Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

Ticket: quando l’economia fa male alla salute

(via Italia Futura) di Walter Ricciardi

Direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università Cattolica di Roma e dell’Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni Italiane. E’ il primo Editor non inglese dell’Oxford Handbook of Public Health e componente non americano del National Board of Medical Examiners degli Stati Uniti d’America

Quello dei ticket è l’ultimo intervento del Ministero dell’Economia in ambito sanitario introdotto senza prendere in alcuna considerazione le implicazioni sulla salute dei cittadini, in particolare di quelli che, avendo redditi limitati, opteranno per beni primari quali alimentazione e casa, prima di ricorrere a servizi di prevenzione, diagnosi e cura che potrebbero salvargli la vita e che dovrebbero essere già finanziati dalle tasse e gestiti da manager competenti in grado di conciliare la qualità dei servizi con le sempre più scarse risorse disponibili. (altro…)

Bot a doppio taglio

L’ “affare” dei Bot mi sembra ben spiegata da Giuliano Ballestreri su Repubblica di oggi. Se sono un piccolo investitore e voglio investire in titoli di Stato diciamo 10.000 €, oggi avrei un rendimento di circa 152 € netti l’anno. Dopo il decreto il rendimento scenderà a circa 66 € e nel 2013 scenderà ancora a circa 37 €, Il “paradosso” è che se io investissi più soldi, perderei di meno. Ad esempio se investo oggi 25.000 € oggi avrei una resa di circa 346 €, dopo la manovra vedrei scendere il guadagno a 346 € e nel 2013 a 316 €. Sopra i 50.000 € mi andrebbe ancora meglio, con una evidente sperequazione tra chi può investire di più e chi di meno. La manovra però è davvero curiosa perchè i titoli di Stato, da sempre, sono lo strumento principe per finanziare i debiti dello Stato. Quindi va da sè che si assisterà alla fuga dei propri finanziatori. Per il governo poco importa, perchè la mossa serve solo al breve periodo, dopo vedrà chi avrà i cordoni della borsa cosa fare. Comunque, per non dar troppo fastidio, nessuna azione verrà intrapresa sulle rendite finanziarie che attualmente, se non vado errato, vengono tassate al 12,5 % mentre in Europa veleggiano stabilmente oltre il 20 %. Meglio cioè non distinguere tra chi investe i propri risparmi sui debiti dello Stato e chi specula in Borsa. Misteri del liberalismo tremontiano

Sviluppo: l’Italia reticente di fronte all’Europa

In tempi di approvazione della Finanziaria conciliare il rigore con la crescita è senza dubbio una preoccupazione che gli italiani hanno ben presente. Sempre più spesso, inoltre, sentiamo i richiami dell’Unione Europea come un cappio che sembra limitare la nostra libertà d’azione e, a tratti, come responsabile stessa delle nostre difficoltà. Chiaramente non è così e addentrandoci un po’ meglio tra le pieghe del nostro rapporto con Bruxelles scopriamo anche qualche strumento utile che viene poco reclamizzato ma che ci potrebbe far comprendere meglio la “visione” a cui gli stati fratelli tendono per descrivere cosa pensano delle proprie carenze e dove vorrebbero andare. Dario Di Vico oggi sul Corriere della Sera ci da questo tipo di informazione parlando dei “Piani Nazionali di Riforma” (Pnr) che stanno sostituendo la strategia di Lisbona e che i diversi governi devono presentare annualmente dichiarando le riforme che ritengono necessarie con i relativi dettagli sulle manovre, sui tempi e sui controlli da adottare. Per non parlar male del nostro Paese, può essere utile un semplice esercizio e cioè andare a vedere cosa pensano di mettere in pratica i più importanti Paesi europei e da lì lasciare al buon cuore di ognuno di noi il giudizio. (altro…)

Egitto. La democrazia significa opportunità

Per capire come i Democratici americani vedono la questione della caduta dei regimi in Nord Africa, riporto – con traduzione libera e personale – un testo comparso nel Think Thank del Center for American Progress di John Podesta, uno dei più ascoltati consiglieri del Presidente Obama.

