Segnalo un dato interessante emerso dalle ricerche demoscopiche riguardo le priorità che influirebbero sulle motivazioni di voto degli italiani.
Messe crudamente in fila prevedono:
Aumento dei salari e delle pensioni 52,3 %
Lotta alla criminalità 33.8 %
Controllo dei prezzi 29,1 %
Riduzione delle tasse 28,0 %
Frenare l’immigrazione 17,3 %
Miglioramento servizi 14,5 %
Protezione ambiente 7,3 %
Legge elettorale 6,1 %
Difesa valori religiosi 2,9 %
Contro l’aborto 2,6 %
Lotta alla criminalità 33.8 %
Controllo dei prezzi 29,1 %
Riduzione delle tasse 28,0 %
Frenare l’immigrazione 17,3 %
Miglioramento servizi 14,5 %
Protezione ambiente 7,3 %
Legge elettorale 6,1 %
Difesa valori religiosi 2,9 %
Contro l’aborto 2,6 %
Una piccola campagna elettorale al rovescio, in cui il “partito” della protezione ambientale non raggiungerebbe il quorum per entrare al Senato!
Il risultato può sconfortare, ma segnala ancora una volta una realtà di fondo: la questione ambientale, dopo i fiumi di inchiostro sul riscaldamento climatico, il Nobel di Al Gore, le problematiche della qualità dell’aria, non viene ritenuta una questione fondamentale che può determinare cambiamenti di direzione politica, di programmi di governo.
Continuando comunque a pensare che il senso comune vede spesso più lontano delle nostre congetture politiche, il problema è da raccogliere e comprendere almeno per chi, come noi, crede che molti aspetti del nostro futuro politico e non solo dipenda da come sapremo impostare e risolvere le urgenze che le matrici ambientali reclamano.
La sensazione è che il problema principale risieda nel considerare l’ambiente come un qualcosa a sè stante, una problematica che vive di vita sua propria. Anzi quasi un impedimento che limita la risoluzione di altri problemi.
Ed in tutto questo continuo a vedere alcuni errori di fondo di chi, come noi, è impegnato nella battaglia ambientale.
Mi chiedo infatti se impostando più correttamente il problema, esistano possibilità per ribaltare questo stato di cose.
Se infatti cominciassimo a far comprendere come l’inquinamento rappresenti una delle maggiori distorsioni, sicuramente più consistente ad esempio degli agitati “sprechi”, del sistema economico che assorbe risorse preziose per la stabilizzazione delle posizioni e la crescita del reddito dei lavoratori, siamo sicuri che le organizzazioni degli stessi lavoratori non considereranno diversamente il problema?
Se l’azione volta al miglioramento della produzione dal punto di vista della qualità ambientale, porta maggior vantaggio competitivo alle nostre imprese sul mercato globale e fa crescere l’occupazione specializzata e stabile per diverse centinaia di migliaia di persone pensiamo che l’opzione ambientale non possa essere scelta da chi chiede più lavoro e con maggior qualità?
Se un corretto uso della tassazione ambientale elimina le distorsioni fiscali che pesano direttamente sulle nostre tasche riuscendo anche, come dimostrato in altri contesti, a ridurre la pressione fiscale diretta sulla cittadinanza, cosa penserebbe chi invoca una indistinta riduzione delle tasse?
Ed il controllo dei prezzi non vede come momento fondamentale una corretta allocazione delle risorse ed una sana e chiara considerazione di come vengono distribuite in maniera diseguale le cosiddette esternalità, le conseguenze negative ambientali della produzione dei prodotti?
Se il mercato libero ed incontrollato “fallisce” nei confronti delle risorse ambientali non riuscendo più a determinare in modo efficiente i prezzi per ripartire al meglio le risorse disponibili per usi alternativi, non converrà riuscire a ristabilire prezzi equi attraverso maggiore considerazione degli strumenti dell’economia ambientale?
Come potrebbe indefinitamente aumentare come oggi il prezzo dell’energia, delle nostre bollette, attraverso la produzione locale e diffusa della stessa mediante fonti alternative: un “barile” di sole non oscilla come uno di petrolio!
La stessa ricerca scientifica e miglioramento tecnologico sapranno farci uscire dal declino nostrano che cominciamo tutti a vedere se si rivolgeranno alla spremitura di produzioni già decotte ed inquinanti o se ricercheranno nuovi prodotti e modalità di produzione sostenibili, magari anche approfondendo le strategie che la stessa natura sta adoperando?
E questa crescita culturale e scientifica non potrà da un lato farci cambiare idea sulle attuali modalità dei flussi di migrazione delle persone facendo diventare il nostro Paese un attratore anche di nuove intelligenze e dando possibilità di nuovo sviluppo sociale e di formazione anche ai disperati che bussano sempre più insistentemente alla nostra porta come peraltro noi stessi in altre epoche abbiamo bussato ad altre porte?
