Estremamente interessanti alcuni dati citati da Rolando Polli nel suo articolo comparso su Nova del 20 novembre ’08 riguardanti il rapporto tra industria e costi ambientali. A partire da scenari abbastanza noti. Per raggiungere gli obbiettivi europei su risparmio energetico e incremento delle rinnovabili, il Governo italiano stima un impegno di 18 miliardi € l’anno (1,14% del Pil), mentre secondo l’Unione europea (UE) ne basterebbero 10. Il terzo incomodo sarebbe rappresentato dalla Mc Kinsey (dato non pubblicato) che stima una curva dei costi di abbattimento della CO2, che include anche i benefici oltre i costi, di circa 4 miliardi l’anno.
Ancora interessante è considerare altri lati del problema, per capire se l’ambiente ha rappresentato un effettivo freno nello sviluppo. Nel periodo 2000-2007 l’Italia infatti ha registrato la crescita economica più bassa tra i paesi industrializzati: 1,1%. Sembra difficile imputare questa bassa crescita ad esempio a tentativi di raggiungimento di abbattimento della CO2. Infatti di fronte alla richiesta UE di ridurre i gas serra del 6,5% rispetto al 1990, l’Italia ha lasciato che le emissioni aumentassero invece del 12,5%. Anche perché rimane sprorzionato il confronto con altri 3 Paesi che sicuramente sono cresciuti più del nostro, ma che hanno raggiunto risultati impensabili:Germania diminuzione del 18,7% (richiesta 21%); Gran Bretagna diminuzione del 15,7% e Francia, per certi versi più simile a noi, diminuzione del 1,9%. Non sembra quindi che raggiungere obbiettivi di diminuzione della CO2 porti a bassa crescita. Anche perché questi Paesi hanno considerato l’industria “verde” come opportunità. Come chiamare infatti i 259 mila dipendenti nel settore delle rinnovabili in Germania nel 2006 oppure gli 89 mila spagnoli del 2007?
E non stiamo parlando di produzioni marginali, di nicchia, ma di veri e propri colossi. La produttrice di turbine eoliche danese Vestas capitalizza, con la borsa ai minimi odierni, 5,9 miliardi € ed impiega 17 mila persone; La spagnola Gamesa dà lavoro a 7 mila dipendenti e vale 3 miliardi €; le tedesche Enercon, Nordex e Repower impiegano 11 mila persone. Q-cells e Solarworld (Germania) producono celle solari e danno lavoro a 3 mila dipendenti e valgono 6 miliardi €, mentre la Rec (Norvegia) che tratta wafers di silicio vale 4 milirdi € ed impiega 2.200 dipendenti. Non addentriamoci in Cina e Giappone. In Italia possiamo dire che per trovare qualcosa di significativo dobbiamo rivolgerci ad Actelios, Greenvision o Erg renew che valgono tra 1 100 ed i 170 milioni (non miliardi!).
In sostanza la recessione, il basso sviluppo, la crisi finanziaria mordono dapperttutto, ma facendo le debite proporzioni rimane poco comprensibile perché i diversi Paesi abbiano modalità di approccio diverse e, conseguentemente, risultati assai diversi. Una cosa però non possiamo non dire: il costo per raggiungere certi risultati ambientali non rappresenta il freno a mano dello sviluppo del nostro e degli altri Paesi.

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