Ronald Coase è morte all’età di 102 anni. Chi si occupa di economia ambientale non può certamente dimenticare l’importanza dei suoi studi e soprattutto del suo teorema su cui si sono costruite molte delle basi dello stesso Protocollo di Kyoto, oltre alla comprensione dal lato economico di cosa comporti l’inquinamento e quindi tutte le cosiddette “esternalità” ambientali. Cosa dice il teorema di Coase? “Nella gestione dell’inquinamento e delle esternalità, le negoziazioni di mercato tra le parti fanno tendere verso un equilibrio socialmente ottimale a prescindere da chi possieda il diritto di proprietà”. Non sta a me, certamente, spiegare cosa stia dietro questa affermazione – che in realtà parla di diritti di assegnazione di diritti di proprietà, di equilibri ottimali, di forze di mercato e di interventi statali – ma mi è caro ricordare quando iniziai a interessarmi all’economia dell’ambiente e come questo semplice teorema mi fece entrare in un mondo diverso e più solido rispetto al semplice chiacchiericcio che anche oggi si fa sui temi ambientali, senza nessuna base veritiera e scientifica. Grazie Ronald e che ti sia lieve la terra…
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
Da qualche mese in Francia si discute dell’introduzione della fiscalità ecologica all’interno della legge finanziaria del 2014. Nello specifico si è arrivati alla proposizione di un testo a firma del Presidente della Commissione sulle Sviluppo Sostenibile che include ipotesi riguardanti i carburanti maggiormente inquinanti, il consumo di carbone, derivati dallo scisto e via discorrendo. Il documento auspica che la nuova fiscalità ecologica, caratterizzata da stabilità, chiarezza e previdibilità, permetta il finanziamento della cosiddetta “transizione ecologica” e di modificare i comportamenti dei diversi agenti economici attraverso una serie di strumenti economici. La messa in opera di questo strumentario fiscale prevede una tempistica che supera l’attuale quinquennio legislativo e impegni in maniera costante la Francia al di là degli eventuali cambi di maggioranze al governo. Tale chiarezza d’intenti è energicamente affermata dall’attuale Ministro per l’Ecologia Delphine Batho che ha affermato “la volontà di mettere in piedi una fiscalità ecologica che incentivi la transizione ecologica e non aumenti la pressione fiscale”
In Italia ne parla indirettamente il Rapporto di Legambiente sui Comuni Rinnovabili, mentre il Francia (come ripresa daEcoblog) ci pensa il Commissariat Général au Développement Durable (CGDD) che pubblica i suoi dati sulla Green Economy: L’economia rinnovabile avanza e non sente le perturbazioni della crisi economica globale in atto. Settori come la cura della qualità dell’aria, il riciclo delle acque, i rifiuti, la bonifica dei suoli, trainano l’economia francese, producono posti di lavoro nuovi di zecca, rinforzano le esportazioni. Numeri interessanti che dovrebbero essere meglio analizzati da chi coordina politiche nel settore pubblico, dalle Università che devono preparare i giovani a risolvere future emergenze e dalle aziende che hanno deciso di riconvertire le proprie attività verso nuovi mercati. Uscire dal ‘900 e dai suo paradigmi economici significa anche questo.
Quanto costa non applicare le normative ambientali in Europa? La risposta è arrivata da una comunicazione dal Commissario Europeo per l’Ambiente Janez Potocnik che ha stimato in circa 50 miliardi di euro l’anno tra costi diretti e indiretti (ad esempio danni sanitari) il danno all’economia europea che i cittadini del vecchio continente sono costretti a ripianare. “La normativa UE – ha dichiarato il Commissario Europeo- non è un’invenzione di Bruxelles, ma è democraticamente adottata da tutti gli Stati membri e dal Parlamento, per il beneficio dei cittadini. L’ambiente è protetto da circa 200 atti normativi, che tuttavia troppo spesso non vengono correttamente applicati. Ciò non solo nuoce all’ambiente, ma mette a rischio la salute umana, causa incertezze per l’industria e compromette il mercato unico. Si tratta di costi che non possiamo permetterci in tempi di crisi”.
