Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

I deboli e la Repubblica

(…) Tutto questo è avvenuto per la nostra secolare debolezza morale – nonostante gli splendidi esempi di grandezza che onorano il nostro passato e il nostro presente -. Per debolezza morale intendo quello che tanti scrittori politici hanno spiegato, ovvero la poca stima di se stessi, che a volte maschera di arroganza, che rende inclini ad accettare di dipendere da altri uomini. Dato che ritengo di valere poco, perchè non dovrei servire i potenti, se ne traggo buon profitto? Accanto a questa di carattere generale, o di contesto, bisogna poi tenere presente, per capire che cosa è avvenuto in Italia, quello che ho chiamato il “tradimento delle élite” politica, intellettuale e imprenditoriale di impedire la formazione del potere enorme di un uomo che ha distruttolalibertà dei cittadini. Si può discutere se era possibile impedire che le cose andassero in questo modo e quali siano stati gli errori più gravi di questo o di quel leader politico. Si può e deve discutere se sia mancata più la saggezza o più la buona volontà. Ma quel che conta sono i fatti e i fatti sono inoppugnabili: chi aveva il dovere di difendere l’integrità della Repubblica non l’ha fatto. (…)

Maurizio Viroli: “La libertà dei servi”; Laterza

San Firmino

Comunque è iniziata la Fiesta di San Firmino a Pamplona. Sia gloria sempiterna a Mr. Papa Hemingway…

La siringa sanitaria

C’è questa faccenda dei tagli alla sanità, su cui si sente di tutto e di più. In realtà nessuno ha ancora visto bene “le carte” e tutti parlano di tagli senza sapere bene in cosa consisteranno. Chi lavora in sanità sa bene che è un problema molto complesso e che l’economia sanitaria, come quella ambientale, è un argomento conosciuto pochissimo e che si avvicina alla composizione della formazione della nazionale di calcio. Ma in tutte le discussioni, televisive o meno, manca davvero la voce di chi ci lavora in sanità; oltre al fatto che medici ed infermieri sono ormai del tutto estromessi dal governo sanitario in mano ad una pletora di amministrativi non secondo nemmeno a chi vive di politica. Ma le cose più curiose si registrano su fatti come le famose siringhe che costerebbero 1 € a Sucate di sopra e 10 € a Vigata. Di recente ne ho sentita una simpatica da un economista sanitario su cui varrebbe la pena di riflettere, per incominciare. Oltre al fatto che i cosiddetti costi “standard” non funzionerebbero per diversi motivi, la cosa che mi ha colpito è il motivo per cui la siringa di Sucate costerebbe molto meno di quella di Vigata: semplicemente perchè la Regione di Sucate paga la ditta fornitrice entro 90 giorni, mentre quella di Vigata lo paga in circa 6 mesi – sempre che lo paghi. Inoltre se i due ospedali si mettessero in testa di comprare un semplice apparecchio per fare un elettrocardiogramma, i costi potrebbero differire semplicemente a seconda della garanzia che lo strumento avrà: se lo assicuro per un mese lo pagherò 1, mentre se lo garantisco per un anno con immediata sostituzione se presenta anomalie, potrei pagarlo 10. Le “cose” che si usano in sanità hanno sicuramente un costo molto alto, dato dalla loro natura e dalle applicazioni che si fanno, ma il problema immediato non è dato dalla “natura” del bene appartenente alla sanità, ma da semplici leggi di mercato che valgono per tutti i settori. Basterebbe davvero poco per iniziare, lasciando a casa demagogie e populismi idioti professati da chi non conosce la materia su cui pontifica. E comunque io avrei fatto entrare durante la partita con la Spagna Diamanti…

Anonimo PD: cose che si pensano ma che pochi dicono.

