Paula Heimann
Sono stata stimolata a scrivere questa breve nota sul controtransfert da alcune osservazioni che ho fatto in seminari e analisi di controllo. Sono rimasta colpita dall’idea, diffusa tra i candidati, che il controtransfert non sia altro che una fonte di guai. Molti candidati hanno paura e si sentono colpevoli quando si accorgono di provare sentimenti verso i loro pazienti, e di conseguenza cercano di evitare qualsiasi risposta emotiva e di diventare completamente «distaccati». Quando ho cercato di comprendere le origini di questo ideale di un analista «distaccato», mi sono resa conto che la nostra letteratura non contiene descrizioni del lavoro analitico che possano far nascere l’idea che un buon analista provi per il proprio paziente solo una costante e moderata benevolenza; e che invece ogni increspatura di questa superficie liscia costituisca una perturbazione che deve essere superata. Forse ciò può derivare da una cattiva interpretazione di alcune affermazioni di Freud, come il suo paragone con lo stato mentale del chirurgo durante un operazione, o l’altra analogia dello specchio; queste frasi infatti sono state citate spesso nelle discussioni sulla natura del controtransfert. D’altra parte esiste una diversa linea di pensiero, come quella di Ferenczi, che non solo riconosce che l’analista prova per il paziente una grande varietà di sentimenti, ma consiglia anche in certi casi di esprimerli apertamente. Nel suo lavoro Handhabung der Ubertragung auf Grund der Ferenczischen Versuche del 1936, Alice Balint ritiene che questa onestà da parte dell’analista sia utile e in accordo con quel rispetto per la verità che fa parte della psicoanalisi. Ammiro il suo atteggiamento ma non posso aderire alle sue conclusioni. Altri hanno affermato che, quando l’analista manifesta i suoi sentimenti al paziente, diventa più umano, e ciò gli permette di stabilire con lui una relazione umana. In questo lavoro adopero il termine «controtransfert» per includere tutti i sentimenti che l’analista sperimenta verso il paziente. Si può obiettare che questo uso del termine non è corretto e che il controtransfert equivale al transfert da parte dell’analista. Ma io penso che il prefisso «contro» implica l’esistenza anche di altri fattori. È utile qui ricordare che i sentimenti di transfert non possono essere chiaramente distinti da quelli che si riferiscono a un altra persona come tale e non come sostituto del genitore. Spesso si sottolinea che non tutto ciò che il paziente prova per l’analista è dovuto al transfert e che, via via che l’analisi progredisce, egli diviene sempre più capace di provare sentimenti «realistici». Questa stessa precisazione mostra che la distinzione tra questi due tipi di sentimenti non è semplice. La mia tesi è che la risposta emotiva dell’analista nei confronti del paziente, nella situazione analitica, rappresenta uno dei più importanti strumenti del suo lavoro. Il controtransfert è uno strumento di ricerca nell’ inconscio del paziente. La situazione analitica è stata esaminata e descritta da molte angolazioni e tutti concordano nel ritenere che essa ha una sua specificità. Ma mi sembra non sia stato sufficientemente sottolineato che si tratta di una relazione fra due persone. Ciò che distingue questa relazione dalle altre non è la presenza di sentimenti in un partner, il paziente, e l’assenza nell’altro, l’analista, ma soprattutto l intensità dei sentimenti provati e l uso che se ne fa, giacché questi fattori sono interdipendenti. Da questo punto di vista, lo scopo dell’analisi non è di trasformare l’analista in un cervello meccanico, che può produrre interpretazioni sulla base di procedure puramente intellettuali, ma di renderlo capace di sostenere i sentimenti che si agitano in lui, invece di scaricarli come fa il paziente, in modo da subordinarli al lavoro analitico, in cui egli funziona come uno specchio che riflette il paziente. Se l’analista cerca di lavorare senza tener conto dei propri