Personalmente, ho la fortuna di trovarmi in un’osservatorio particolare per ciò che riguarda i problemi della salute: lavoro in un ospedale. Pienamente e nelle sue articolazioni: un reparto, un ambulatorio, una sala operatoria, un pronto soccorso. Sono quindi a contatto con le persone che si rivolgono ad una struttura per trovare una risposta ad un problema di salute. A volte non solo per questo, perché un ospedale è un luogo dove gravitano diverse esigenze e in quel perimetro si risponde a diversi problemi. La sanità è una materia, per così dire, “concorrente” perchè il suo governo risponde nei fatti a due “padroni”: lo Stato e la Regione. E con le prossime elezioni regionali in vista i discorsi sulla sanità non possono che moltiplicarsi, soprattutto nel mio osservatorio. Così si sentono le più svariate analisi e proposte: dal modello “lombardo” passando per quello americano per finire a quello finlandese, alla rimozione dei tatuaggi fino alla necessità di dare o meno assistenza agli immigrati. Il problema è che dove la sanità “si fa” veramente, i discorsi sono molto diversi rispetto a quelli raccontati dai giornali e le persone parlano “veramente” di quale sanità vorrebbero. Le persone, quando si raccontano, fanno emergere altri problemi di una certa complessità, tra i quali il più sentito, oggi, è quello di avere un’assistenza sanitaria tagliata quasi su misura. E badate che questa richiesta è tutt’altro che marginale. Tutti noi siamo immersi in un sistema complesso, con relazioni complesse. In sostanza facciamo fatica a rimettere insieme la nostra giornata per ciò che riguarda la gestione ad esempio, dei nostri orari. Orari di lavoro, di gestione dei figli, di assistenza ai nostri anziani e quant’altro. Oltre al fatto che desideriamo sempre di più, decidere noi stessi – dopo opportuna informazione – su ciò che vogliamo o meno che ci venga iniettato, operato, radiografato e via discorrendo. Così si va dal caso dell’agricoltore che chiede di essere operato, se possibile, dopo la vendemmia o il raccolto, fino alla persona che deve sottoporsi ad un intervento dal risultato incerto che vuole sistemare le sue cose prima e che quindi deve decidere, sapere fino in fondo cosa potrà capitargli e con quali tempi. E magari in tutto questo percorso passare attraverso una certa discrezione nell’esecuzione di certi esami o attraverso la decenza di dei luoghi d’attesa per gli esami clinici. Detto in termini più raffinati, l’opera di un medico e di un infermiere genera utilità non solo per le sue proprietà “intrinseche” come per altri beni – mangiare nutre, ecc. – ma anche per i modi con cui si svolge il processo di cura. Un caso personale, per capirsi, è stato quello di sottoporre un signore anziano ad una biopsia il 30 dicembre perchè negli altri periodi il suo ruolo di baby sitter dei nipotini avrebbe innescato una serie di problemi dai permessi di lavoro dei genitori con paura di giudizi non positivi dei datori di lavoro all’impossibilità di pagare un’altra persona per tenere i piccoli. Un esempio semplice questo per non parlar difficile, ma che può essere compreso da tutti. Tralasciando qui il discorso dell’assistenza soprattutto per i non autosufficienti, dove i percorsi ad ostacoli, il pellegrinaggio tra i diversi uffici con tutto il tempo perduto sono una vera e propria medicina amara per cui sembra non esistere soluzione. Non solo semplificazione, dunque, ma personalizzazione della cura perchè lo stesso progresso medico non tende più alla cura “standard”, perchè i malanni di cui siamo affetti si intrecciano a volte in un caleidoscopio così personale che non possono essere affrontato nello stesso modo del mio vicino. Chi sa di organizzazione sanitaria, inoltre, sa bene da molti anni che in sanità non esiste un modello valido contro altri e dovrebbe dirlo con maggior forza, facendo capire che l’efficacia e l’efficienza non stanno in Piemonte o in Lombardia, ma in un nuovo modo di intendere la salute e la cura. Basterebbe partire dal buon senso e dalle cose semplici, quelle che chiedono le persone sedute fuori dai nostri ambulatori per rispondere davvero in modo anche politico alle richieste di chi andrà a votare a marzo per le elezioni regionali. Lasciando che il modello “lombardo” stia in Lombardia e che in Piemonte si possa rispondere alle richieste dei malati e non solo, come succede in Lombardia, a quelle dei ragionieri.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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