Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

L’Italia e la dipendenza tecnologica verde

Sono sempre più chiare le elaborazioni economiche sull’impatto del commercio internazionale delle tecnologie per fonti di energia rinnovabile nei bilanci delle nazioni. Roberto Romano su Economia e Politica arriva perfino a candidare il settore delle clean energy technologies come motore della distruzione creativa schumpeteriana dove una fuoriuscita dalla depressione economica si prevede “solo quando un “grappolo” d’innovazioni riesce a formarsi e si traduce in nuove opportunità di crescita, investimento e profitto, con una crescita del sapere tecnologico”. In sostanza già ora il mercato delle tecnologie “verdi” sta condizionando le strategie di sviluppo internazionali con variazioni delle specializzazioni fin qui conosciute nelle diverse aree. Il nostro problema è che, tra i Paesi europei, l’Italia è quella che, mettiamola così, fa fatica a mantenere competitività  nella produzione e commercializzazione nelle tecnologie per fonti rinnovabili. Sempre Romano ci segnala che esiste circa un calo del 30% per l’Italia nella quota di esportazione di queste tecnologie e cresce la quota di importazione di queste tecnologie a causa, soprattutto, dei fallimentari livelli di investimento in ricerca & sviluppo nel settore. Il rischio per il futuro è paradossale sostituendo la “dipendenza” odierna dalle fonti fossili di cui il nostro Paese è sguarnito, a quella ben più pericolosa della dipendenza tecnologica legata alle fonti rinnovabili. Incentivare quindi il consumo di energie pulita, ma insieme sviluppare anche un sistema in grado di produrla non dipendente dall’estero. Eccola vera sfida del nostro sistema-paese.

Lomborg. L’ambientalista scettico si pente?

Si sono già scaldati i motori per la prossima uscita del nuovo libro di Bjorn Lomborg, conosciuto universalmente come l’Ambientalista Scettico dal titolo del suo libro più conosciuto. La novità starebbe nel fatto che da eco-pentito, lo statistico si starebbe riposizionando nell’alveo ecologista, ritrattando le sue precedenti affermazioni. Bisognerà certamente aspettare e leggere la nuova summa di Lomborg per capire. Ma il problema verosimilmente è meno complicato di quel che sembra, perchè i precedenti libri di Lomborg costituiscono una materia su cui tutti hanno espresso qualche valutazione e pochi però hanno effettivamente letto. se infatti è pur vero che molte delle informazioni presentate dall’ambientalista scettico sono state confutate anche da riviste importanti e che si avvalgono di metodi scientifici, ciò che resta valido nelle affermazioni di Lomborg non viene sostanzialmente intaccato e sembra che il nuovo libro non faccia che riprendere la filosofia di fondo delle precedenti argomentazioni. Che sono alla fine un paio. La prima è che, conti alla mano, molte delle politiche economiche di contrasto ai cmbiamenti climatici così come sono oggi formulate sono basate su calcoli errati e non sono idonee, oltre a la fatto che i risvolti negativi su altri aspetti e settori porterebbero comunque a risultati peggiori rispetto ai benefici. La seconda è che per cambiare qualcosa bisognerebbe mettere in moto politiche aggressive sulle fonti rinnovabili. Fondamentale è anche il fatot che per progettare una politica realmente utile è necessario saper maneggiare i dati in maniera scientifica, analizzando le connessioni tra i dati ambientali e quelli economici. Lomborg propone come aiuto la scienza statistica di cui lui è autorevole esponente. Il suo metodo è dichiarato nello stesso “Ambietalista Scettico”: capire ed usare i migliori metodi a disposizione della scienza per controllare se le “sacre convinzioni” sociali resistono alla prova dei fatti o sono dei semplici miti. Se il nuovo libro abbatterà queste convinzioni sarà effettivamente un cambiamento radicale del modo di vedere le cose di Lomborg. Non credo che però questo avverrà.