sentimenti, le sue interpretazioni saranno povere, come spesso avviene nel lavoro dei candidati che per paura ignorano o soffocano i loro sentimenti. Sappiamo che all’analista occorre un attenzione fluttuante per seguire le libere associazioni del paziente, e per essere in grado di ascoltarle contemporaneamente a molti livelli. Egli deve percepire il significato manifesto e quello latente nelle parole del paziente, le allusioni e le implicazioni, gli accenni alle sedute precedenti, i riferimenti alle situazioni infantili nascoste dietro la descrizione delle relazioni attuali, etc. Ascoltando in questa maniera, l’analista evita il pericolo di preoccuparsi soltanto di uno di questi temi ed è ricettivo ai significati dei cambiamenti di argomento, alle sequenze e ai vuoti delle associazioni del paziente. Vorrei rilevare che, accanto a questa attenzione fluttuante, all’analista occorre pure un acuta sensibilità emotiva in modo da poter seguire i movimenti affettivi e le fantasie inconsce del paziente. La nostra ipotesi fondamentale è che l’inconscio dell’analista comprende quello del paziente. Questo rapporto profondo a#ora nei sentimenti che l’analista avverte in risposta al paziente, cioè nel suo «controtransfert». Questo è il modo più dinamico in cui gli giunge la voce del suo paziente. L’analista che paragona i suoi sentimenti con le associazioni e la condotta del paziente possiede uno strumento assai prezioso per verificare se è riuscito a capire il paziente. Però, giacché le emozioni violente di qualsiasi tipo (amore, odio, utilità personale o collera) spingono all azione piuttosto che all’osservazione e confondono la capacità di analizzare e valutare correttamente la realtà, ne deriva che se la risposta emotiva dell’analista è eccessiva finirà con l’impedirgli di comprendere la situazione. È necessario allora che la sensibilità emotiva dell’analista sia estensiva piuttosto che intensiva, mobile e differenziata. Non ci saranno difficoltà nel lavoro analitico quando l’analista che integra l’attenzione fluttuante a risposte emotive fluttuanti non considera i suoi sentimenti come un problema, giacché essi concordano con i significati da lui intuiti. Tuttavia, spesso le emozioni risvegliate nell‘analista sono molto più vicine al nocciolo del problema di quanto non lo sia il suo ragionare o, in altre parole, la sua percezione inconscia dell’inconscio del paziente è più acuta e rapida di quella conscia. Mi viene in mente una recente esperienza. Riguarda un paziente che aveva fatto una precedente analisi con un collega. Il paziente era un uomo sulla quarantina che aveva iniziato il primo trattamento quando il suo matrimonio era fallito. La confusione era il suo sintomo dominante. Alla terza settimana di analisi, all’inizio della seduta, mi disse che stava per sposare una donna che aveva conosciuto solo poco tempo prima. Era ovvio che in quel momento il suo desiderio di sposarsi era determinato dalle resistenze verso l’analisi e dal bisogno di agire i suoi conflitti di transfert. Nell’ambito di un atteggiamento assai ambivalente era chiaramente presente il desiderio di una relazione intima con me. Avevo perciò motivo per sospettare della saggezza della sua intenzione e di dubitare della sua scelta. Ma il tentativo di abbreviare l’analisi non è infrequente all’inizio o in momenti critici del trattamento e, di solito, non rappresenta un ostacolo troppo grande per il lavoro, tale da determinare situazioni pericolose. Fui perciò piuttosto perplessa nel vedere che reagivo verso il paziente con un senso di apprensione e di preoccupazione. Sentivo che in quella situazione era presente, oltre il solito acting-out, qualche altra cosa che però mi sfuggiva. Nelle successive associazioni che erano incentrate sulla sua amica, il paziente, descrivendola, disse che aveva avuto «un passato burrascoso». Di nuovo questa frase mi colpì in modo particolare ed aumentò la mia apprensione. Cominciai a capire che il paziente era attratto da lei