Pur d’accordo sull’abbandono dei combustibili fossili a favore di fonti rinnovabili, i tempi e i modi di questa transizione provocano importanti divisioni.
La posizione oggi dominante pensa che l’era dei combustibili fossili non esaurirà la propria supremazia per i prossimi decenni e che il passaggio verso un modello di consumo energetico alternativo debba essere graduale e gestito dalle forze “spontanee” del mercato e del progresso tecnico fino a quando il costo di 1 kWh prodotto da combustibili fossili (destinato a salire) supererà quello di 1 kWh prodotto da rinnovabili (che scende grazie al progresso tecnico).
Tale transizione avverrà non prima del 2050. Riguardo la tendenza alla scarsità dei fossili, questa scuola di pensiero certamente non la nega, ma la interpreta come scarsità temporanea o locale, senza contare che ci troviamo di fronte al paradosso secondo il quale le riserve utilizzabili sarebbero progressivamente cresciute negli ultimi decenni.
Il mercato, comunque, rimedia spontaneamente alla scarsità tramite l’incremento del prezzo del combustibile stimolano la tecnologia a trovare soluzioni alternative che riducano il consumo e deviano la domanda verso nuovi fornitori o riserve che diventano economicamente convenienti. Lo stesso inquinamento ne avrebbe vantaggio osservandosi, grazie alla riduzione dell’intensità energetica e del contenuto di carbonio per unità di consumo, un processo di stabilizzazione dell’inquinamento generato dalla produzione energetica.
Per intenderci, si verificherebbe la “curva di
Kuznets” secondo cui nella fase di decollo industriale vi sarebbe un aumento dell’intensità energetica che poi diminuisce successivamente in seguito allo sviluppo dell’industria leggera e dei servizi oltre alle pressioni dell’opinione pubblica.
Il quadro sembra scricchiolare quando si esaminano i dati
IEA per ciò che riguarda la domanda globale di energia. Questa è destinata a crescere fino al 2030 ad un tasso medio del 1,7%, mentre nello stesso periodo aumenteranno i consumi energie fossili. L’intensità energetica globale è destinata a diminuire dell’1,3% per effetti tecnologici, ma ciò sarà insufficiente a ridurre le emissioni di CO2 che aumenteranno al tasso medio dell’1,8% anche per aumento dell’intensità delle emissioni inquinanti globali seppure dello 0,1% (IEA 2002). Il requisito minimo di stabilizzazione dell’inquinamento verrebbe quindi disatteso.
Altri dati confermerebbero una crescente contrazione delle quantità di combustibili attingibili. Oltre al fatto che esisterebbe una contabilità economico-geologica “creativa” che gonfierebbe le quantità stimate a disposizione per ottenere quote di produzione più elevate e spuntare condizioni migliori per gli ingenti prestiti con le banche e gli organismi internazionali.
Oltre a ciò, non meno importante è la sopravvalutazione per migliorare le performances in borsa dei titoli collegati e per aumentare la loro forza contrattuale politica e finanziaria. Ma soprattutto queste valutazioni diventano cruciali per orientare fin da oggi le scelte energetiche.
Se infatti venissero aboliti gli ingenti sussidi che gli Stati concedono alla produzione e distribuzione dell’energia da combustibili fossili, questa misura potrebbe di per sé accelerare la transizione all’uso delle rinnovabili. Un’ulteriore accelerazione si verificherebbe spostando questi sussidi al settore delle energie rinnovabili per favorire lo sfruttamento immediato delle economie di scala potenziali che affretterebbe considerevolmente il sorpasso. Esistono però interessi economici, finanziari e politici molto potenti che spingono verso il rallentamento della transizione. Tutti gli stati e le imprese che hanno interessi nel settore, tendono a sfruttare le opportunità offerte dal mercato delle energie fossili il più a lungo possibile traendo il massimo profitto dalla loro produzione e distribuzione prima che esse si esauriscano o cessi la convenienza economica del loro uso e comunque prima che termini la fragile stabilità politica dei paesi produttori.
In sostanza cercheranno di monetizzarlo il più rapidamente possibile prima dello scavalcamento di prezzo delle rinnovabili. Una alternativa possibile sarebbe quella di investire nel nuovo settore anticipando sul piano della ricerca gli altri concorrenti in modo da continuare a soddisfare la domanda di energia. Gli stessi Stati, che importano la stragrande maggioranza di energie fossili, sono riluttanti a prendere misure dirette a ridurre il consumo anche per il cospicuo gettito fiscale che ne deriva. In sostanza la cosiddetta mano invisibile del mercato sembra inesistente, in quanto l’allocazione delle risorse ed i prezzi sono manovrati da mani perfettamente visibili ed identificabili.
La stessa IEA (Agenzia internazionale per l’energia) dice cose interessanti per ciò che riguarda la domanda globale di energia che è destinata a crescere fino al 2030 ad un tasso medio del 1,7%, mentre nello stesso periodo aumenteranno i consumi energie fossili. L’intensità energetica globale è destinata a diminuire dell’1,3% per effetti tecnologici, ma ciò sarà insufficiente a ridurre le emissioni di CO2 che aumenteranno al tasso medio dell’1,8% anche per aumento dell’intensità delle emissioni inquinanti globali seppure dello 0,1% (IEA 2002).
Il requisito minimo di stabilizzazione dell’inquinamento verrebbe quindi disatteso. Le implicazioni politico-economiche di questa transizione non saranno quindi neutre ed automatiche, ma necessiteranno di tutta l’attenzione possibile dei cittadini.