Caos al Ministero dell’Ambiente e reati ambientali

Per comprendere la politica ambientale e il suo peso in Italia oggi basta incrociare almeno due articoli comparsi sulla stampa quotidiana questa mattina. Nel primo (qui) viene dato conto della situazione dei reati ambientali presenti nel nostro Paese che veleggiano verso un importante aumento, quasi fuori controllo. tenendo conto che tali reati attengono spesso ad autorizzazioni industriali non rispettate, problemi edilizi e via discorrendo, la sensazione che un’altra fetta consistente di evasione si annidi appunto nelle questioni legate al territorio e alla sua tutela è più che dimostrata. Non solo un problema di inquinamento, quindi, ma una vera e propria sottrazione di risorse allo Stato degna per quantità di una manovra economica. Il secondo testo (qui) è un rendiconto del caos presente all’interno del Ministero dell’Ambiente con blocco annesso della nomina di direttori generali, autorizzazioni ambientali ferme, stipendi oltre limite, politiche azzerate. In sostanza un’attività che dovrebbe sbloccare e porre sotto limiti compatibili anche qui le nostre aziende soffre di poca efficienza, senza parlare dell’efficacia. Con l’idea che sono le stesse aziende che non riescono ad ottenere i diversi “pass” alla propria attività che iniziano a spazientirsi. Poca capacità di perseguire i reati ambientali con ingenti “distrazioni” di soldi e danni al nostro territorio e scarsa efficienza nel dare giusto regime autorizzativo alle nostre attività produttive sono le cifre che la fotografia delle politiche ambientali del nostro Paese ci restituiscono senza troppa difficoltà interpretativa. E tutto questo significa perdita di nuovi posti di lavoro, inquinamento e perdita di salute, danni economici che si aggiungono a quelli della recente manovra. Se qualcuno non è convinto del perchè sia necessaria una forte risposta politico-amministrativa sul settore ambientale, la lettura di queste due note potranno fargli cambiare idea.

Giornata dell’ambiente: il Piemonte si affida a “chi l’ha visto?”

Giornata dell’Ambiente. Il Piemonte si affida alla trasmissione “chi l’ha visto?” per comunicare cosa c’è da fare e cosa è stato fatto in questi anni. Devo dire che, almeno all’interno del mio luogo di lavoro, nessuno sapeva nulla dell’avvenimento. E dire che non c’è nemmeno troppa necessità di spesa per far capire due o tre piccole cose e far appassionare le persone non tanto al catastrofismo ambientale, ma alle numerose opportunità che una rivoluzione ambientale potrebbe far nascere non sulla luna, ma proprio sul nostro territorio.

Finanziaria 2010: il Governo colpisce la produzione di energia rinnovabile

Il governo getta la maschera e colpisce, mediante la Finanziaria, le fonti di energia rinnovabile. Sono due gli articoli da tenere d’occhio il 15 che impone agli impianti idroelettrici di grande derivazione un nuovo canone e il 45 che cancella l’obbligo da parte del Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) di ritirare i Kw in esubero prodotti. Lo smascheramento a favore della costruzione del nucleare e l’abbattimento della produzione delle rinnovabili è dato dal fatto che le misure citate non costituiscono nessun vantaggio per le casse dello Stato, ma al contrario rinunciano ad eventuali gettiti fiscali. L’associazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili (APER) segnala inoltre la “forte turbativa che tali provvedimenti creano negli istituti di credito, con conseguente perdita di credibilità del Sistema Paese nei confronti del mondo finanziario”. Inutile inoltre ricordare il colpo inferto allo sviluppo dei Green Jobs, i lavori verdi, che sicuramente perderanno terreno e allontaneranno il nostro Paese dalle possibili 300.000 nuove unità lavorative che si potrebbero immettere sul mercato del lavoro.


