Sia detto con tutto il rispetto, da Romano Prodi ci si sarebbe atteso un commento sulla questione della riforma dell’art 81 della Costituzione di maggiore profondità e spessore. Sostenere che ci sono momenti in cui può essere utile esporre un bilancio in disavanzo significa – ci perdoni il presidente Prodi – scoprire l’acqua calda. Non a caso, tutti i casi di costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio non mancano di prevedere margini di flessibilità intesi proprio a tenere conto delle circostanze. Lo fa la recente modifica costituzionale tedesca. Lo fa la mia proposta di legge costituzionale. Lo farà, mi auguro, la proposta del Governo. Rimanendo alla mia proposta, il vincolo del bilancio in pareggio è definito – tanto per cominciare – in termini che la Commissione Europea definisce “strutturali”. Ciò implica – il presidente Prodi lo ricorderà certamente – consentire che entrate ed uscite possano rispondere in maniera automatica all’andamento del ciclo e che, di conseguenza, avanzi e disavanzi possano succedersi a seconda della congiuntura. Si darebbe quindi luogo al pareggio di bilancio solo al netto degli effetti del ciclo. Non solo, si tiene conto anche degli errori di previsione che solitamente intervengono proprio quando il ciclo cambia dando luogo a avanzi e disavanzi di bilancio non preventivati. Infine, si ammette la possibilità che – in condizioni “eccezionali” – la regola del bilancio in pareggio possa andare incontro a delle deroghe. In quest’ultimo caso il punto – molto interessante – è quello della definizione della “eccezionalità” e delle condizioni per la deroga. Nel caso della mia proposta, dal momento che la condizione eccezionale sfugge per sua natura ad una casistica, l’eccezionalità è definita dalla presenza di una ampia (due terzi) condivisione parlamentare sulla necessità di derogare al vincolo del bilancio in pareggio e sulle modalità per ricondurre il paese al rispetto del vincolo nel tempo. Le modalità di approvazione della recentissima manovra finanziaria costituiscono una significativa conferma di questa impostazione. Ci sono altre situazioni che possono consigliare bilanci in disavanzo ed il ricorso all’indebitamento? Possiamo pensare alla necessità di massicci programmi di investimento da finanziare con il ricorso all’indebitamento? In linea teorica, certamente. In pratica, molto meno. C’è da augurarsi che quel tipo di programmi trovi in futuro una contropartita nella emissione di titoli di debito europei e non nazionali. Ma quand’anche si volesse mantenere un margine di manovra nazionale nella spesa per investimento (e si potesse validamente rispondere ai molti dubbi presenti sull’argomento), si dovrebbe allora sostenere con forza l’introduzione dell’equilibrio di bilancio in Costituzione riferito alle sole partite correnti (e con esclusione quindi delle entrate e delle uscite in conto capitale). La verità è, allora, probabilmente un’altra. La costituzionalizzazione del bilancio in pareggio segnalerebbe la volontà di un importante paese membro della UE di condividere con Francia e Germania la stessa impostazione di fondo delle politiche di bilancio e renderebbe quindi più semplice fare passi ulteriori verso una reale governance economica europea.. Ma c’è molto di più. Essa potrebbe cambiare in profondità (e a mio modo di vedere molto in meglio) la cultura economica di questo paese ed il modo stesso di essere della politica italiana. Riportando quest’ultima al suo ruolo più autentico: quello di scegliere prendendo su di sé la responsabilità della scelta (e non già quello di accedere ad ogni richiesta addossandone il costo a chi verrà dopo). Sia detto al di fuori di ogni polemica: è naturale che questo possa preoccupare i protagonisti, tanto a destra quanto a sinistra, di altre stagioni politiche segnate culturalmente dal ricorso al debito e, in subordine, alle imposte come surrogati a ben più impegnativi e difficili interventi sulla spesa. Ma c’è da augurarsi che quelle stagioni siano ormai alle nostre spalle – anche se, come si vede, le loro conseguenze finanziarie sono ancora davanti a noi – e che se ne possa finalmente prendere anche formalmente atto.
Nicola Rossi (comparso sul “Messaggero” dell’8 agosto)
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