proprio perché aveva avuto un passato difficile. Ma tuttavia sentivo ancora che non vedevo le cose abbastanza chiaramente. Mi parlò poi di un suo sogno: aveva acquistato all’estero una buonissima automobile di seconda mano che era danneggiata. Voleva ripararla ma, nel sogno, un altra persona si opponeva; il paziente dovette, come disse, «farla confondere» per poter continuare la riparazione dell’automobile. Con l’aiuto di questo sogno riuscii a capire ciò che prima avevo semplicemente percepito come un senso di apprensione e di preoccupazione. Infatti c’era in gioco qualcosa di più del semplice acting-out dei conflitti di transfert. Quando mi fornì i particolari dell’automobile – molto buona, di seconda mano, proveniente dall’estero – il paziente riconobbe spontaneamente che essa rappresentava me stessa. L’altra persona del sogno che cercava di fermarlo e che egli aveva fatto confondere stava per quella parte dell’Io del paziente che tendeva alla sicurezza e alla felicità e all analisi come ad un oggetto protettivo. Il sogno mostrava che il paziente desiderava che io fossi danneggiata (ad esempio insisteva sul fatto che io fossi la profuga a cui si poteva applicare l’espressione «passato burrascoso» che egli aveva usato per la sua nuova amica). I sensi di colpa per i suoi impulsi sadici lo costringevano a processi di riparazione, ma questa riparazione era di natura masochistica in quanto doveva cancellare la voce della ragione e della precauzione. Il confondere la figura protettiva aveva un duplice significato, esprimendo sia i suoi impulsi sadici sia quelli masochistici: da un lato egli aspirava a danneggiare l’analisi, e ciò rappresentava le tendenze sadiche del paziente, secondo il modello dei suoi attacchi anali infantili alla madre; dall’altro, egli cercava di ostacolare il suo desiderio di sicurezza e felicità ed esprimeva così le sue tendenze autodistruttive. La riparazione, diventata un atto masochistico, genera nuovo odio e, lungi dal risolvere il conflitto tra la distruttività e la colpa, conduce ad un circolo vizioso. L’intenzione del paziente di sposare la sua nuova amica, la donna danneggiata, era sostenuta da entrambi questi motivi, e l’acting-out dei suoi conflitti di transfert era determinato da questo specifico e potente sistema sado-masochistico. Inconsciamente avevo afferrato immediatamente la serietà della situazione, da qui il senso di preoccupazione che avevo provato. Ma la mia comprensione conscia era stata più lenta, cosicché mi resi conto del messaggio del paziente e della sua richiesta di aiuto più tardi, durante la seduta, quando affiorò altro materiale. Nel presentare l’elemento centrale di una seduta analitica, spero di illustrare la mia ipotesi secondo la quale la risposta immediata emotiva dell’analista al paziente è un indizio molto significativo dei processi inconsci del paziente e favorisce una maggiore comprensione. Tale reazione emotiva aiuta l’analista a focalizzare l’attenzione sugli elementi più importanti delle associazioni del paziente e serve come un utile criterio per la scelta delle interpretazioni derivate dal materiale che, come sappiamo, è sempre multideterminato. Da questo punto di vista il controtransfert non costituisce solo una parte della relazione analitica, ma è una creazione del paziente, è una parte della sua personalità (potrei qui sfiorare un problema che il Dott. Clifford Scott esprimerebbe coi termini del suo concetto di schema corporeo, ma ciò mi porterebbe troppo lontano). L’approccio al controtransfert che io ho proposto non è senza pericoli. Esso non rappresenta uno schermo ad insufficienze dell’analista. Quando l’analista nella sua analisi personale è riuscito ad elaborare i suoi conflitti infantili e le ansie persecutorie, così da poter stabilire facilmente un contatto col proprio inconscio, non attribuirà al paziente ciò che invece gli appartiene. Egli avrà acquistato un sicuro equilibrio che lo metterà in grado di sostenere i ruoli dell’Es, dell’Io