Il Nobel per la Medicina è andato quest’anno a John B. Gurdon e Shinya Yamanaka per le loro ricerche sulla possibilità di riprogrammare cellule adulte in cellule staminali pluripotenti. In soldoni è come far ritornare le cellule “bambine”. Ognuno potrà vederci quello che vuole in questa scelta e la scienza non si è mai sottratta alle discussioni, basta che siano basate su argomenti validi, basati su fatti e riproducibili. Quello che vorrei segnalare è che la scelta di questo Nobel deve segnalare una frontiera della ricerca a cui la “politica” non ha dato ancora risposte chiare. Almeno nel nostro Paese, dove la discussione vede accapigliarsi strani figuri che in realtà bloccano ogni progresso sulla questione. Ecco, questa è una delle sfide che il mondo contemporaneo sta ponendo agli uomini che governano i destini delle persone attraverso le leggi, una questione complessa che richiede studio serio, una solida preparazione bioetica, una capacità di raccogliere i segni di un futuro prossimo che sarà regolato da meccanismi diversi da quelli che abbiamo conosciuto finora. In tutto questo continuiamo invece a ricevere puntuali informazioni sul nulla…
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
Il sito del New York Times ci informa che il governo degli Stati Uniti, tramite la FDA, ha dato il via a test clinici sull’uso di cellule staminali embrionali sull’uomo. La sperimentazione di fase 1 sarà condotta iniettando questo tipo di cellule su malati con lesioni gravi al midollo spinale toracico nel tentativo di ripristinare la connessione interrotta tra le cellule. Nello specifico le cellule sarebbero precursori degli oligodendrociti, le cellule che avvolgono, formando un guaina, i prolungamenti delle cellule nervose. Le informazioni che si spera di raccogliere riguardano in questa prima fase soprattutto la sicurezza dell’impiego di queste cellule, oltre ovviamente l’efficacia che comunque in questa prima fase ha un ruolo di secondo piano. Rimangono però ancora oscuri i dettagli della tecnica che, in queste ricerche, sono fondamentali per un commento qualificato da parte della comunità dei ricercatori. Uno dei timori espressi dagli esperti di questa branca è che l’eventuale comparsa di eventi avversi potrebbe diventare controproducente per le successive ricerche. Anche se è da rimarcare come il via libera alla sperimentazione superi un importante blocco che non potrà che essere positivo anche per i futuri sviluppi.
Un medico, anche in politica, dovrebbe rimanere un medico. Ma cosa vuol dire? Il significato della frase può essere compreso dalle caratteristiche che Talcott Parsons riteneva fondamentali in chi esercita una “professione” – medici, sacerdoti, giuristi – differenziandole da quelle che contraddistinguono le pure “occupazioni” o “mestieri”. Il ruolo sociale di chi esercita una vera professione deve presentare quattro caratteristiche.
-“universalismo”: dal professionista ci si aspetta che non faccia favoritismi;
-“specificità di funzione”: gli si riconosce autorità nel suo campo specifico di intervento;
-“neutralità affettiva”: eviterà i sentimenti di amore e di odio, o almeno li controllerà, in modo che non interferiscano nella dinamica della relazione professionale;
-”orientamento verso al collettività”: dal professionista ci si aspetta che agisca in modo altruistico e non per denaro, a differenza di chi esercita un mestiere; nessuno può pensare che un commerciante mantenga indefinitamente aperta un’attività in perdita, ma ci si aspetta che il sacerdote, il giudice e il medico agiscano tenendo presente solo il bene della collettività e non il guadagno economico.
I tempi attuali non sembrano offrire molti esempi illustri in tal senso sia fuori che dentro la medicina. Ma ciò non toglie che queste caratteristiche possano essere il contributo che un medico sano possa donare alla gestione della cosa pubblica