Le difficoltà economiche in cui versano giovani istruiti tunisini ed egiziani hanno alimentato, almeno in parte, il loro desiderio di cambiamento e la loro disponibilità alla lotta a rischio di danno personale per protestare contro i loro governi. L’aumento dei costi accoppiato a minori opportunità ha forse scatenato il cambiamento rivoluzionario in Egitto vissuto in queste ultime settimane; ma proprio come la pressione economica può destabilizzare i regimi, una crescita economica sostenibile può promuovere la stabilità. (altro…)

Luca Cordero di Montezemolo e la perequazione sociale

Se qualcuno volesse risolvere il problema delle sperequazioni sociali per andare verso una più equa redistribuzione dei redditi, penso non possa fare molto affidamento sulla carta Luca Cordero di Montezemolo. Sembra infatti che l’ex Presidente della Fiat sia arrivato secondo nella classifica dei manager più pagati nel nostro Paese con 5,1 milioni € annuali, cioè sotto Tronchetti Provera (5,66 milioni €) e comunque sopra Marchionne, che si deve accontentare del quarto posto con 4,78 milioni €. Come risorsa di un eventuale coalizione di centrosinistra, credo non abbia come prima preoccupazione quella di dotare la gran massa dei lavoratori italiani di maggiori risorse nel portafoglio a spese di un calmieramento dei redditi di chi decide le politiche industriali del nostro Paese. Poco male, ma sarà giusto tenerne conto al momento opportuno.

Obama scuote Washington

Barack Obama all’attacco sulle misure anticrisi. Afferma che le attuali politiche sono state ritenute positive dal 95% degli economisti ma non sono ancora sufficienti. Quindi via ad una nuova scossa economica con abolizione delle agevolazioni fiscali per le classi ricche e abbassamento della pressione fiscale per le classi medie attraverso un’azione governativa da varare anche entro un mese. Con una sferzata al Senato Usa per una pronta approvazione degli sgravi fiscali per le piccole imprese. Tra le due perdite di popolarità, quella del Capo del Governo italiano e quella del Presidente degli Stati Uniti, la qualità è ben diversa…

Quali misure contro la depressione economica?

Sicuramente vanno eliminati, ma incidono poco sulla spesa pubblica. L’esperienza inoltre ci dice che non funzionano: la politica basata solo sulla riduzione degli sprechi e l’evasione fiscale non è efficace e, forse, potrebbe anche essere controproducente. Se Innocenzo Cipolletta dalle colonne del IlSole24Ore del 7 agosto porta un serio e ben argomentato affondo contro la semplificazione delle politiche attualmente più gettonate contro il disavanzo pubblico, non possiamo certamente gridare al complotto delle sinistre o alle esternazioni di qualche dilettante di politica economica. Capiamo meglio. Quando si parla di sprechi nella spesa pubblica si citano sempre esempi che attirano l’attenzione ma che in realtà non risolvono il problema. La strada è sempre quella del taglio di servizi pubblici considerati come sprechi, ma lo spreco, spesso, è sempre quello che non serve a noi, ma che possono essere servizi utili per gli altri. Il pericolo di sottofondo è quello che l’eliminazione di presunt sprechi arrivi alla fine alla perdita del servizio stesso. Dai posti letto negli ospedali fino ai treni ed ai bus bisogna considerare che la qualità di un servizio sta anche nella sua disponibilità quando serve e che la cosiddetta razionalizzazione nasconde una effettiva volontà di taglio del servizio stesso. (altro…)

Economia. Krugman: necessarie politiche economiche di espansione

Paul Krugman, nobel per l’economia, mantiene una posizione alquanto critica riguardo le politiche economiche internazionali. Secondo il suo punto di vista abbandonare le politiche espansionistiche significherà un periodo di “bonaccia” economica che non sarà in grado di recuperare i posto di lavoro perduti negli ultimi anni di recessione. “Ho letto i discorsi del presidente Herbert Hoover nel 1932” – dice Krugman – “ed è incredibile come ampi stralci assomiglino alle cose che dice ora Trichet. Una resurrezione di vecchie visioni, molto deprimente”. Lo stesso traino cinese non potrà dimostrarsi utile per la crescita mondiale e la germania ha preso una posizione che non fa bene a se stessa ed all’Europa. E l’Italia? “L’Italia è un caso curioso. Se si guarda al rapporto debito-Pil dovrebbe rientrare nel club dei paesi in crisi e anche prezzi e salari sembrano sopavvalutati, ma il suo deficit di breve periodo è inferiore e non ha problemi di finanziamento del settore privato perché non ha avuto bisogno di salvare banche come Spagna e Irlanda. Non dà l’impressione di entrare nell’area di crisi ma semmai il suo problema è che avrà un’economia debole per un certo periodo perché non è competitiva sul fronte dei costi”.

