Notizia di questi giorni è la proposta di “smobilizzare” le aziende pubbliche per coprire i “buchi” dei Comuni sempre più stritolati dalla mancanza di trasferimenti a livello statale di fondi, necessari per coprire settori di pubblica utilità.
Non riuscendo a garantire i servizi essenziali, la proposta, che trova in prima linea il Sindaco di Torino Sergio Chiamparino, è l’entrata in scena in maniera massiccia dei capitali privati.
Il grido di dolore è continuato anche oggi al Convegno di Confservizi svoltosi oggi a Torino sul tema “Etica ed efficienza nella riforma dei pubblici servizi“.

Il problema è serio ma almeno un’osservazione, non ideologica, penso sia utile per l’inquadramento della discussione.

Innanzitutto il fatto che, spesso, si parla di aziende che operano nel settore dei “beni comuni”.
Il caso più eclatante è quello dell’acqua, bene comune e sottoposto alla cosiddetta “tragedy of commons” (la tragedia dei beni comuni) ben nota a chi si occupa di economia.
Ed una conseguenza di questa è il semplice assunto che, per i beni ambientali come in quelli di carattere “comune”, il mercato “fallisce”.
Succede, per dirla in maniera semplice, che lo stesso mercato non è in grado di funzionare e di determinare prezzi utili per ripartire le risorse in modo efficiente fra usi alternativi.
Anche se il mercato fosse in grado di ripartire le risorse idriche fra i vari usi, di fatto esistono molte imperfezioni che non permettono di farlo in modo efficiente.
E in una logica di mercato la gestione delle risorse idriche si confonde con quello della gestione dei servizi idrici.
Nessuno nega che sia necessario un aumento di efficienza tecnologica, che è l’unica che deve rappresentare un costo, ma non confondiamo il costo del progresso di questa con l’attribuire un prezzo alla risorsa in se stessa che è di tutti ed a tutti deve essere resa disponibile senza la cosiddetta prova del mercato (o meglio delle tasche di tutti noi).

Il problema è che per reperire risorse si va a bussare alla porta di chi le possiede, cioè di chi ha ben operato, è stato efficiente, ha regolato bene costi-benefici in un superiore interesse pubblico.
Che, caso strano, non appartiene al “rodeo” del mercato, ma sono aziende, appunto, pubbliche.
Poco importa se l’analisi storica ci dice che quando queste aziende sono state messe sul mercato, hanno generato rovinose inefficienze (vi ricordate le ferrovie inglesi?) che poi il sistema pubblico è chiamato a ripianare (vi ricordate delle banche?).

La consegna finale è sventrare queste eccellenze per “liberare risorse”.

Dimenticando anche una piccola cosa.
L’acqua è un problema di utilità comune, di interesse pubblico come la cultura, la salute e via discorrendo.
Si vuole in definitiva rompere un sistema che sta creando  “utili” ai cittadini, sotto forma di ottima qualità del servizio e tariffe le più basse d’Europa, per risanare altri settori.
E’ chiaramente un paradosso da evitare: piuttosto si studi come i settori sofferenti possano essere considerati beni comuni ed avvalersi degli stessi strumenti economico-amministrativi che hanno portato settori, come le risorse idriche, ad essere un esempio virtuoso.