Un po’ triste questo esordio mediatico della costituenda lista di “Sinistra” del torinese. Triste perché i connotati, la ragion d’essere non è quella che alcuni di noi – o forse solo io! – si erano immaginati. Perché, alla fine, ciò che appare, ciò che resta, è l’idea di una lista che ha come ragione fondativa l’adesione alla Tav, che candida come suo paladino Antonio Ferrentino – di cui peraltro rimane immutata la mia stima -, governata da dirigenti di Rifondazione e Comunisti Italiani fuoriusciti o in via di fuoriuscita dai rispettivi partiti che mantengono non meglio chiariti contatti con livelli nazionali e che si occupano degli aspetti pratici della nascita del nuovo movimento-partito. Il tutto con la benedizione di una parte del PD (Sinistra Per di Stefano Esposito), perché altri pezzi, quali quello dell’anima popolare di Giorgio Merlo affermano di guardare con un certo sospetto alcuni componenti come Ferrentino, accusati di essere ondivaghi sulla questione dell’alta velocità. (continua)

Credo siano ormai lontane certe discussioni dell’inizio, quando il ragionamento, le motivazioni della rottura con i rispettivi partiti di provenienza erano improntate a nuove forme di aggregazione, di recupero di certe libertà di analisi a sinistra, di rinnovamento delle sue strutture dirigenziali, di coinvolgimento di tutte le tradizioni storiche della sinistra (comunisti, socialisti, ambientalisti, libertari) per un nuovo inizio. Un luogo di discussione appunto, dove la discussione sembrava aver fin troppi argomenti per essere contenuta in questo spazio. Ma libera e paritaria dove sciogliere vecchie strutture per ripartire diversamente. Per forza di cose, poi, i contenuti hanno lasciato posto alle necessità organizzative, nell’attesa che altri maturassero in tempi ragionevoli decisioni importanti sulla propria collocazione (area Vendola di Rifondazione, area Belillo pdci) e raggiungessero chi aveva messo la faccia a disposizione del nuovo corso. Lasciando che nel frattempo si mantenesse viva l’unica struttura esistente, quella di Sinistra Democratica che nei fatti ha anche generosamente messo a disposizione alcuni mezzi e capacità organizzativa.

Ma il risultato, ad oggi, è quello messo nero su bianco sulle pagine di Repubblica di ieri e di cui non ho modo di dubitare, sapendo che i giornalisti possono anche forzare certe interpretazioni, ma che raccolgono le notizie che vengono loro offerte e che domani nessuno si sentirà in dovere di precisare, e men che meno di smentire.

Il risultato è che nasce una lista quasi sollecitata dal Partito Democratico e che trova una immediata ragion d’essere sul progetto dell’alta velocità, governata organizzativamente da una triade composta da dissidenti dei Comunisti Italiani, da una parte dell’area di Rifondazione per la Sinistra (che non ha ancora ufficializzato la rottura con il PRC) che si accostano all’unico soggetto al momento con un minimo di organizzazione che è Sinistra Democratica. Aree, sia detto per inciso, che al momento non sembrano certamente dell’idea di sciogliersi; una situazione per certi versi simile alla nascita della stessa Rifondazione. Lista locale che d’altra parte muove dall’Associazione per la Sinistra a livello nazionale, che però è ancora incerta tra la costituzione in partito (probabilmente la gran parte dei singoli aderenti) e i timori dei dirigenti.

E dire che almeno sui contenuti si era cercato di non farsi intrappolare su singole questioni appunto locali. Il problema non era sicuramente la Tav o stare dentro o fuori dalle alleanze di centrosinistra. Nessuno certamente ha mai posto in discussione che l’area di riferimento dovesse rimanere il centrosinistra con le conseguenti scelte come ad esempio l’appoggio ad Antonio Saitta per la prossima scadenza elettorale provinciale del giugno 2009. Così come riconoscere il Partito Democratico come l’interlocutore vero e portante dell’alleanza. Ma appunto una cosa è il rispetto e la collaborazione, altra cosa è finire in una semplificazione giornalistica a ruota delle dichiarazioni di un leader nazionale quale Piero Fassino senza coltivare la necessaria autonomia che è fondante appunto della costituzione di una formazione autonoma. Pena una semplice anticamera prima dell’assorbimento, appunto, nel PD.

Eppure qualcuno di noi aveva tentato di porre il problema in maniera un po’ diversa. Proprio sul fronte dei contenuti si era cercata una via diversa, sicuramente difficile e magari non immediatamente comprensibile, proponendo il discorso dell’adesione al Manifesto del Partito Socialista Europeo. Una via riformatrice, ma chiara e netta sui contenuti che a nostro avviso rappresenta una chiave d’interpretazione politica non solo a livello transanazionale, ma anche locale. Che mantiene unita la politica delle grandi opere con il contratto nazionale di lavoro collettivo, con il decentramento ed un diverso ruolo delle autonomie locali nella formazione delle politiche europee, dell’istituzione del salario minimo con la politica ambientale, di cui tra l’altro, come ben sa chi ha esperienza amministrativa, si gioca la formazione e l’applicazione proprio in europa. Una “mossa del cavallo” per dirla alla Foà, che usciva dalle secche di una sinistra impantanata ed irrigidita da un vero deficit di innovazione politica e che recuperava una forte autonomia proprio nei riguardi del Partito Democratico le cui resistenze interne non ne permettono l’adesione alla famiglia dei socialisti europei. Entrare cioè convintamente nella cornice dei riformatori europei proprio quando la perdita dell’identità di sinistra del PD ne fa il partito del “vorrei ma non posso”, facendo in modo di entrare nella corrente delle più avanzate esperienze di laicità e di politica sociale europee, quali ad esempio quelle della spagna di Zapatero.

Ci abbiamo provato, tentando di rimettere in primo piano la discussione delle idee davanti a quelle organizzative, costruendo una nuova autonomia a sinistra senza farsi assorbire da esperienze a cui bisogna guardare con grande rispetto (e non solo per il seguito che riescono ad attrarre) ma di cui oggi sentiamo forti limitazioni, riproponendo non solo il termine sinistra, ma recuperando anche il termine socialista, alla cui tradizione guardare con speranza senza sentire la necessità di abbandonarlo, ma anzi di riproporre in maniera decisa. Ma questa nostra presa di posizione non è stata produttiva, non è stata colta come momento anche di chiarificazione. Con chi andrà infatti, se deciderà di misurarsi, la sinistra in Europa? Con chi andrà il Partito Democratico a Bruxelles?

È quindi con una punta di rammarico che assistiamo allo svolgersi del quadro politico sia a livello locale che nazionale. Guardando con grande rispetto alle diverse esperienze che si vanno formando, ma che non ci convincono del tutto. Da parte nostra continueremo ad incalzare proprio sulle tematiche del nuovo socialismo tutta la sinistra, anche con l’idea un giorno di doverci ricredere, riuscendo a ricostituire una sinistra ampia e ricca di pluralità. Per ora, comunque, scegliamo il solco del socialismo europeo e dell’autonomia della sinistra riformatrice che parte dai contenuti, augurando buona fortuna a tutti noi.