Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

Boldrin: come funziona il mercato del lavoro

Michele Boldrin spiega come il lavoro non sia una semplice merce con caratteristiche fisse regolata dalla semplice domanda e offerta. Il lavoro, e il suo “mercato”, hanno molti elementi di dinamismo ed eterogeneità che bisogna conoscere quando se ne discute, per non cadere in una semplice chiacchiera. Con un passaggio importante su come il lavoro contenga elementi di “bene comune” che ne caratterizzano l’interesse sociale.

Buone ragioni e cattive scelte

Questa storia delle decurtazioni della spesa della politica attraverso tagli dei Consigli regionali, in realtà rischia di aggiungere irritazione a indignazione nei comuni cittadini. Almeno per due ragioni. Chiaramente la chiamata all’austerità è molto tardiva e sospetta: se non ci fosse stato il ballon laziale dubito si sarebbe verificata un’accelerazione. Ma soprattutto la “riformetta” sui costi della politica segue, da buon’ultima, quella che ha asciugato le tasche popolari a colpi di Imu e via discorrendo. Questo non è molto accettabile e la credibilità di una manovra del genere avrebbe certamente tenuto se la cosiddetta politica avesse iniziato prima di altri ad autoriformarci. Cade cioè l’idea che lo snellimento delle prebende (snellimento e non vero e proprio talgo) possa intendersi come un momento di condivisione delle difficoltà generali. in sostanza prima tu che poi arrivo anch’io. Il secondo tempo della storia è ancora più simpatico e sottende una incapacità di fondo: le agevolazioni e denari che si stanno per sopprimere, non avranno un benchè minino effetto sulle casse dello Stato. Risulta comunque chiaro che mille euro stanno meglio in un asilo nido e che l’idea di una limatura alla sperequazione sia positiva, ma tutto questo non sarà minimamente efficace. Ed in fondo questo lo sappiamo tutti, e proprio perchè lo sappiamo siamo ancora in attesa di azioni che possano davvero ascriversi al bisogno di efficacia ed efficienza che tutti ormai richiedono dalle pubbliche amministrazioni. E se un qualsiasi provvedimento che toglie a qualcuno e nei fatti non aumenta il benessere degli altri viene propagandato come necessario, forse è solo fumo negli occhi e potrebbe anche essere incasellato nella categoria della stupidità pelosa

Un politico non parla della crisi: la risolve. Julio Velasco


Prendete queste parole di Julio Velasco e al posto di alzatore, schiacciatore, ricevitore, mettete “politico”.

Innovazione politica: l’esempio americano

Bill Clinton, durante il suo discorso alla Convention democratica di Charlotte che ha confermato Barack Obama come candidato, ha affermato che negli ultimi 52 anni, l’economia americana ha creato 66 milioni di posti di lavoro durante i 24 anni di governo democratico contro i 24 milioni rendicontati nei 28 anni di governo repubblicano. Gli americani, che noi spesso crediamo un po’ “fresconi”, amano controllare quello che i loro uomini politici dicono mediante il cosiddetto fact-checking. In questo caso l’onere del controllo se l’è preso la Cnn scoprendo che Clinton ha persino sottostimato i dati del periodo democratico e sovrastimato quelli repubblicani. Il fatto è stato ben ripreso da Luca De Biase e mi sembra davvero puntuale riportare il suo commento guardando le cose politiche di casa nostra.

Gli italiani sono abituati a sentir dire dai politici che i loro avversari mentono. E accolgono questo genere di affermazioni con un cinismo disperato. Ma una delle grandi riforme della politica della quale abbiamo bisogno è che almeno un poco del discorso politico sia basato su fatti documentati, ottenuti con un metodo condiviso. E si può scommettere che sarebbe un’innovazione capace di generare consenso nei politici che l’adottassero.