Il minimo comun denominatore possibile delle opposizioni.

A livello nazionale e locale, esiste una discussione sulla capacità delle opposizioni di unirsi e dare una prospettiva politica a tutti coloro che, con la propria “astensione” attiva, più che far vincere il centrodestra sembrano aver fatto perdere il centrosinistra. Nasce così un florilegio di temi su cui non sembra possa raggiungersi una vera sintesi, ma di cui la vera essenza è che poco interessano i cittadini che vorrebbero conquistare. Credo che il tema che continua ad interessare gli elettori del nostro Paese sia relativo alla perdita di potere economico, sia che si voglia leggere come perdita di posti di lavoro o di potere d’acquisto. Il resto rientra nella categoria “fuffa”. Su quali temi creare quindi una unità di forze politiche? Lasciando perdere la “fuffa” credo potrebbe essere apprezzato un cartello di forze politiche che si batta per politiche economiche di espansione – quelle che una volta si chiamavano keynesiane – rovesciando le screditate teorie economiche di depressione e di tagli delle destre; una nuova regolamentazione della finanza; una maggior capacità di controllo democratico sulla politica della banca centrale europea. Come alcuni ricordano, questo è quello che, al contrario, hanno fatto piccole e grandi banche, operatori ed agenzie finanziarie e via discorrendo, unendosi e lasciando indietro futili differenze contro la politica di regolamentazione che era stata tentata dall’amministrazione americana poco tempo fa: hanno vinto unendosi sotto l’egida della finanza, anche politicamente riuscendo a disgregare la sponda opposta. Bisognerebbe lasciare perdere le inutili discussioni sul nulla delle opposizioni e iniziare a ragionare di unità d’azione proprio su questi temi economici, che poi rappresentano gli attuali profondi bisogni di operai, disoccupati e professionisti, L’unione insomma tra merito e bisogno.

Lettera degli economisti

LA POLITICA RESTRITTIVA AGGRAVA LA CRISI, ALIMENTA LA SPECULAZIONE E PUO’ CONDURRE ALLA DEFLAGRAZIONE DELLA ZONA EURO. SERVE UNA SVOLTA DI POLITICA ECONOMICA PER SCONGIURARE
UNA CADUTA ULTERIORE DEI REDDITI E DELL’OCCUPAZIONE

 Ai membri del Governo e del Parlamento
Ai rappresentanti italiani presso le Istituzioni dell’Unione europea
Ai rappresentanti delle forze politiche e delle parti sociali
Ai rappresentanti italiani presso le Istituzioni dell’Unione europea e del SEBC
E per opportuna conoscenza al Presidente della Repubblica

La gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non si risolveranno attraverso tagli ai salari, alle pensioni, allo Stato sociale, all’istruzione, alla ricerca, alla cultura e ai servizi pubblici essenziali, né attraverso un aumento diretto o indiretto dei carichi fiscali sul lavoro e sulle fasce sociali più deboli.

Piuttosto, si corre il serio pericolo che l’attuazione in Italia e in Europa delle cosiddette “politiche dei sacrifici” accentui ulteriormente il profilo della crisi, determinando una maggior velocità di crescita della disoccupazione, delle insolvenze e della mortalità delle imprese, e possa a un certo punto costringere alcuni Paesi membri a uscire dalla Unione monetaria europea.

Il punto fondamentale da comprendere è che l’attuale instabilità della Unione monetaria non rappresenta il mero frutto di trucchi contabili o di spese facili. Essa in realtà costituisce l’esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato dell’Unione e dall’orientamento di politica economica restrittiva dei Paesi membri caratterizzati da un sistematico avanzo con l’estero.

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