ricerca1Esiste oggi una “paura” della politica nei confronti della scienza? Gilberto Corbellini, nel suo recente “Perchè gli scienziati non sono pericolosi” (Longanesi editore), stimola la discussione in maniera sicuramente efficace quando si chiede perchè, nel nostro Paese, influenti politici sostengono che la società stessa è minacciata dal potere degli scienziati. Il ragionamento è, chiaramente, molto più articolato, ma annoto un fatto che io stesso, nella mia piccola attività amministrativa, ho spesso avuto modo di verificare. Premettendo che non sembra la scienza in quanto tale da ritenenrsi pericolosa (quanto eventualmente le sue manifestazioni pratiche), è verosimile che “chi ha paura della scienza  in realtà abbia paura di qualcosa che lo fa sentire intellettualmente limitato, perchè si accorge che gli mancano le capacità di spiegare e modificare il corso delle cose di cui dispongono gli scienziati” dice Corbellini. La paura risiederebbe nella “eventualità che gli scienziati, pur essendo una sparuta minoranza, siano riconosciuti più efficaci ed efficienti, e quindi anche in grado di far funzionare meglio la società?”. Probabilmente sì, anche se questa possibilità ” non rappresenta necessariamente una minaccia per la democrazia, ma di certo costituisce un rischio costante per un sistema politico-economico che non valorizzi per tradizione la competenza o non aggiorni continuamente i criteri selettivi per migliorare il funzionamento istituzionale dello Stato.”
Sempre che si rispetti ciò che Jacques Monod scriveva circa quarant’anni orsono per cui la conoscenza scientifica è fondata su un impegno morale del ricercatore a rispettare il postulato dell’oggettività, cioè a non imbrogliare o falsificare i dati empirici portati a dimostrazione delle proprie spiegazioni o a confutazione di quelle altrui. Ma anche qui Corbellini viene in soccorso con una semplice e “simpatica” osservazione: se si cercano i dati, si trova il risultato che praticare la scienza non rappresenta un fattore di rischio  per ciò che riguarda un aumento del tasso di condanne penali e civili o di detenzioni in carcere. Pare infatti che gli scienziati delinquano meno rispetto ad altri attori sociali. Anche se – continua Corbellini – oggi appare quasi eversivo, agli occhi di numerosi intellettuali italiani, difendere la scienza.

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