Rapporto su stili e comportamenti di mobilità degli italiani. Osservatorio Audimob – Isfort

La domanda di mobilità dei cittadini italiani è aumentata o diminuita negli ultimi 10 anni? L’interrogativo è semplice e sembra sollecitare una risposta altrettanto semplice. In verità, gli indicatori di domanda non sono univoci e la ricchezza dei dati dell’Osservatorio “Audimob” rappresenta sul punto tendenze articolate, che non si muovono tutte nella stessa direzione. In estrema sintesi: la domanda di mobilità in un giorno medio feriale è cresciuta se si considera l’indicatore tradizionale delle distanze percorse (passeggeri*km); è invece tendenzialmente stabile se si considera il solo numero degli spostamenti effettuati; ed è addirittura (leggermente) declinante alla luce di un indicatore più complesso di domanda elaborato da Isfort (l’IME: Indicatore di Mobilità Espressa) che tiene anche conto della frequenza degli spostamenti e del tempo impiegato nei viaggi.

Una lettura direi fondamentale per chiunque voglia discutere sulle politiche della mobilità nei nostri centri centri urbani e non solo. Qui la sintesi del Rapporto su stili e comportamenti di mobilità degli italiani dell’ISFORT

Francia: ecotassa sul trasporto pesante

Il governo francese ha annunciato che l’entrata in vigore dell’Ecotassa sul trasporto pesante avverrà non prima del 2012, a differenza di quanto stabilito dalla legge Grenelle -Ambiente e dalla finanziaria 2009. Cosa sia questa tassa è presto detto: si tratta di far pagare sulla rete stradale francese non sottoposta già a pagamento, una cifra a km percorso in modo tale da spostare il trasporto delle merci dalla gomma ad altre forme meno inquinanti. La tassa, più o meno 20 centesimo per Km effettivamente percorso si propone diversi fini tra cui:

  • Una fiscalità più ecologica, che pesi sul traffico realmente svolto, piuttosto che sul costo del lavoro e sul patrimonuio delle imprese di trasporto stradale;
  • Una fiscalità più giusta che colpisca i veicoli pesanti quale che sia la loro nazionalità;
  • un «costo di riferimento» che favorisca il rapporto modale grazie ad un meccanismo di ribaltamento della tassa sui committenti caricatori
  • nuove risorse per la costruzione di infrastrutture di trasporto decise a partire proprio dalla legge Grenelle sull’ambiente.

Qualche approfondimento qui e qui

Come salvare il pianeta

Come salvare il pianeta: viaggio nei meccanismi del Parlamento americano con un’intervista ad Al Gore. Current TV

Insieme per Bresso: una proposta su salute ed ambiente

Quando parliamo di ambiente non possiamo non parlare di salute. Un esempio fondamentale è il legame che esiste tra la sfida energetica e la tutele della salute. Uno dei nodi principali infatti non sembra essere tanto la possibilità di reperire energia, bensì le conseguenze dell’utilizzo di fonti energetiche alle quali ci stiamo affidando in modo “eccessivo” e i relativi impatti dannosi. Quindi uno dei primi passi da compiere è l’individuazione degli effetti sull’uomo e dei fattori scatenanti. Richard Klausner individua alcuni punti su cui interrogarsi preventivamente nella valutazione delle differenti possibilità di scelta:

- quali saranno gli effetti

- in che modo si manifesteranno

- quale sarà la loro portata

- quando si manifesteranno

- chi verrà colpito in misura maggiore.

Esistono strumenti scientificamente consolidati per rispondere a queste domande?

Uno degli strumenti più raffinati che viene impiegato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nelle sue rendicontazioni sullo stato globale della salute è il DALY, sigla che significa Disability-Adjusted Life Years. Questo strumento permette di “misurare” il peso della malattia in una comunità attraverso la combinazione di diversi parametri: perdite dovute a morte prematura e perdite di vita sana dovuta a forme di inabilità. 1 DALY è uguale allaperdita di un anno di vita in buono stato di salute. Tra le diverse funzioni, il DALY serve anche a selezionare e misurare il costo degli interventi per la prevenzione e/o cura di determinate malattie, quindi anche per la definizione delle priorità in sanitarie e per la scelta dell’attribuzione di risorse finanziarie e umane.

