Ecco il testo della manovra approvato dal Consiglio dei Ministri ( via Stefano Esposito)
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
Gianluca Susta ha ricevuto una risposta molto importante alla sua interrogazione urgente rivolta al Parlamento Europeo sul deposito di stoccaggio di materiale radioattivo a Saluggia. In sostanza secondo la Commissione Europea ha affermato che le autorità italiane devono presentare alla Commissione il progetto relativo all’attivazione del deposito per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi denominato “D2″, affinchè stabilisca se le operazioni svolte siano suscettibili di provocare contaminazioni radioattive delle acque, del suolo o dello spazio aereo di un altro Stato membro, ed esprima quindi il proprio parere (art. 37 del trattato Euratom). Infine la stessa Commisione deve esprimersi verso gli Stati Membri con un proprio parere sugli investimenti in relazione a progetti riguardanti il nucleare, iquali devono essere comunicati almeno tre mesi prima della stipula dei contratti con i fornitori o tre mesi prima comunque dell’inizio dei lavori. Il problema nel caso i Saluggia sta nel non piccolo particolare che la Commissone almomento non ha ricevuto alcuna comunicazone del progetto del deposito nucleare D2 della Sogin a Saluggia, e questo non è accettabile per la prosecuzione dei lavori. Soprattutto a Saluggia, area certamente già sottoposta ad inquinamento nucleare.
I cambiamenti climatici possono portare ad un aumento consistente dei problemi connessi all’asma soprattutto per le fasce d’età pediatriche. Questa è la conclusione di uno studio che verrà pubblicato prossimamente sull’ American Journal of Preventive Medicine redatto dai ricercatori della Mount Sinai School of Medicine di New York sotto la guida di Perry Sheffield. Lo studio ha considerato i livelli di ozono presenti nell’area di New York negli anni novanta comparandoli con quelli attesi nel 2020 senza interventi antinquinamento per la riduzione dei cambiamenti climatici. Il risultato prevede un aumento dei ricorsi ai servizi di emergenza da parte dei ragazzi al di sotto dei 17 anni del 7.3 %, sicuramente un imptto non trascurabile.
Ho appena finito di leggere un bellissimo libro, sicuramente il migliore di quest’anno: “Open” di Andre Agassi pubblicato da Einaudi Stile Libero Extra. Un libro che non ha niente a che fare con le solite autobiografie di campioni sportivi, anche se si respira tennis dall’inizio alla fine. Anche se effettivamente è un’autobiografia, si legge davvero come un romanzo con molte pagine che potrebbero non sfigurare in un saggio. Sicuramente non è estraneo l’incontro con il Premio Pulitzer J.R. Moehringer, ma c’è tutto l’uomo che molti di noi, anche non particolarmente appassionati dello sport della racchetta, non conoscevano ed hanno seguito forse distrattamente negli anni della propria gioventù e maturità. Ma il libro è veramente bello e ti lascia un piacevole retrogusto e il dispiacere di finirlo. Una grande lezione di vita da cui sicuramente attingere.
Firma l’appello dei Medici, Veterinari e Dirigenti del SSN
I provvedimenti martellanti che stanno colpendo i medici dirigenti e convenzionati, i veterinari e i dirigenti del Servizio Sanitario Nazionale stanno oltrepassando ogni limite.
Non è più tollerabile che chi quotidianamente garantisce milioni di prestazioni sanitarie negli ospedali e nei servizi territoriali venga sempre più penalizzato professionalmente ed economicamente e costretto a lavorare in una sanità pubblica sempre più impoverita da devastanti sottofinanziamenti, sprechi e malaffare.
Già prima dell’attuale manovra i medici e i dirigenti del SSN hanno subito per quattro anni il congelamento del contratto, delle convenzioni e delle retribuzioni con una consistente perdita economica, il mancato riconoscimento delle spese di produzione dei medici convenzionati, aumentati carichi burocratici nonché il blocco del turn over della dipendenza e diverse altre penalizzazioni.
Si sarebbe voluto perfino rimettere in discussione il riscatto degli anni di laurea e di specializzazione, con l’aggravante di genere del servizio militare. Per i medici si sarebbe trattato di dover rinunciare dai sei ai dodici anni ai fini del raggiungimento della pensione!
Ma con la manovra in discussione in Parlamento:
- si vorrebbe anche congelare il TFR dai 6 mesi ai 2 anni;
- sopprimere o accorpare con la domenica le feste del 25 aprile, 1 maggio e del 2 giugno;
- si minaccia di non pagare la tredicesima;
- si aprono prospettive di mobilità selvaggia e ulteriori vessazioni.
Infine gravissima sarebbe la scelta di cancellare il contributo di solidarietà lasciandolo però per chi lavora nei servizi pubblici. Si tratterebbe di una iniqua discriminazione ed un accanimento inqualificabili, in particolare per i medici e i dirigenti del SSN considerati ancora una volta un bancomat da utilizzare per non colpire chi ha di più nel privato, i grandi patrimoni e gli evasori.
Rivolgiamo un appello al Presidente della Repubblica, al Governo e al Parlamento, ai quali consegneremo le firme raccolte, affinché la manovra venga modificata con le correzioni da noi richieste e affinché venga fermata la campagna persecutoria e punitiva nei confronti dei medici e dei dirigenti del Ssn.
