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Ho preso in mano il libro di André Glucksmann “Sessantotto – dialogo tra un padre e un figlio su una stagione mai finita” senza troppa convinzione. In verità non mi appassionano le apologie del ’68 e trovo un po’ fuori misura la glorificazione di quel periodo, malgrado non l’abbia vissuto di prima mano. Forse ciò che mi ha attirato è stata la posizione, ambigua a dire la verità, di Glucksmann nei confronti di Sarkozy: come è possibile l’esistenza di un ponte ideale tra il nouveau philosophe e lo sceriffo francese? Insomma alla fine lo leggo e, con mio stesso stupore, mi ha coinvolto e mi è piaciuto. Soprattutto perché rimette a posto diverse cose che erano sfuggite ai più, toglie la maschera a certe ipocrisie e scopre certi travestimenti. Ma soprattutto perché aiuta a capire, intento certamente lontano dalle intenzioni dell’autore, quale opera di “pulizia” è necessaria alla sinistra nostrana: dall’acquisizione del principio di realtà, alle idee sulla “rivoluzione” sociale, all’antidogmatismo vero e non di maniera passando senza saccenteria attraverso Montaigne, Socrate, Hegel, Lenin, DeGaulle, Marx, Malraux, Derrida. Colpendo le vanità della sinistra europea, o certe attuali predisposizioni al nichilismo fino al cortocircuito inimmaginabile, ma certamente convincente, del peso che un autore come Solzenicyn ha avuto sul maggio francese. Tra le tante provocazioni, ne ho ritrovato, ad esempio, una che mi piacque già in tempi non sospetti e che può essere applicata allo stato di chi, come noi, tenta di riflettere sulle secche che questa stagione politica ci sta regalando, almeno a sinistra. Si tratta di un passaggio del Menone di Platone, in cui Socrate, per dimostrare che è possibile l’apprendistato della conoscenza, invita un giovane schiavo digiuno di geometria, a raddoppiare la superficie di un quadrato disegnato sulla sabbia. Il ragazzo, credendo di sapere come si fa, raddoppia i lati del quadrato. Socrate, però, gli fa osservare che il quadrato è quattro volte più grande e non due. Il ragazzo, a questo punto, comincia a pensare ed a lambiccarsi il cervello in modo problematico. “Ha sostanzialmente – dice Glucksmann – subito la prova del reale: in attesa di conoscere il vero, ha fatto esperienza del proprio errore. Ha un’idea vera del falso, prima di avere un’idea vera del vero. Ed è questo passaggio attraverso l’errore quello che l’esperienza “pedagogica” minimizza: pretende che la verità, piena e completa, sia già presente nel maestro o nell’allievo; l’uno o l’altro deve essere posseduto dall’infallibilità; non c’è altra possibilità. Nessuna prova dei fatti o dell’errore, che costituirebbero un tribunale comune cui si inchina la fallibilità dell’uno quanto dell’altro”.
Credo che questo possa servirci.