilità di introdursi nascostamente nella rivendicazione sindacale di una generalizzazione della sicurezza sociale alla precarietà del lavoro, alla domanda di cura che esprime l’emozione attorno ad azioni caritatevoli e  di mordere sul terreno del cattolicesimo sociale che incarnano ad un tempo il centro e la seconda sinistra. Ma la Francia del 2010 non rassomiglia per nulla agli Stati Uniti del 1980 e questo concetto è infatti incompleto e pericoloso. E’ incompleto perchè non riprende che parzialmente al concetto inglese, che include infatti l’idea di “interessarsi a, prendere sul serio, dare importanza a” e rinvia alla dignità, all’esercizio partecipato del potere e non al paternalismo della cura. E’ pericoloso perchè trasforma i cittadini in malati e lo Stato in una sorta di Ospedale sociale generale. Come la sinistra fece già un tempo parlando della necessità di una “sicurezza sociale professionale”, assimilando la disoccupazione a una malattia, che lo Stato dovrà curare. E’ pericolosa perchè dimentica che i più deboli, quelli che dovrebbero essere curati, sono coloro i quali, oggi, non hanno diritto di voto. Di fatto, oggi, come domani, i Francesi non sono essenzialmente dei malati da curare, ma  dei cittadini da prendere in considerazione. Essi non hanno bisogno di essere ascoltati se piangono per guarirli; ma che si ascoltino le loro volontà, per agire, per essi stessi, per gli altri, per le generazioni a venire, per il Paese. I Francesi non hanno bisogno di cure; essi domandano rispetto. E il rispetto passa da subito attraverso un discorso di verità: lo Stato è stato rovinato da vent’anni di lassismo. I soldi pubblici sono stati mal spesi, a vantaggio di coloro che hanno meno bisogno. Il Paese non lavora abbastanza e va verso il declino. La nazione ha dunque bisogno di una autorità giusta, attenta ai più deboli, che si preoccupi dell’avvenire, che decida democraticamente delle priorità trasparenti. Nulla sarà peggio che ritornare ai valori del 19mo secolo per riuscire nel 21mo.

(qui l’articolo originale di Jacques Attali)

Finanziaria 2010: il Governo colpisce la produzione di energia rinnovabile

Il governo getta la maschera e colpisce, mediante la Finanziaria, le fonti di energia rinnovabile. Sono due gli articoli da tenere d’occhio il 15 che impone agli impianti idroelettrici di grande derivazione un nuovo canone e il 45 che cancella l’obbligo da parte del Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) di ritirare i Kw in esubero prodotti. Lo smascheramento a favore della costruzione del nucleare e l’abbattimento della produzione delle rinnovabili è dato dal fatto che le misure citate non costituiscono nessun vantaggio per le casse dello Stato, ma al contrario rinunciano ad eventuali gettiti fiscali. L’associazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili (APER) segnala inoltre la “forte turbativa che tali provvedimenti creano negli istituti di credito, con conseguente perdita di credibilità del Sistema Paese nei confronti del mondo finanziario”. Inutile inoltre ricordare il colpo inferto allo sviluppo dei Green Jobs, i lavori verdi, che sicuramente perderanno terreno e allontaneranno il nostro Paese dalle possibili 300.000 nuove unità lavorative che si potrebbero immettere sul mercato del lavoro.


Elezioni amministrative: un Piano B per Torino?

Visti gli esordi della discussione sulle prossime elezioni amministrative che si terranno anche a Torino, credo sia necessario iniziare a pensare, parafrasando Lester Brown, ad un vero e proprio PIANO B. Registrando infatti le diverse proposte sui nomi, bisognerebbe iniziare a rendere esplicite le politiche da intraprendere per la nostra città. In sostanza chiedere ai futuri amministratori cosa vogliono fare, spiegare più chiaramente quali sono le soluzioni intraviste, aiutare i cittadini a leggere tra i documenti programmatici un pensiero che colleghi impegni, azioni risultati senza dividere gli uni dagli altri e prendendo i cinque anni del prossimo mandato come dimensione temporale a cui riferirsi. Nel nostro piccolo PIANO B siamo arrivati alla conclusione che non è più sufficiente inserire qua e là alcune strisce verdi, apporre alcuni post it ambientali tra le pagine dei programmi che all’ulltimo minuto verranno lanciati e sicuramente poco letti dai cittadini. Noi pensiamo che un progresso ambientale possa diventare la chiave per combattere la disoccupazione, il degrado di alcune aree della nostra città, la perdita di risorse e tempo dato dall’attuale sistema di trasporto, lo stato di benessere dei cittadini della nostra città. La buona notizia è che esistono già gli strumenti scientifici, industriali e politici per arrivare a tutto ciò. Ciò che manca è la volontà politica. Il filo guida potrebbe essere la conquista del ben-essere dei torinesi. Un ben-essere che ha molte facce. Torino, come altre città, continua ad essere piagata dalla scarsità di lavoro: perchè non rendere la nostra città la capitale delle tecnologie sostenibili? Abbiamo strade, aree industriali, capacità di lavoro ad alti livelli ma continuiamo ad incaponirci sullo sviluppo di produzioni mature che non potranno pensare di espandersi. Perchè non orientiamo la nostra politica occupazionale sulla costruzione di tecnologie verdi facendo di Torino la capitale della produzione di tecnologie al servizio dell’ambiente? Abbiamo un prestigioso Politecnico all’avanguardia in europa: perchè non farlo diventare il miglior centro di formazione e studio a livello internazionale delle produzioni verdi? Siamo all’avanguardia nel settore sanitario: perchè non impegnarci a costruire un polo di studio, ricerca e cura sugli impatti che l’ambiente provoca sulla nostra salute? Abbiamo una grande esperienza sulle politiche pubbliche nella gestione di beni comuni come l’acqua sia dal punto di vista amministrativo che tecnologico: perchè non diventare il centro europeo dell’acqua dove si studiano e costruiscono le tecnologie per la gestione di questo bene diventando centro di riferimento internazionale? I nostri Enti sono voraci consumatori di energia, mezzi per spostamento, carta, computer, plastica e via discorrendo. Ma sono ancora tiepidi nell’autoregolamentarsi secondo parametri di acquisto “greener” e non è una questione di maggiori costi, ma di volontà politica. Se tutto ciò che è amministrazione pubblica scegliesse in maniera decisa il proprio consumo secondo parametri sostenibili, si verrebbe a creare un mercato di prodotti a basso impatto che non potrà che vedere l’insediamento di nuovi soggetti produttivi pronti a soddisfare tale richiesta mediante una filiera più corta. E dove il lavoro buono si sviluppa aumenta anche la sicurezza perchè, come ci hanno dimostrato le democrazie del nord europa, la sicurezza sociale e la crescita economica si stimolano a vicenda.