Il messaggio è che la prevenzione dei danni ambientali costerebbe molto meno rispetto a quanto sia necessario spendere per porre rimedio ai danni. Ad esempio l’applicazione integrale della legislazione UE per i rifiuti potrebbe creare 400.000 nuovi posti di lavoro con costi netti che ammonterebbero a 72 miliardi di euro in meno rispetto alla situazione attuale di mancata applicazione delle norme. La Commissione Europea sottolinea anche come il problema non abbia strumenti di risoluzione “interplanetari” ma competa semplicemente alle autorità nazionali come ai livelli amministrativi regionali e locali. Ed infine “una corretta applicazione implica un’azione di risposta efficace ai problemi ambientali effettivi o potenziali. Tra i suggerimenti per migliorare l’applicazione figurano ispezioni e sorveglianza più efficaci, criteri per il trattamento delle denunce dei cittadini da parte degli Stati membri, un accesso facilitato alla giustizia in materia ambientale, nonché il sostegno alle reti europee di professionisti dell’ambiente. In caso di problemi, i responsabili dell’applicazione delle norme dovrebbero assumere impegni più chiari, con scadenze e parametri di riferimento concreti che possano essere valutati pubblicamente”. Nulla di più, nulla di meno.
Di Angelo Spena – L’efficienza nell’uso dell’energia investe la sfera tecnica, sociale, economica della nostra vita. E i consumi civili, quelli a noi più vicini, costituiscono più di un terzo del totale. Su questi possiamo intervenire tutti, a casa e sui luoghi di lavoro. Letteralmente, con le nostre mani.
E’ questo il messaggio che scaturisce dal lavoro svolto dal progetto europeo Use Efficiency e mi auguro – in qualità di coordinatore – che la sua diffusione e discussione possa contribuire anche minimamente alle scelte impegnative e urgenti cui l’Italia dovrà provvedere per il lavoro, i giovani, la fiscalità, l’occupazione, l’efficienza e il risparmio energetico, l’innovazione, le imprese.
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Come riportato dal sito “Lo Spiffero”, Torino sarebbe stata inserita tra le 19 città che si giocheranno il prestigioso riconoscimento della Commissione Europea per le politiche ambientali. Al di là delle polemiche che ciclicamente ritornano sull’argomento è chiaro che l’assegnazione alla nostra città resta una chimera, se non altro per i risultati che purtroppo si registrano. Non sarebbe certamente elegante indagare sui perchè in passato una serie di veti incrociati non hanno permesso l’ottenimento di risultati migliori, soprattutto è tempo di guardare avanti e di impostare una visione futura che ci permetta di uscire dall’impasse. E proprio guardando al domani sarebbe corretto iniziare a far propria, da parte delle amministrazioni dell’area metropolitana, l’idea che il miglioramento della qualità ambientale non è il risultato di una singola o di un pacchetto limitato di misure, ma di una politica trasversale che permei praticamente tutte le attività amministrative con mano ferma e senza paura di scontentare le diverse corporazioni che a turno minacciano di togliere il consenso politico-elettorale a chi al momento governa l’amministrazione. Parlo di corporazioni perchè in fondo esistono molti più motivi di comprensione e di adesione da parte delle persone rispetto a corporazioni che tentano di risvegliare l’interesse generale su se stesse attraverso la proposizione di veti, e non soltanto in campo ambientale. (altro…)
Venendo invece al merito delle ricette green per l’uscita dalla crisi del debito il tema è quello della “crescita”, di cui i Paesi indebitati hanno disperato bisogno. La sfida è quindi offrire ricette credibili di crescita sostenibile. Il filo conduttore non può che partire dalla filiera dell’energia. Produrre la propria energia vuol dire creare posti di lavoro che non si perdono a causa dalla concorrenza estera. Quindi produrre le macchine e i servizi che servono a fare energia, e i beni e i servizi che permettono il risparmio energetico. L’Italia produce macchine di qualità, ha una grande tradizione ingegneristica. Dagli infissi isolanti agli inverter, dalle pale eoliche alle auto elettriche, all’agricoltura di qualità, abbiamo le capacita tecnologiche per autoprodurre la nostra crescita (stavolta sostenibile) e con essa l’uscita dall’incubo del debito. Cosa produrre, come produrlo e come misurarlo. Lungi dal rappresentare la summa dei no, l’ecologismo politico oggi e’ chiamato alla sfida della concretezza, alla materializzazione della trasformazione. L’elaborazione di strategie proprie ci servirà a non trovarci davanti alla porta chiusa dell’austerità, nel decennio che viene (…)
Luca Bonaccorsi
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Mi spiego. Se una politica vuole essere efficiente il suo risultato deve prevedere benefici superiori ai costi totali. A loro volta se questi costi e benefici fossero distribuiti in parti eguali, tutti ne trarrebbero un vantaggio e dunque verrebbe accettata. Nella realtà è difficile che si verifichi ciò e sembra che per la matrice ambientale questo risulti quasi impossibile.