Un’idea per la politica: la Giustizia

L’idea di giustizia sembra davvero scomparsa dalla discussione politica odierna. I nuovi turbo-liberal-liberisti non la prendono più nemmeno in considerazione, la ritengono solo d’impiccio di fronte all’agognata crescita a tutti i costi. Nessuno pone in discussione la necessità dell’innovazione, della trasformazione, del rinnovamento. La crescita stessa è un concetto che viene declinato con mille sfumature, ma di cui non riesce a far a mano nemmeno chi propaganda la decrescita. Ma come ottenerla e come distribuirla risulta un fastidioso problema di cui non è necessario occuparsi in tempi di crisi. E invece non è così. Semplicemente, in una società dove il benessere di ciscuno dipende da un sistema di cooperazione al di fuori del quale nessuno può condurre una vita “possibile” bisogna introdurre un barlume di idea di giustizia che possa guidare tempi difficili come quelli attuali. Così, oggi, le ineguaglianze economiche e sociali possono essere sopportabili solo e soltanto se producono benefici compensativi significativi per ciascuno, soprattutto per le figure meno avvantaggiate della società. Non è quindi in nessun modo più giustificabile che i sacrifici di alcuni siano compensati da un maggior bene aggregato, una cifra media tra chi compone la società. La situazione attuale dove alcuni hanno meno, anzi perdono rispetto al passato, affinchè altri possano prosperare, potrebbe anche apparire utile, ma semplicemente non è giusto. Nessuno riesce più a parlare questo linguaggio, che in fondo è patrimonio comune sia dei sedicenti “comunitaristi” che dei cosiddetti “liberali”. Personalmente, con alcuni amici, abbiamo deciso di porre nuovamente queste questioni al centro del dibattito politico, anche senza targhe, uomini della provvidenza, ricchi sponsor e quant’altro. Rimboccandoci le maniche e prendendo le nostre responsabilità in prima persona, senza reti protettive. E tra poco tempo, per chi possiede questi sentimenti, saremo più chiari. Non perdeteci d’occhio…

Mi sono stufato e Grillo non ha ragione, ma forse anche sì

Probabilmente ho difficoltà di digestione e non capisco bene come si sta muovendo la politica oggi. Leggevo quà e là alcune note trovate sul web sulle miniere del Sulcis, l’evasione fiscale, la giustizia, la necessità di rinnovamento, la crescita e via discorrendo. Non posso però davvero fare a meno di chiedermi dove eravamo tutti in questi ultimi anni. Per tenersi larghi, perchè, chiaramente, io so dove stavo negli ultimi anni. Però tutta questa foga di ricercare l’untore politico non mi convince più di tanto. Perchè se c’è l’evasione fiscale la politica avrà anche i suoi demeriti, ma la colpa rimane degli evasori. Così per il resto. Se il nostro Paese non cresce e le aziende tedesche sì, magari potremmo anche pensare che abbiamo una classe industriale che non è semplicemente in grado di fare quel lavoro e che è ora che la smetta di riempirsi la pancia con contributi pubblici per manifatture che essi stessi hanno portato alla cottura. E anche come capacità di venirne fuori non siamo messi meglio. Leggevo sul sito di Fermare il declino la storia delle miniere sarde ripresa giornalisticamente. Va bene, la storia la sappiamo e quindi? Se si vuole far politica bisognerebbe anche rispondere ai minatori e capire come farli uscire da una condizione estremamente “subordinata”, non a rammentargli la condizione del loro settore, che loro e tutti noi sappiamo. E poi tutti quanti pare abbiano smarrito come la politica debba incidere sull’idea di Giustizia che dovrebbe informare le nostre istitutzioni e le nostre scelte. Già, perchè è inutile continuare a parlare di crescita se poi non sappiamo quale idea base la distribuirà: tutta questa crescita promessa la daremo ancora una volta in mano, oltre alla vecchia politica, a industriali incapaci o evasori furbetti o economisti ragionieri? Mi sono davvero stufato di questo balletto di “esperti” che riducono tutto ad una partita di giro economica e che già in passato avevano preso qualche tram sbagliato. Mi sono anche stufato degli equilibrismi democratici, del nuovo “centrino” e di altre amenità del genere. Grillo, a mio modesto parere sbaglia, ma è comprensibile perchè muove gli aderenti del MoVimento 5 stars: sbaglia e non andrò con lui, ma certamente ci ha indicato una via utile, forse persino sana. Bisogna rimboccarsi le maniche da soli, senza attendere uomini del destino, darsi da fare senza rete, dal basso. Bisogna andare ancora oltre e non aver paura di non avere griffes.

Manager e università per la politica?