e del Super-io del paziente e degli oggetti interni che il paziente proietta su di lui, quando drammatizza i suoi conflitti nella situazione analitica. Nell’esempio citato l’analista rappresentava soprattutto la madre buona che doveva essere distrutta e salvata, ma anche la parte più realistica dell’Io del paziente che cercava di opporsi ai suoi impulsi sado-masochistici. A mio avviso la richiesta di Freud che l’analista debba «riconoscere e padroneggiare» il suo controtransfert non porta alla conclusione che il controtransfert sia un fattore disturbante e che l’analista dovrebbe perciò diventare insensibile e distaccato, ma invece che deve usare le sue risposte emotive per comprendere l’inconscio del paziente. In tal modo l’analista non entrerà come co- attore sulla scena che il paziente reciterà di nuovo nella relazione analitica, e non la utilizzerà per i propri bisogni. Nello stesso tempo troverà un importante stimolo per continuare l’analisi dei suoi problemi personali, ma questa è una faccenda privata. Non penso perciò che sia giusto che l’analista comunichi i suoi sentimenti al paziente. A mio parere una tale onestà è vicina ad una confessione e potrebbe costituire un peso per il paziente. In ogni caso un simile procedimento può costituire una difficoltà per il lavoro analitico. L’emozione destata nell’analista sarà utile al paziente se viene usata come un ulteriore fonte di comprensione delle difese e dei conflitti inconsci del paziente, e quando questi saranno interpretati ed elaborati seguiranno cambiamenti dell’Io del paziente e un rafforzamento del suo senso di realtà, così che egli vedrà l’analista come un essere umano, non come un dio o un demonio, e si stabilirà una relazione umana nella situazione analitica, senza che l’analista debba ricorrere a mezzi extra-analitici. La tecnica psicoanalitica iniziò quando Freud, abbandonando l’ipnosi, scoprì la resistenza e la rimozione. A mio parere, l’uso del controtransfert come strumento di ricerca può essere riconosciuto nelle sue descrizioni del modo con cui egli giunse a queste fondamentali scoperte. Quando cercò di chiarire i ricordi dimenticati della sua paziente isterica, sentì in lei una forza che si opponeva ai suoi tentativi e che egli a sua volta doveva superare con un lavoro psichico. Freud concluse che era l’identica forza ad essere responsabile della rimozione dei ricordi traumatici così come della formazione dei sintomi isterici. Il processo inconscio dell’amnesia isterica può essere così definito per mezzo delle sue sfaccettature, di cui una è volta verso l’esterno e percepita dall’analista come resistenza, mentre l’altra funziona intrapsichicamente come rimozione. Nel caso della rimozione, il controtransfert è caratterizzato dalla sensazione di dover fronteggiare una forza che si oppone; altri meccanismi di difesa risveglieranno nell’analista altre sensazioni. Credo che, in questa prospettiva, ricerche più estese sul controtransfert ci possono permettere di chiarire le corrispondenze tra la natura del controtransfert e quella degli impulsi inconsci del paziente e delle sue difese attive in quel momento.
(1) On Counter-Transference, pubblicato in International Journal of Psychoanalysis, 31, Lavoro letto al 16 Congresso di psicoanalisi, Zurigo Dopo aver presentato questo lavoro al congresso, la mia attenzione fu attirata dall’articolo di Leo Berman Controtransfert e atteggiamento dell’analista nel processo terapeutico, pubblicato in Psychiatry, Vol. XII, n.2, Maggio Il fatto che il problema del controtransfert sia stato affrontato quasi contemporaneamente da due diversi studiosi indica che è il momento per una più approfondita ricerca sulla natura e la funzione del controtransfert. Sono d’accordo con Berman che non considera valido un atteggiamento troppo distaccato da parte dell’analista, ma differisco da lui nelle mie conclusioni circa l’uso dei sentimenti dell’analista verso il paziente.
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