Risulta esperienza comune che i miglioramenti dell’ambiente recano benefici a moltissime persone, mentre i costi, obbiettivamente subito visibili, ricadono per lo più su un gruppo ristretto, ad esempio sulle imprese come anche su alcuni tipi di consumatori.
Il problema centrale è quindi di natura distributiva. Teniamo conto che la natura del problema può ingenerare danni o esternalità supplementari, come avviene in altri campi come quello ad esempio sanitario. Potrebbe semplicemente verificarsi il caso mistero che forze economiche organizzate possano esercitare azioni di lobbing “investendo” risorse in quantità direttamente proporzionale ai costi che si vorrebbero evitare. Ciò può provocare almeno due fattori negativi: il blocco di politiche ambientali maggiormente rispondenti al criterio dell’efficienza e la sottrazione di risorse ad attività in grado di aumentare il benessere sociale.
Sia chiaro che la corretta rappresentazione degli interessi in campo è legittima e positiva. Il problema rimane il corretto governo di tutti gli interessi e la costruzione di criteri di valutazione dell’interesse generale, che per inciso a livello secco di economia è il cosiddetto benessere sociale.
Ancora una volta risulta difficile lasciare alle sole forze del mercato la risoluzione del problema. Solamente lo sviluppo dell’azione pubblica, e non il suo ridimensionamento, può comporre tali problemi di natura distributiva.
Vivere sta diventando più caro? Certamente sì e la ragione non è l’inflazione. Purtroppo sono proprio gli Enti Locali che non ricevono risorse dallo Stato e sono costretti a tagliare diversi servizi e aumentare il costo di altri per riequilibrare i bilanci. Il cosiddetto “federalismo fiscale” dovrebbe a questo punto fornire lo strumento per tagliare sprechi ed indirizzare la tassazione locale verso imposte “virtuose”, ma non abbiamo ancora sentito nulla sulle intenzioni delle diverse coalizioni per il futuro. (altro…)
Tim Jackson, docente di sostenibilità all’Università del Surrey e membro della Sustainable Development Commission della Gran Bretagna, è convinto che è possibile una nuova economia ambientale che produca benessere e ci faccia uscire dalla crisi senza tornare alle caverne e diventare tutti fraticelli. Il tutto in 11 punti:
1) Individuazione di “tetti massimi” di utilizzo delle risorse ed emissioni, e conseguenti obiettivi di riduzione
Fondamentale fissare dei “tetti” massimi per l’utilizzo delle risorse e per le emissioni prodotte, stabilendo obiettivi di riduzione. Tali “tetti”che derivano dall’analisi dei limiti ecologici, devono essere considerati in base al principio di equità per cui c’è chi dovrà inevitabilmente ridurre e quindi “scendere” e chi, invece, potrà “salire” per raggiungere il “tetto” indicato.
2) Una riforma fiscale per la sostenibilità
Interiorizzare le esternalità prodotte dalle attività economiche è un principio ormai accettato da almeno vent’anni. Dobbiamo però attivare una completa riforma fiscale ecologica, che sposti la pressione dagli elementi economici positivi (come il reddito) a quelli ecologici negativi (come l’inquinamento), tassandoli.