 Un agile pamphlet certamente da leggere e meditare. Non importa chi sia l’autore – anche se qualche idea sale immediatmaente alla coscienza – perchè potrebbe essere chiunque di coloro che hanno attraversato i campi della sinistra ed ora riflettono sul che fare senza più alcun paraocchi ideologico e con la libertà di potersi smarcare da etichette antiquate. L’Anonimo racconta cose che, effettivamente, molti di noi pensano ma che non hanno  ancora il coraggio di porre a base di un’aggregazione che sappia sfidare senza sciatte deferenze lo stato in cui versa il campo che, una volta, si saarebbe chiamato “progressista”.

 

Non distruggete la ricerca: un appello

Martedì 12 giugno inizierà la dismissione dei campi sperimentali dell’Università della Tuscia in cui erano coltivati alberi di olivo e di ciliegio, e alcuni filari di kiwi transgenici. Le piante verranno fatte seccare con appositi prodotti chimici, e conseguentemente distrutte. Gli esperimenti, iniziati in campo aperto nel 1998 da una ricerca pubblica avviata nel lontano 1982, potrebbero consentire di selezionare varietà resistenti a diversi agenti patogeni, come funghi e batteri. La riduzione dell’uso dei pesticidi in agricoltura, che tutti auspichiamo, passa anche attraverso lo sviluppo della ricerca scientifica in questo settore. Purtroppo gli esperimenti non hanno ancora dato risultati apprezzabili, dato che le piante arboree hanno bisogno di molto tempo per crescere. Anche per questa ragione pensiamo che la distruzione delle piante vada assolutamente evitata: non è possibile interrompere un esperimento del genere e riprenderlo, magari tra qualche anno, dal punto in cui lo si è lasciato. Fermarsi ora significa, letteralmente, buttare al vento decenni di ricerca pubblica finanziata con i soldi dei contribuenti italiani. Una prospettiva a nostro avviso sconvolgente.

Ricordiamo che gli allarmi, apparsi sulla stampa, di possibili rischi di contaminazione per le colture circostanti, sono completamente infondati. La ricerca si svolge seguendo un rigido protocollo, a suo tempo approvato dalle autorità competenti, che prevede misure di sicurezza molto rigide per quanto riguarda la possibile diffusione del polline: ad esempio, ogni anno vengono rimossi manualmente i fiori da ogni pianta di kiwi, e sterilizzati in autoclave. I ricercatori dell’Università della Tuscia, che hanno condotto le sperimentazioni, sono disponibili a fornire ulteriori informazioni e dettagli a chiunque voglia saperne di più, su qualsiasi aspetto della ricerca, coerentemente con quanto avvenuto per la sperimentazione sul grano in corso a Rothamsted in Inghilterra. La scienza dimostra di non aver paura di confrontarsi e dialogare con la società civile. Anche con coloro che vorrebbero distruggerla.

Come ricercatori e studenti di biotecnologie, siamo convinti che la ricerca, non solo quella sugli OGM, non possa che fondarsi su di una attenta valutazione del rischio che nasca da una seria sperimentazione. Per queste ragioni, facciamo appello alle autorità competenti, a cominciare dal Ministro dell’Ambiente Corrado Clini e delle Politiche Agricole Mario Catania, perché non si disperda irreparabilmente quanto raccolto finora da questa esperienza, anche in termini di capitale umano e competenze, e affinché recedano da questa decisione. Per favore, non distruggete il nostro lavoro. Non distruggete la ricerca. Non distruggete il futuro del Paese.

ANBI – Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani

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Obama: ricordare, ricostruire, tornare più forti

Il Presidente Barack Obama ha autografato una trave del nuovo One World Trade Center di New York .

