Che la salute costi, e molto, è un’ovvietà. In tempi di crisi è quindi logico che le “razionalizzazioni” della spesa pubblica coinvolgano anche gli ospedali, richiedendo un dimagramento delle risorse assegnate al suo funzionamento. Ma quanto è necessario tagliare? Lasciamo da parte qui considerazioni politico-sociali e consideriamo invece qualche vincolo di semplice fattura economica. Un confronto immediato viene posto con altri tipi di organizzazione sanitaria che sembrano essere maggiormente efficienti e meno costose, come ad esempio quelle di sanità privata. Con diverse sorprese. L’occasione ci è offerta dalla recente pubblicazione del Rapporto 2011 dell’AIOP, sigla che raccoglie appunto la sanità privata e curata da Nadio Delai per i tipi di Franco Angeli e da un lucido intervento di Cesare Fassari che confuta questi dati. Affiancando i dati del sistema pubblico e di quello privato, il primo sprecherebbe circa il 25% delle risorse assegnate per un totale di circa 51,305 miliardi di €: in sostanza su 100 € spesi circa 25 si perderebbero in inefficienze. La voce in cui tutto sembra concentrarsi è quella del personale che assorbe in sanità circa l’80% della spesa: un taglio quindi di un operatore sanitario su quattro riporterebbe in equilibrio il confronto. Ma le cose stanno davvero così? Direi di no. Nel pubblico ci sono 6 medici e 14,6 infermieri ogni 10 posti letto, mentre nel privato abbiamo 3,17 medici e 5,5 infermieri ogni 10 posti letto. Con un po’ di matematica spicciola il pubblico ha il doppio dei medici e tre volte il numero degli infermieri dedicati per posto letto e quindi la famosa differenza del 25% va a rotoli con un risultato semplice: considerando la quantità di personale impiegato (l’80% della spesa sanitaria) gli ospedali pubblici sono più efficienti in termini di costo rispetto alla sanità privata. E lasciatemi calare ancora qualche asso in più. Il sistema pubblico è operativo al 100% 24 ore al giorno per tutti i giorni dell’anno e deve rispondere a tutti i tipi di richiesta. Al suo interno vengono formati i nuovi operatori sanitari e si fa ricerca clinica e non solo. La struttura privata risponde sostanzialmente ad una richiesta specialistica limitata e non universale, oltre al fatto che i medici dipendenti rappresentano circa il 38% di chi vi opera, mentre il restante personale ha un rapporto libero-professionale. Senza contare un dato curioso sottolineato da Fassari: “il privato accreditato è pagato dal pubblico a prestazione erogata attraverso i Drg, mentre il pubblico usa invece i Drg solo come riferimento di massima per misurarne il rispetto dei percorsi terapeutico assistenziali. Il Drg in media risponde a circa l’80% del costo della prestazione. Una stima condivisa da tempo dal pubblico e dal privato. Guarda caso manca all’appello proprio quel 20/25% di gap segnalato dall’Aiop come inefficienza sommersa che, molto probabilmente, potrebbe corrispondere proprio a quella quota naturale di surplus forfettario che viene riconosciuta al pubblico per fare tutto quello che deve fare”. I conti quindi di chi sostiene un semplice taglio del personale sanitario per agire contro l’inefficienza deve essere diversamente provato e non si basa su considerazioni economiche corrette.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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