3) Sostegno per la transizione ecologica nei paesi in via di sviluppo
E’ evidente che per le nazioni più povere va fatto spazio alla crescita di cui hanno vitale bisogno. Tuttavia l’espansione di queste nazioni deve comportare anche l’esigenza di assicurare, da subito, che il loro sviluppo sia sostenibile e rimanga entro i limiti ecologici del pianeta e devono esserci supporti finanziari per questo.
4) Correggere il modello economico e sviluppare una macroeconomia ecologica
Un’economia fondata sull’infinita espansione dei consumi materialistici, basati a loro volta sull’indebitamento, è insostenibile dal punto di vista ecologico, problematica da quello sociale e instabile da quello economico. Per cambiare le cose occorre quindi sviluppare una nuova macroeconomia della sostenibilità. Abbiamo bisogno di un motore economico la cui stabilità non dipenda dalla continua crescita dei consumi ma dal mantenimento di buone condizioni ambientali e sociali.
5) Aumentare la prudenza finanziaria e fiscale
Negli ultimi vent’anni la crescita economica si è basata sui consumi materiali basati sull’indebitamento e per sostenerli siamo giunti a destabilizzare la macroeconomia, contribuendo all’attuale crisi globale economico-finanziaria. E’ indispensabile attivare una riforma della regolamentazione dei mercati finanziari nazionali e internazionali. E’ importante anche applicare la cosiddetta “Tobin tax”, concepita dal premio Nobel per l’economia James Tobin, da utilizzare per limitare la mobilità del capitale in generale o per finanziare lo sviluppo dei paesi emergenti (ridistribuendo le entrate fiscali sotto forma di aiuti)
6) Rivedere la contabilità nazionale
Bisogna costruire nuovi indicatori di benessere capaci di affiancare o sostituire il PIL (Prodotto Interno Lordo). Ne sono stati prodotti diversi, ora è necessario applicarli e in questo campo il WWF è molto attivo con l’iniziativa Beyond GDP (il GDP è l’acronimo inglese del PIL e sta per Gross Domestic Product) insieme alla Commissione Europea, al Parlamento Europeo, al Club di Roma e all’OCSE. I tempi sono ormai maturi per sviluppare una contabilità nazionale in grado di dare una misura più adeguata della performance economica.
7) Politiche sull’orario di lavoro
E’ necessario intervenire sulle politiche degli orari di lavoro per dare vita a un’economia sostenibile e favorire un miglior equilibrio tra vita e lavoro
8) Affrontare le ingiustizie
Le disparità di reddito hanno effetti negativi sia sulla salute individuale sia sul benessere sociale. E’ necessario affrontare queste iniquità permettendo così di ridurre i costi sociali, migliorare la qualità della vita e cambiare la dinamica dei consumi.
9) Misurare le capacità e la felicità umana
E’ necessaria una valutazione sistematica delle capacità di essere felici che hanno le persone nei diversi segmenti demografici.
10) Rafforzare il capitale sociale
E’ importante creare comunità sociali resilienti e resistenti, più che mai necessarie di fronte agli shock economici. La forza della comunità può fare la differenza tra disastro e trionfo rispetto ai tracolli economici. Sono necessarie politiche per aumentare il capitale sociale e rafforzare le comunità.
11) Smantellare la cultura del consumismo
Il consumismo in parte si è sviluppato come mezzo per proteggere la crescita economica basata sui consumi e la cultura consumistica è trasmessa da istituzioni, media, norme sociali e da una pletora di segnali, velati o meno, che incoraggiano la gente a esprimersi, cercare un’identità e trovare il significato della propria vita attraverso beni materiali. Dipanare la cultura del consumismo e cambiare la sua logica sociale richiederà uno sforzo consistente e metodico, quanto quello che in passato ci ha permesso di consolidare questo modello. È importante notare però che non si tratterà solo di una serie di rinunce: si dovranno offrire alle persone anche alternative realistiche allo stile di vita consumistico, incrementando la loro capacità di essere felici in modi meno materialistici.