Poniamo il caso dell’Ilva di Taranto, che certamente non è nuovo. E’ un problema serio che si ripresenta ciclicamente: la scelta di chiudere uno stabilimento certamnete inquinante a fronte di centinaia di posti di lavoro. Sarebbe lungo e difficile discettare sull’argomento in questa sede e serietà ci impone di rimandare nelle giuste sedi la discussione – che in realtà non dovrebbe essere così riproposta. Un fatto mi sembra inaccettabile. Le stesse facce che hanno portato l’Ilva a queste conseguenze, soprattutto politiche ma anche di manager pubblici e privati, sono ancora una volta chiamati a livello mediatico a discutere e trovare soluzioni. Ecologicamente bisognerebbe, innazitutto, prendere questi giornalisti, politici, industriali e farli tornare a casa senza molestarci ulteriormente. Se non sono riusciti a risolvere il problema prima, non vedo come possano contribuire a farlo adesso. Iniziamo da qui, poi il resto viene da sé…
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
Se è pur vero che alcune delle facce politiche che appaiono in Tv possono essere tranquillamente accusate di aver portato alla deriva il nostro Paese, non mi sembra corretto invocare la discesa in campo di molti degli attuali “capitani d’industria” che possono essere, altrettanto tranquillamente, di aver portato alla bancarotta l’Italia, avendo perseguito le peggiori “politiche” industriali d’Europa. Se una manifattura o servizio non è in grado d’innovare (che non significa fare le cose velocemente, ma fare altre cose), di essere a posto con i bilanci, di vivere in maniera parassitaria sulla groppa dello Stato, di non essere in grado di competere nel mercato globale, non penso che tutta la colpa sia dei politici. Esistono anche Manager e capi d’impresa che semplicemente non sanno fare bene il proprio lavoro e che andrebbero censurati alla stessa maniera dei politici di cui sopra. E che quindi fioriscano nell’agone politico molti di questi “industriali” proponendosi come salvatori della Patria, mi lascia un “pochetto” interdetto. Ohibò!
Guardando il bellissimo lavoro di due giovani fotografi, Yves Marchand e Romain Meffre, su Detroit, da torinese sono stato percorso da un brivido. Detroit è stata la culla della produzione automobilistica americana, capitale industriale a livello mondiale e sogno per una popolazione che negli anni ’50 diventò la quarta città americana. In circa cinquat’anni ha perso metà della popolazione ed oggi si presenta in molte sue parti come un fantasma, in decomposizione, straordinariamente mummificata. In pratica ciò che la portò allo splendore è oggi causa della sua incredibile decadenza: l’industria automobilistica. Il brivido, per chi vive in una città che è stata invece la culla dell’industria automobilistica italiana ed europea, che ha vissuto importanti fenomeni migratori vedendo la propria popolazione triplicare in pochi anni e poi gradualmente contrarsi è d’obbligo. (altro…)
Ci saremmo aspettati qualcosina di più dal dibattito che si è accesso sulle parole di Marchionne. Tolti gli ampi lamenti che fanno parte del gioco politico, le parole dell’AD Fiat, tutte e non solo quelle riprese ad arte, potevano servire per una volta a guardare meglio la realtà. Ad esempio sul perchè 7 auto su 10 vendute in Italia sono marche straniere. Bisognerebbe quindi dire qualcosa sulla mancanza di innovazione. Ma davvero 7 auto su 10 sono straniere? Ma cos’è oggi Fiat se non un grande gruppo internazionale che ha certamente radici in Italia, ma di fatto non è più italiana? Se inoltre siamo a livello di paesi in via sviluppo per ciò che riguarda la produttività ci sarà anche qualche ragione nelle parole di Marchionne. E d’altronde è anche chiaro che non esiste oggi nel nostro Paese nessun embrione di politica industriale: che cosa sta facendo il Governo sulla politica dei trasporti, della mobilità sostenibile, sul sistema di tassazione? Così come siamo sicuri che puntare sull’industria dell’automobile sia ancora il maggior obbiettivo che un paese come il nostro deve perseguire? Esistono ancora così tante persone in Europa che devono comperarsi un’automobile? Oppure il sistema è prossimo alla saturazione e la capacità produttiva della stessa Fiat è sovradimensionata? E la stessa Fiat si sente oggi garantita nell’accettare il rischio di produrre nuovi modelli con il sistema di relazioni industriali e sindacali attuali? Lo stesso accesso al credito in Italia è scivolato dal 79° all’84° posto a livello mondiale. Possiamo dire tutto quello che vogliamo, anche con ragione, ma comunque sollevare il coperchio e dire anche ciò che non ci piace sentire, non deve essere oggi sentito come un reato di lesa maestà. Marchionne probabilmente ha detto una grande verità: il re è nudo.
La migliore l’ho sentita via radio in macchina da un economista che, con fulminea semplicità, ha focalizzato il problema della nostra imprenditoria prendendo come spunto il caso della Bialetti di Crusinallo. Il senso è questo: gli sforzi e l’intelligenza dei nostri industriali non dovrebbero essere impiegati per capire come meglio delocalizzare ad esempio una fabbrica di caffettiere in Cina, ma capire come vendere caffettiere ad un miliardo di cinesi…