Due cosette interessanti all’epoca dei “tecnici” in questo scorcio di fine legislatura. La prima è che possediamo il più vetusto “parco” di professori universitari. In media in Germania o negli Usa i docenti delle diverse accademie sono in almeno la metà dei casi al di sotto dei 40 anni mentre nel nostro Paese raggiungono con fatica il 16%. La seconda è che almeno un eletto su 4 delle patrie amministrazioni da molti anni sarebbero dei manager. Se la prima parte del discorso può farci ben comprendere come continuiamo a formare i nostri ragazzi in maniera abbastanza “sbilanciata” guardandoci alle spalle invece che avanti, la seconda mi fa sorgere il dubbio che l’infornata di tecnici o di “sergenti” d’industria (i capitani è chiaro che sono altrove) che nuove aggregazioni politiche stanno per disporre in campo, ci farà colare ancora più a picco rispetto  passato.

Capitani d’impresa, non di ripresa

Se è pur vero che alcune delle facce politiche che appaiono in Tv possono essere tranquillamente accusate di aver portato alla deriva il nostro Paese, non mi sembra corretto invocare la discesa in campo di molti degli attuali “capitani d’industria” che possono essere, altrettanto tranquillamente, di aver portato alla bancarotta l’Italia, avendo perseguito le peggiori “politiche” industriali d’Europa. Se una manifattura o servizio non è in grado d’innovare (che non significa fare le cose velocemente, ma fare altre cose), di essere a posto con i bilanci, di vivere in maniera parassitaria sulla groppa dello Stato, di non essere in grado di competere nel mercato globale, non penso che tutta la colpa sia dei politici. Esistono anche Manager e capi d’impresa che semplicemente non sanno fare bene il proprio lavoro e che andrebbero censurati alla stessa maniera dei politici di cui sopra. E che quindi fioriscano nell’agone politico molti di questi “industriali” proponendosi come salvatori della Patria, mi lascia un “pochetto” interdetto. Ohibò!

Porcellum estivo

Per chi non se ne fosse avveduto, stiamo assistendo ad una grandiosa melina sulla legge elettorale per non dover andare ad elezioni anticipate. Pd e Pdl non hanno nessun interesse né a mollare un sistema che garantisce una composizione sicura delle fila parlamentari, né a correre al voto presentando coalizioni che non sono ancora pronte nei fatti. Lo stesso Berlusconi sta lavorando alla formazione di una nuova offerta politica ed ha bisogno di tempo per metterla in carreggiata e tentare di riprendere quanti più voti possibile. Dall’altra parte, malgrado la vittoria sembra a portata di mano, Bersani non ha certamente ancora “coagulato” una maggioranza  in grado di portare fuori dalla tempesta senza particolari turbolenze. Oltre al fatto che l’avvicinarsi all’orizzonte di nuovi gruppi politici “centristi” – leggi i vari Giannino, Montezemolo o Passera – necessita un sistema in grado di smorzare la loro capacità di interdizione,  riconducendoli all’obbligo di cercare alleanze nelle diverse coalizioni, pena l’emarginazione politica. E cosa meglio del “porcellum”?

Perchè l’ideale del repubblicanesimo è necessario in questa crisi

Possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma forse il problema attuale democratico, economico e quant’altro, è una forte concentrazione del potere sia politico che economico nelle mani di pochi. Una sistema fondamentalmente di èlites che tende, anche in queste ore, a perpetuare se stesso: una nuova èlite che tenta di sostituirsi a quella precedente. Questa è forse la battaglia a cui stiamo assistendo in queste ore, e la parte “tecnica” sembra essere solo una variante delle vecchie consorterie o meglio ancora una delle squadre in campo, dato che i gruppi che si contendono la partita sono diversi e non solo due. Come se ne esce? Credo che abbia ragione chi sta cercando di rimettere in campo il problema del recupero dei fondamentali con cui è stata costruita la nostra Repubblica; fondamentali che vanno anche al di là della nascita anagrafica della nostra repubblica del ’46. Uno di questi è sicuramente quello della riaffermazione della Libertà come mancanza di dominio, che si è più che degradato, sostituito con quella della Libertà liberal/liberista che lavora per una società in cui gli individui, per essere liberi, devono essere svincolati da ogni interferenza, possibilmente con una Stato dai confini molto stretti che si occupi solamente di un paio di cosette lasciando il resto alla concorrenza selezionatrice. (altro…)