Esiste anche un aspetto squisitamente economico della questione della “carta della povertà”, la cui entrata in funzione è stata recentemente annunciata dall’attuale governo di centro-destra.
Facendo finta di essere dei cultori delle scienze economiche, è lecito chiedersi se veramente le risorse che si intende impegnare in questo progetto siano state “allocate”, cioè destinate, nel miglior modo possibile e se quindi frutteranno al meglio, rispetto ad altre scelte possibili.
E per prima cosa: a chi saranno destinate queste risorse? Non a tutti.
Infatti si ripercorre la strada già seguita dal precedente Governo, che soffriva di una maggioranza incerta ed era più affamata di consenso.
Sembra infatti intenzione dell’attuale Governo concentrare l’aiutino a favore dei redditi bassi dei pensionati.
Con ciò si tralasciano gli altri svantaggiati non pensionati come le famiglie con più figli in età ancora minorile, che non solo sono cittadini come gli altri, ma potrebbero in sostanza alimentare anche la catena degli acquisti e una minima ripresa dei consumi, come ci insegna il buon vecchio Keynes.
E se, in verità, si voleva incrementare semplicemente il reddito dei pensionati, non si capisce perché non si è agito incrementando direttamente le pensioni.
A mal pensare, è probabile che ciò non fosse possibile semplicemente perché il meccanismo, come dicevamo ieri, è semplicemente quello della questua fatta da petrolieri e banchieri, ritirabile in ogni momento in caso di bisogno di rientro di queste due categorie.
Come strumento economico, la “ricaricard della povertà” è veramente idoneo?
Lo strumento, a dire il vero, non è nuovo: dove è stato inventato (Stati Uniti d’America) si chiama “voucher” – come quello del parcheggio -, ma ha altre finalità.
Viene infatti distribuito a particolari soggetti con bisogni assistenziali e, insieme, comportamenti definiti “devianti” (alcool, droga ecc.) con l’idea che le risorse a loro date (soldi o benefici vari) siano veramente utilizzate per acquistare generi alimentari o altri beni primari e non, invece, per alcool, droga, ecc.
E qui si intravede un problema, diciamo così, di Stato paternalistico, molto noto in altri ambiti (vedi consenso alle cure) e che potrebbe dare un duro colpo al principio di pari dignità e diritti delle persone. Argomento molto complesso e non affrontabile ora.
Esiste, per ciò che riguarda dell’idoneità dello strumento, anche un problema non di poco conto, che è quello del meccanismo realizzativi, sicuramente più impegnativo di altri e probabile generatore di diseconomie.
L’attivazione della “carta” richiederà infatti un complesso di
diverse azioni che vanno dalla distribuzione da parte degli uffici postali, alla stipula di convenzioni con i vari negozi e/o centri commerciali, ed alla inevitabile gestione burocratica.
Un problema vero sarà invece quello a cui si troveranno i nostri governanti nel momento in cui si dovrà, per forza di cose, discutere tra qualche tempo di riforme di sistema – leggi aiuto economico agli anziani non autosufficienti, alle famiglie povere con figli, ticket sanitari ecc.
Verrà sicuramente affermato che le risorse sono insufficienti.
Le carenze in questi settori sono enormi e sarà curioso vedere come sia possibile armonizzare i vincoli di bilancio, a quanto si sa ancora stretti, con le risorse necessarie.
Dal momento che la manovra della “carta della povertà” si stima impegni risorse intorno ai 500 milioni di euro, non ci sembra fantasioso dire, come segnalato dal giornale della Confindustria a firma di Cristiano Gori, che “con le stesse risorse si poteva avviare una riforma di sistema all’interno di un progetto definito e da realizzare progressivamente nella legislatura. Invece si tolgono 500 milioni utilizzabili per un tale percorso. Quando nei prossimi mesi si discuterà di riforme del welfare, questi milioni saranno fortemente rimpianti. (…) in sintesi si tratta di una misura di inefficacia certa e che toglie risorse alle riforme necessarie, ma da cui l’esecutivo si può attendere un ritorno immediato di consenso. Ci si augura che Tremonti presenti un’altra idea per utilizzare i soldi disponibili in modo più alle fasce deboli”.
Il mondo ormai va così: dobbiamo fare l’opposizione insieme a Confindustria!