L’economia verde non serve solo al minor impatto ambientale, ma anche a creare nuovi posti di lavoro di qualità e poco delocalizzabili all’estero, a rimettere in moto l’economia.  Significa creare lavoro, economia, risparmio per i cittadini e migliramento della loro qualità di vita. Non, come molti vorrebbero far credere, a ritornare al medioevo. Ma ci torneremo ancora…

I figliocci di Obama: Milliband, Clegg, Cameron.

Comunque vada a finire, dopo gli Stati Uniti la Gran Bretagna mostra una capacità di rinnovamento della classe politica sicuramente impensabile nel nostro Paese. Quello che alla fine viene fuori è che oltre a Clegg, che è riuscito a far fruttare abilmente la sua posizione anche con un risultato deludente, Milliband riceve un sostanziale via libera come nuovo leader laburista. Clegg, Milliband, ma anche Cameron, diventano le nuove coordinate della politica inglese, un ricambio in tempo reale in condizioni di incertezza che in altri paesi avrebbero riportato in auge le vecchie volpi stagionate con la scusa, appunto, della difficoltà della situazione. Una Gran Bretagna che alla fine si scopre “cool” e si rinnova profondamente, a dispetto della superficiale patina di tradizione. Come se il mondo anglosassone continuasse a dare lezioni di leadership politica ad un Mediterraneo stagnante. Obama docet.

Cos’è il voto alternativo

In Gran Bretagna la riforma elettorale è diventata il vero spartiacque per la nascita di un accordo tra i liberali e i conservatori/laburisti. Tra i diversi sistemi è rispuntato il cosiddetto “voto alternativo” già consolidato in Australia per la Camera e in Irlanda per il Presidente. Ma cos’è il “voto alternativo”? Il sistema rientra, normalmente, nella famiglia del voto maggioritario e funziona in questo modo. Poniamo che esistano 4 candidati: Rosso, Nero, Giallo, Blu. Gli elettori devono ordinare tutti i candidati secondo un ordine di preferenza mettendo un numero vicino a ogni candidato. Un esempio potrebbe essere:

CANDIDATI
ORDINE PREFERENZA
GIALLO 3
ROSSO 1
NERO 4
BLU 2

In sostanza l’elettorale ha dato la prima preferenza al rosso, poi al blu,al giallo e al nero. Si contano a questo punto le prime preferenze. Se un candidato raggiunge il 50% ha vinto e prende il seggio. Se nessuno raggiunge il 50%, si elimina il candidato che ha raggiunto il minor numero di voti (in questo caso il nero) e si assegnano i suoi voti (quelli sempre del nero) a quell che ha ricevuto la seconda preferenza. Si ricontano quindi i voti e se qualcuno raggiunge il 50 % dei voti vince. In caso contrario si ripete la procedura eliminando sempre il candidato che ha ricevuto meno voti e riassegnando i suoi voti alla seconda preferenza. Chiaramente ad un certo punto non potranno che rimanere due candidati e per forza di cose uno avrà il 50% dei voti. (per una spiegazione più ampia è possibile consultare questa voce di wikipedia).

Sulla diffficoltà del sistema al posto di mettere la croce, si potrebbe obiettare che gli elettori italiani non sono meno capaci degli irlandesi o degli australiani. Sui vantaggi di questo sistema sicuramente può essere citato il fatto che elimina di fatto la dipendenza dalle alleanze pre elettorali, favorisce l’emergere di due blocchi consolidando il bipolarismo (a chi piace), favorisce i partiti maggiori e anche quelli geograficamente concentrati (nel caso italiano potrebbe essere la Lega) ed in grado di proporsi come seconda preferenza.