Come molti ammiratori di Steve Jobs, del quale si rincorrono le notizie di una ripresa di malattia, mi sono chiesto cosa effettivamente sia possibile imparare dalla sua esperienza di vita. E in tempi di vacche magre politiche, se esistesse un messaggio valido anche per chi si candidi ad ottenere un ruolo di direzione e di indirizzo nell’amministrazione della cosa pubblica. Tra le diverse risposte che riguardano aspetti molto personali e generali, almeno due appaiono significative ed utili alla nostra politica, anche nella loro semplicità.
La prima è la capacità di aggregare tecnologie e mondi diversi. Steve Jobs, in effetti, non ha inventato molto in prima persona, ma è sicuramente riuscito a mettere a frutto i risultati di molte ricerche fiorite nella Silicon Valley riunendole in prodotti che prima non esistevano e che si sono rivelati utili per milioni di persone. Cogliere nuove idee, capirne il significato e moltiplicarne l’utilità integrandole con altre potrebbe rappresentare un’abilità imprescindibile per amministrare meglio il bene comune e creare progresso. Tenendo conto che non sempre le idee assemblabili sono le migliori in senso assoluto, ma sono quelle che producono maggior beneficio se unite ad altre: spesso idee meravigliose non sono percorribili e men che meno hanno la possibilità di “lavorare” con altre. Per far questo bisogna possedere una certa dose di umiltà, di buon orecchio per tutto ciò che succede e capacità di imparare l’alfabeto dell’innovazione, asset che non sembrano molto rappresentati in questo momento nel nostro agone politico.
La seconda sembra banale, ma non lo è: creare degli strumenti che siano in grado di modificare in meglio molti aspetti della nostra vita sia singola che collettiva. Chiaramente i nostri politici non devono inventare supporti tecnologici, ma sicuramente non riescono più a creare condizioni, modalità, intuizioni davvero utili al comune cittadino. Men che meno riescono a migliorare “prodotti” già presenti nella nostra vita quotidiana come il sistema sanitario o la semplice anagrafe comunale. Sia chiaro che si è lontani da ritenere la politica come braccio e fine dell’utilitarismo di Bentham, ma davvero sembra oggi che la politica non serva a molto nella vita di tutti i giorni. La deriva più comune è un semplice economicismo che si traduce nella missine di tenere a posto i conti e di tagliare le spese improduttive, ma questa non è politica. Un bravo manager ed un esperto ragioniere avrebbero maggiori titoli per dedicarsi a questo fine e magari con migliori risultati. Tenere in ordine i conti è una precondizione della politica, non è la politica. Creare stumenti di convivenza collettiva, di miglioramento del rapporto tra Stato e cittadino, di sviluppo per porre le persone nelle migliori condizioni per sviluppare il proprio potenziale e via discorrendo è un’altra storia che oggi non sembra essere raccontata più da nessuno. Lo stesso messaggio sui grandi temi e l’impegno su capitoli talmente vasti che sembri non tocchino la nostra vita quotidiana è la moneta che viene oggi maggiormente contrabbandata come politica. Ed i risultati sono sotto i nostri occhi. Anche senza arrivare all’estremismo di Steve Jobs come non sia un affare dei consumatori sapere quello che vogliono.
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