Se osserviamo meglio cosa sta accadendo nel nostro Paese, salta immediatamente all’occhio un vizio di fondo che ci accompagna da diversi anni: siamo il Paese dei “contentini”. Non solo la pratica politica, ma lo stesso tessuto della nostra vita sociale è ricavato dalla possibilità che la “corporazione” a cui apparteniamo, qualunque essa sia – imprenditoriale, professionale, di pubblica amministrazione, di lavoro dipendente – possa ottenere qualche vantaggio in più rispetto a quella vicina. Non esistono politiche pubbliche dotate di una visione generale, ma tutto un sistema di privilegi particolari, limitazioni, esenzioni o possibilità di elusioni che ogni fascia sociale cerca di ottenere per sè e di non estendere ad altri: la lotta, insomma, per avere una parte del dolce possibilmente più grande di quella del vicino. (altro…)
Forse non a tutti è chiaro perchè categorie come quelle dei medici sono in rivolta per la questione dei riscatti degli anni di studio. Nella nostra professione si entra normalmente al lavoro dopo 6 anni di laurea e 5 o 4 di specializzazione, anche se in realtà si entra molto dopo per i vari blocchi di concorsi e via discorrendo. Per riequilibrare le differenze verso altre professioni, spesso anche più remunerate, è possibile pagare somme generalmente elevate all’Inpdap per calcolare questi anni che quindi non sono regalate, ma semplicemente pagate per andare in pensione in linea con altri il cui impegno di studio prima di esercitare la professione è, quasi sempre, nemmeno la metà. Da domani questo sparirebbe con un tocco magico e d’altra parte non si comprende bene la fine dei soldi versati. La beffa finale è che i medici, soprattutto gli ospedalieri,sono dipendenti della pubblica amministrazione per cui non è stato abolito il prelievo di solidarietà che è sempre in vigore per i dipendenti pubblici – anche se molto spesso i medici non raggiungono i famosi 90 mila € di reddito. Personalmente mi chiedo come mai queste porcate si verificano sempre quando al Governo c’è Calderoli, il leghista del porcellum…
Molti Paesi europei, nonostante il terribile momento finanziario, stanno immettendo più risorse in sanità ma, ovunque, l’aumento degli investimenti risulta del tutto insufficiente a soddisfare l’aumento stabile nei bisogni e nella domanda. L’Italia ha conseguito, negli ultimi decenni, importanti risultati in campo sanitario, come confermato dal notevole aumento dell’aspettativa di vita e dalla diminuzione progressiva della mortalità. Tuttavia esistono forti motivi di insoddisfazione testimoniati da:
- crescita delle disuguaglianze nelle condizioni di salute dei cittadini, sia geografiche che economico-sociali;
- enorme disequità nei servizi sanitari erogati, nell’accesso, nei risultati e frequente percezione di scarsa qualità dei servizi sanitari da parte dei cittadini, soprattutto in alcune Regioni;
- sprechi nell’uso delle risorse e rischi per la sostenibilità del sistema;
- incapacità nel prevenire il prevenibile. (altro…)
Un medico, di norma inizia a lavorare in ospedale verso i 30 anni – molto spesso anche più avanti. Questo perchè la sua formazione normalmente dura 10-11 anni da quando esce dalla scuola media superiore, a cui si aggiunge un anno di leva (almeno noi per cui la leva era obbligatoria). Tenendo conto delle nuove norme che graziosamente il Governo sta emanando, andrà a finire che ad esempio chi lavora nella branca chirurgica dovrà stare in sala operatoria almeno fino a 70 circa, età in cui come è noto la freschezza del gesto chirurgico è sublime. Ma anche chi lavora nelle rianimazioni, nei pronto soccorso, nelle ambulanze potrà dimostrare a questo punto la propria arte e la propria capacità fisica e psicologica fino a tarda età. Grazie a Dio potremo anche contare sul fatto che l’anno di leva e il tempo della formazione non entreranno più nel conteggio pensionistico. Per rendere meno amara la consapevolezza che chi ci governa non sa nulla del nostro lavoro, dobbiamo riconoscere che altri aspetti ci vengono incontro. Innanzitutto il posticipo del Trattamento di Fine Rapporto (TFR), per proseguire con il blocco degli stipendi già in atto e quello del turn over, grazie a cui chi va in pensione non viene sostituito da nessuno. E continuando nei ringraziamenti si possono sottolineare i tagli feroci che il sistema sanitario tutto sta subendo con impoverimento di uomini e mezzi, la sempre maggiore precarizzazione dei gioveni medici – e non solo -. Insomma, le scuole di Medicina dovranno inculcare un nuovo obbiettivo, una nuova “missione” dell’arte medica che non è più il prendersi cura delle persone in stato di malattia, ma quello di esercitare la propria arte come puro esercizio di masochismo.
Quando un establishment non riesce a dare un motivo di fiducia alle nuove generazioni, scoppia tutto. E da noi la rivolta sarà dei giovani professionisti, del ceto medio impoverito, di tutti quelli che stanno fuori dalle caste. Primavera italiana? L’espressione potrebbe davvero ricordare le drammatiche esperienze che si stanno vivendo in molti Paesi dell’altra sponda dell’antico mare nostrum? Le somiglianze non sono di ordine politico o istituzionale. Per quanto l’immagine della nostra politica sia giunta a livelli di indecenza impensabili fino a qualche anno fa, non siamo nelle mani né dei Mubarak né dei Ben Ali e ancor meno degli Assad. Alla peggio siamo stati fedeli alleati dei Gheddafi. Il parallelo può risultare istruttivo sotto altri profili. Occorre però partire da un’analisi non molto diffusa degli avvenimenti che stanno sconvolgendo gli equilibri sociali e politici dei Paesi islamici. Gli stereotipi della rivolta “islamica”, così come quelli su occulti complotti ai vertici del potere, risultano del tutto inadeguati a giudicare la novità del fenomeno.