June 14, 2012. AFP PHOTO/Jewel Samad   (Photo credit should read JEWEL SAMAD/AFP/GettyImages)

Agcom: politica – tecnici – politici

Stefano Quintarelli, manager informatico molto conosciuto in rete, ha colto a mio avviso il senso della sua candidatura per l’AgCom, l’autorità per le telecomunicazioni, sostenuta dagliamici del web attraverso una mobilitazione via twitter ecc. Dice in sostanza: in tempi di Governo dei tecnici è stata avanzata la mia candidatura come tecnico esperto del settore, tecnico per tecnici quindi. Come è andata a finire lo sappiamo: il governo dei tecnici è riuscito a nominare quanta più “politica” non era possibile fare. Mi ricorda quelle cose tipo il Marx di merce-denaro merce: politica-tecnica-politica.

Grillo è un termometro?

Ricolfi ha ragione. Grillo è come lo spread: è un misuratore. In sostanza è un termometro dell’indignazione – ed altro ancora – che le persone rivolgono allo Stato. Non entro in giudizi di merito, perchè è un dato di fatto, ma il problema è che dopo aver misurato la febbre bisognerà decidersi a curarla. Un po’ come quei medici che di fronte al paziente con una gamba mozzata, un occhio fuori dalla testa e i denti rotti, gli fanno la ramanzina che no, non dovevano fare come hanno fatto, che dovevano stare attenti, che certe cose non si fanno. Magari il compito di quel medico dovrebbe essere semplicemente quello di curare il paziente, di tiralo fuori dal guaio per quello che è possibile, di fargli portare a casa la pelle. E su questo ho qualche dubbio che basti liquidare l’Italia in toto per stare meglio. O meglio che le ricette di Beppe Grillo non credo che funzionino. Poi magari ha ragione lui. Ma non credo

L’Italia non si laurea

In tempi di dibattito sul come uscire dalla crisi e sul partito del lavoro ai giovani – chez Mentana – stride il dato italiano sulla percentuale dei laureati nella fascia tra i 30 e 34 anni. Mentre in Europa la media è del 34,6 %, in Italia solamente il 20.3 % degli under 34 possiede un titolo di Laurea. Il dato appare ancora più sconfortante se paragonato a Germania (30.7%), Spagna (40.6%), Francia (43.4%) e Gran Bretagna (45.8%). Conseguentemente lo stesso obbiettivo europeo per il 2020, che è del 40%, appare fuori da ogni sogno per il nostro Paese che punta al massimo al 27%. Questo dato rappresenta una preoccupazione importante per la Commissione Europea che considera questa come una debolezza “strutturale” del nostro Paese, accompagnata dal problema connesso degli abbandoni scolastici. Se dunque può avere un senso riconoscere il merito a chi lo possiede, il problema più ampio, da aggredire immediatamente e con forza, rimane quello di preparare il futuro di chi sarà domani il cittadino italiano fornendo una preparazione diffusa migliore e di qualità “almeno” europea. Non basta quindi crogiolarsi nel falso dato che gli italiani di oggi non sono mai stati tanto istruiti rispetto al passato, perchè gli assi cartesiani devono parametrarsi con ciò che accade negli Stati con cui condividiamo un’area economica, culturale e – ancora non completamente – politica tra le più sviluppate nel mondo. Questo significa essere davvero europei

Il territorio è una piattaforma?

(…) Se il territorio è rete esistono territori-rete aperti, che rischiano la concorrenza dei free rider (che ne sfruttano la capacità di generare conoscenza senza restituire altrettanto) e territori-rete densi che rischiano la chiusura. Nel quadro della globalizzazione i territori competono sulla base della loro unicità, ma la precondizione è la connessione. Si formano, con ogni probabilità, diverse missioni – implicite o esplicite – nei diversi territori. E le relazioni che intrattengono con il resto del mondo sono fondate su quelle missioni, mentre i risultati che ottengono sono fondati sulla loro capacità di collegarsi, attrarre risorse, coltivare risorse, esportare. È chiaro che i territori con una missione di hub sono decisivi per una geografia molto ampia e i rischi che corrono si trasmettono ad altri territori che dipendono da loro per la connessione al resto del mondo. (…) Continua a leggere sul sito di Luca De Biase