In tempi di approvazione della Finanziaria conciliare il rigore con la crescita è senza dubbio una preoccupazione che gli italiani hanno ben presente. Sempre più spesso, inoltre, sentiamo i richiami dell’Unione Europea come un cappio che sembra limitare la nostra libertà d’azione e, a tratti, come responsabile stessa delle nostre difficoltà. Chiaramente non è così e addentrandoci un po’ meglio tra le pieghe del nostro rapporto con Bruxelles scopriamo anche qualche strumento utile che viene poco reclamizzato ma che ci potrebbe far comprendere meglio la “visione” a cui gli stati fratelli tendono per descrivere cosa pensano delle proprie carenze e dove vorrebbero andare. Dario Di Vico oggi sul Corriere della Sera ci da questo tipo di informazione parlando dei “Piani Nazionali di Riforma” (Pnr) che stanno sostituendo la strategia di Lisbona e che i diversi governi devono presentare annualmente dichiarando le riforme che ritengono necessarie con i relativi dettagli sulle manovre, sui tempi e sui controlli da adottare. Per non parlar male del nostro Paese, può essere utile un semplice esercizio e cioè andare a vedere cosa pensano di mettere in pratica i più importanti Paesi europei e da lì lasciare al buon cuore di ognuno di noi il giudizio. I francesi, ad esempio, hanno scelto di focalizzare le proprie priorità sull’insegnamento superiore e sulla ricerca, con un aumento del budget del 17%. Scelta la priorità l’impegno è portare al 75% il tasso di occupazione nel 2020, a ridurre al 9,5% l’abbandono scolastico ed a sfornare il 50% di laureati con età compresa tra i 17 ed i 33 anni. Berlino, invece, mette al centro del proprio programma la tutela e la crescita del lavoro di alta qualità. L’obbiettivo è aumentare il tasso di occupazione (fino al 77%) per rendere sostenibile la politica rigorista e promuovere la crescita con il volano delle esportazioni high-tech e costruire la forza lavoro più qualificata del mondo. Di Vico ci propone un paragone sui dati comparativi tra la Germania ed il nostro Paese dove a fronte di una disoccupazione giovanile italiana del 29,7%, i nipotini di Adenauer si fermano al 9%! Di sicuro l’UE non ha risparmiato critiche ed osservazioni ai Piani dei diversi Paesi – anche quelli sopracitati – e così scopriamo che la Gran Bretagna fa il paio con l’Italia che vengono sostanzialmente apostrofate come “reticenti”. Inutili altri commenti.
P.S. Per l’Italia, comunque, secondo le analisi/raccomandazioni del Consiglio di Bruxelles, “non sono specificati obiettivi concreti, nè scadenze di medio termine per il piano triennale del lavoro e le misure per sconfiggere il sommerso sono solo un generico appello”.
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