Una delle novità di come vanno le cose del mondo a ridosso di questo referendum, è che la politica si è dimostrata totalmente inutile. In fondo Marchionne ha agito senza cercare sponde governative o schieramenti politici, mentre al contrario il governo e lo schieramento politico, il solito, si sono affrettati ad inseguire l’a.d. Fiat. I sindacati, invece, hanno cercato di stanare i partiti di tutti gli schieramenti dal Pd alla Lega passandoper il centro, ma non sembra, soprattutto nel caso della Fiom che ciò sia servito. Anzi (altro…)
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
Vincono i si al referendum di Mirafiori per 53 a 47%. Più che mai vale il quadro fatto da Ezio Mauro ieri su Repubblica, che aiuta a comprendere davvero cosa stia succedendo nel nostro Paese
“Il voto e la sfida di Torino non disegneranno un nuovo modello di governance per l’Italia, come sperano coloro che oggi attendono da Marchionne quel che per un quindicennio ha promesso Berlusconi, senza mai mantenere. Soprattutto non daranno il via né simbolicamente né concretamente - purtroppo - ad una fase generale di crescita del Paese. Il significato della partita di Mirafiori è un altro, e va chiamato col suo nome: la ridefinizione, dopo tanti anni, del rapporto tra capitale e lavoro (…)”
I commenti critici alle recenti dichiarazioni dell’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, in ordine alla scarsa redditività degli stabilimenti Fiat in Italia e alla conseguente necessità delle delocalizzazioni, si sono - per lo più - concentrati sulle capacità gestionali del management dell’azienda e sulla censurabilità di quelle dichiarazioni alla luce dei cospicui finanziamenti pubblici ricevuti in passato da Fiat. Si tratta di rilievi condivisibili che, tuttavia, sembrano non tener conto di una considerazione che prescinde dal singolo caso (…)
continua a leggere su economiaepolitica
Mario Deaglio oggi su “La Stampa” ha ragione a dire che Marchionne ha ragione?
Marchionne non è certo un diplomatico e ha detto, con la chiarezza un po’ rude che caratterizza i nove decimi dell’umanità, cose assolutamente vere e sgradevoli che gli italiani in cuor loro già sanno ma spesso preferirebbero non sentire: che l’Italia è diventata un Paese inefficiente e non competitivo, che l’organizzazione del lavoro permette in certi casi l’assenteismo di massa, che le fabbriche italiane della Fiat non contribuiscono neppure per un euro all’utile del gruppo.
Ci saremmo aspettati qualcosina di più dal dibattito che si è accesso sulle parole di Marchionne. Tolti gli ampi lamenti che fanno parte del gioco politico, le parole dell’AD Fiat, tutte e non solo quelle riprese ad arte, potevano servire per una volta a guardare meglio la realtà. Ad esempio sul perchè 7 auto su 10 vendute in Italia sono marche straniere. Bisognerebbe quindi dire qualcosa sulla mancanza di innovazione. Ma davvero 7 auto su 10 sono straniere? Ma cos’è oggi Fiat se non un grande gruppo internazionale che ha certamente radici in Italia, ma di fatto non è più italiana? Se inoltre siamo a livello di paesi in via sviluppo per ciò che riguarda la produttività ci sarà anche qualche ragione nelle parole di Marchionne. E d’altronde è anche chiaro che non esiste oggi nel nostro Paese nessun embrione di politica industriale: che cosa sta facendo il Governo sulla politica dei trasporti, della mobilità sostenibile, sul sistema di tassazione? Così come siamo sicuri che puntare sull’industria dell’automobile sia ancora il maggior obbiettivo che un paese come il nostro deve perseguire? Esistono ancora così tante persone in Europa che devono comperarsi un’automobile? Oppure il sistema è prossimo alla saturazione e la capacità produttiva della stessa Fiat è sovradimensionata? E la stessa Fiat si sente oggi garantita nell’accettare il rischio di produrre nuovi modelli con il sistema di relazioni industriali e sindacali attuali? Lo stesso accesso al credito in Italia è scivolato dal 79° all’84° posto a livello mondiale. Possiamo dire tutto quello che vogliamo, anche con ragione, ma comunque sollevare il coperchio e dire anche ciò che non ci piace sentire, non deve essere oggi sentito come un reato di lesa maestà. Marchionne probabilmente ha detto una grande verità: il re è nudo.
Bob King, Presidente del potente sindcato americano dell’industria automobilistica (UAW) è in visita in Italia per consolidare i contatti con la Fiat e cercare partner dell’industria legata alla produzione automotive disponibili a produrre nelle aree del midwest americano. L’occasione è certamente interessante per i sindacati italiani impegnati oggi in una sorta di mega vertenza con la Fiat, anche se su rive spesso contrapposte. Pare ci sia stata una piccola gara tra le sigle sindacali per dichiarare la propria “amicizia” e le convergenze con il sindacato americano che è stato protagonista del recente accordo Fiat – Chrysler con una forte apertura e collaborazione. Prima di registrare le convergenze, penso sia utile fornire un piccolo spaccato della filosofia che ha sostenuto la UAW nel recente accordo ben rintracciabile nel discorso di Bob King del settembre scorso.
Per capire meglio quali sono i riferimenti “culturali” di cui è intessuta l’ultima partita di Sergio Marchionne è necessario dare uno sguardo su cosa sta avvenendo nel sindacato americano dei metalmeccanici. Utile a questo proposito leggersi un interessante articolo di Giuseppe Berta comparso sul IlSole24Ore web – La parabola di Walter Reuther, il sindacalista con vista sul futuro -. Se infatti la crisi scuote in profondità la fiducia, le modalità d’azione e la stessa capacità di rappresentatività del sindacato, non si può ignorare cosa ha detto il 2 agosto scorso Bob King, il nuovo presidente della Union of automobile Workers of America (Uaw) che è stato il più grande e forte sindacato industriale nel mondo e che ha pagato un prezzo durissimo negli ultimi anni: nel 1979 contava 1,5 milioni di iscritti contro i circa 400.000 attuali. King sostiene che l’organizzazione dei lavoratori deve essere ripensata dalle basi smattendo di considerare il management come avversario e nemico e tendere invece a costruire relazioni di collaborazione. Chiaramente ognuno può pensarla come vuole, ma il discorso di oggi di Marchionne non può prescindere dalle posizioni del sindacato di oltreoceano. Interessante è comunque la spiegazione che Berta introduce dei riferimenti, nel discorso di King, alla figura mitica della Uaw, cioè Reuthers che ne incarnò i diversi momenti nelle varie epoche da anima militante e radicale delle origini – andò perfino nella Russia stalinista – alla capacità negoziale leggendo in maniera anche originale la pancia dell’America.