Una proposta che sostengo per la prossima legislatura regionale in Piemonte è l’introduzione di questi tipi di parametri per valutare in maniera più scientifica,  comprendere gli impatti di ciò che scegliamo dal punto di vista ambientale e disegnare le priorità in sanità derivanti dalle scelte ad esempio energetiche che ci apprestiamo a compiere.

Ambiente e costi dell’industria

Estremamente interessanti alcuni dati citati da Rolando Polli nel suo articolo comparso su Nova del 20 novembre ’08 riguardanti il rapporto tra industria e costi ambientali. A partire da scenari abbastanza noti. Per raggiungere gli obbiettivi europei su risparmio energetico e incremento delle rinnovabili, il Governo italiano stima un impegno di 18 miliardi € l’anno (1,14% del Pil), mentre secondo l’Unione europea (UE) ne basterebbero 10. Il terzo incomodo sarebbe rappresentato dalla Mc Kinsey (dato non pubblicato) che stima una curva dei costi di abbattimento della CO2, che include anche i benefici oltre i costi, di circa 4 miliardi l’anno.
Ancora interessante è considerare altri lati del problema, per capire se l’ambiente ha rappresentato un effettivo freno nello sviluppo. Nel periodo 2000-2007 l’Italia infatti ha registrato la crescita economica più bassa tra i paesi industrializzati: 1,1%. Sembra difficile imputare questa bassa crescita ad esempio a tentativi di raggiungimento di abbattimento della CO2. Infatti di fronte alla richiesta UE di ridurre i gas serra del 6,5% rispetto al 1990, l’Italia ha lasciato che le emissioni aumentassero invece del 12,5%. Anche perché rimane sprorzionato il confronto con altri 3 Paesi che sicuramente sono cresciuti più del nostro, ma che hanno raggiunto risultati impensabili:Germania diminuzione del 18,7% (richiesta 21%); Gran Bretagna diminuzione del 15,7% e Francia, per certi versi più simile a noi, diminuzione del 1,9%. Non sembra quindi che raggiungere obbiettivi di diminuzione della CO2 porti a bassa crescita. Anche perché questi Paesi hanno considerato l’industria “verde” come opportunità. Come chiamare infatti i 259 mila dipendenti nel settore delle rinnovabili in Germania nel 2006 oppure gli 89 mila spagnoli del 2007?
E non stiamo parlando di produzioni marginali, di nicchia, ma di veri e propri colossi. La produttrice di turbine eoliche danese Vestas capitalizza, con la borsa ai minimi odierni, 5,9 miliardi € ed impiega 17 mila persone; La spagnola Gamesa dà lavoro a 7 mila dipendenti e vale 3 miliardi €; le tedesche Enercon, Nordex e Repower impiegano 11 mila persone. Q-cells e Solarworld (Germania) producono celle solari e danno lavoro a 3 mila dipendenti e valgono 6 miliardi €, mentre la Rec (Norvegia) che tratta wafers di silicio vale 4 milirdi € ed impiega 2.200 dipendenti. Non addentriamoci in Cina e Giappone. In Italia possiamo dire che per trovare qualcosa di significativo dobbiamo rivolgerci ad Actelios, Greenvision o Erg renew che valgono tra 1 100 ed i 170 milioni (non miliardi!).
In sostanza la recessione, il basso sviluppo, la crisi finanziaria mordono dapperttutto, ma facendo le debite proporzioni rimane poco comprensibile perché i diversi Paesi abbiano modalità di approccio diverse e, conseguentemente, risultati assai diversi. Una cosa però non possiamo non dire: il costo per raggiungere certi risultati ambientali non rappresenta il freno a mano dello sviluppo del nostro e degli altri Paesi.

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