Se la nostra proposta riuscirà finalmente a superare la separazione tra sistema ambientale e sistema economico, se riusciremo a capire che la capacità del capitale prodotto dall’uomo non può sostituire le funzioni del capitale naturale e che quindi il lavoro, le tasse, i prezzi, la ricerca, la tecnologia, i flussi migratori, il miglioramento dei servizi possono trovare soluzioni adeguate se integrate con le politiche rivolte all’ambiente potremo anche raccogliere e tentare di dare soluzioni adeguate alle domande espresse all’inizio. Questo è, a mio modesto avviso, il compito di una nuova politica ambientale per nuovi ambientalisti.
Che non potrà risolversi in questi pochi giorni che ci separano dalla decisione che prenderemo su chi dovrà governare questi problemi, ma che è necessario porre proprio oggi.
Il risultato può sconfortare, ma segnala ancora una volta una realtà di fondo: la questione ambientale, dopo i fiumi di inchiostro sul riscaldamento climatico, il Nobel di Al Gore, le problematiche della qualità dell’aria, non viene ritenuta una questione fondamentale che può determinare cambiamenti di direzione politica, di programmi di governo.
Continuando comunque a pensare che il senso comune vede spesso più lontano delle nostre congetture politiche, il problema è da raccogliere e comprendere almeno per chi, come noi, crede che molti aspetti del nostro futuro politico e non solo dipenda da come sapremo impostare e risolvere le urgenze che le matrici ambientali reclamano.
La sensazione è che il problema principale risieda nel considerare l’ambiente come un qualcosa a sè stante, una problematica che vive di vita sua propria. Anzi quasi un impedimento che limita la risoluzione di altri problemi.
Ed in tutto questo continuo a vedere alcuni errori di fondo di chi, come noi, è impegnato nella battaglia ambientale.
Mi chiedo infatti se impostando più correttamente il problema, esistano possibilità per ribaltare questo stato di cose.
Se infatti cominciassimo a far comprendere come l’inquinamento rappresenti una delle maggiori distorsioni, sicuramente più consistente ad esempio degli agitati “sprechi”, del sistema economico che assorbe risorse preziose per la stabilizzazione delle posizioni e la crescita del reddito dei lavoratori, siamo sicuri che le organizzazioni degli stessi lavoratori non considereranno diversamente il problema?
Se l’azione volta al miglioramento della produzione dal punto di vista della qualità ambientale, porta maggior vantaggio competitivo alle nostre imprese sul mercato globale e fa crescere l’occupazione specializzata e stabile per diverse centinaia di migliaia di persone pensiamo che l’opzione ambientale non possa essere scelta da chi chiede più lavoro e con maggior qualità?
Se un corretto uso della tassazione ambientale elimina le distorsioni fiscali che pesano direttamente sulle nostre tasche riuscendo anche, come dimostrato in altri contesti, a ridurre la pressione fiscale diretta sulla cittadinanza, cosa penserebbe chi invoca una indistinta riduzione delle tasse?
Ed il controllo dei prezzi non vede come momento fondamentale una corretta allocazione delle risorse ed una sana e chiara considerazione di come vengono distribuite in maniera diseguale le cosiddette esternalità, le conseguenze negative ambientali della produzione dei prodotti?
Se il mercato libero ed incontrollato “fallisce” nei confronti delle risorse ambientali non riuscendo più a determinare in modo efficiente i prezzi per ripartire al meglio le risorse disponibili per usi alternativi, non converrà riuscire a ristabilire prezzi equi attraverso maggiore considerazione degli strumenti dell’economia ambientale?
Come potrebbe indefinitamente aumentare come oggi il prezzo dell’energia, delle nostre bollette, attraverso la produzione locale e diffusa della stessa mediante fonti alternative: un “barile” di sole non oscilla come uno di petrolio!
La stessa ricerca scientifica e miglioramento tecnologico sapranno farci uscire dal declino nostrano che cominciamo tutti a vedere se si rivolgeranno alla spremitura di produzioni già decotte ed inquinanti o se ricercheranno nuovi prodotti e modalità di produzione sostenibili, magari anche approfondendo le strategie che la stessa natura sta adoperando?
E questa crescita culturale e scientifica non potrà da un lato farci cambiare idea sulle attuali modalità dei flussi di migrazione delle persone facendo diventare il nostro Paese un attratore anche di nuove intelligenze e dando possibilità di nuovo sviluppo sociale e di formazione anche ai disperati che bussano sempre più insistentemente alla nostra porta come peraltro noi stessi in altre epoche abbiamo bussato ad altre porte?
Se la nostra proposta riuscirà finalmente a superare la separazione tra sistema ambientale e sistema economico, se riusciremo a capire che la capacità del capitale prodotto dall’uomo non può sostituire le funzioni del capitale naturale e che quindi il lavoro, le tasse, i prezzi, la ricerca, la tecnologia, i flussi migratori, il miglioramento dei servizi possono trovare soluzioni adeguate se integrate con le politiche rivolte all’ambiente potremo anche raccogliere e tentare di dare soluzioni adeguate alle domande espresse all’inizio. Questo è, a mio modesto avviso, il compito di una nuova politica ambientale per nuovi ambientalisti.
Che non potrà risolversi in questi pochi giorni che ci separano dalla decisione che prenderemo su chi dovrà governare questi problemi, ma che è necessario porre proprio oggi.
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