La discussione sui temi della sanità – sicuramente momento centrale del prossimo confonto elettorale di marzo – inizia già a deragliare, soprattutto riguardo i legami che i temi dell’economia hanno con quelli dell’organizzazione sanitaria. Salutare a questo riguardo è riprendere alcune note che Nerina Dirindin e Paolo Vineis hanno appuntato nel loro bel testo “Elementi di economia sanitaria” sui rischi di un errato approccio tra questi due mondi.
Il primo rischio è quello del “mito dei modelli”, che si riferisce alla convinzione di come sia possibile applicare alla sanità modelli di analisi, valutazione e controllo propri di altri settori, sperimentati nelle realtà private di produzione e scambio di beni. Così come la fiducia nell’importare nel settore sanitario modalità manageriali tipiche di altre realtà. L’organizzazione della salute ha infatti peculiarità e complessità riconosciute che non permettono queste trasposizioni.
Un secondo mito da cui guardarsi è quello definito come quello della “cassetta degli attrezzi”. L’impiego di nuovi strumenti di gestione fornisce spesso l’impressione, soprattutto tra gli operatori sanitari, di essere un moltiplicatore di informazioni (veri epropri metri cubi di tabulati) non utilizzabili a fini decisionali. La capacità dilettura di questa gran massa di informazioni è infatti ancora estremamente modesta e le ricadute sui processi di decisione sono del tutto ionsoddisfacenti.
L’ultimo è quello della “quadratura dei conti” dove l’errore è considerare l’equilibrio economico-finanziario come un obiettivo, a volte anche l’unico, da raggiungere e non come un vincolo da rispettare. La preoccupazione è che l’attenzione nei confronti dell’efficienza possa far passare in secondo piano quella dell’efficacia sul contributo che le prestazioni della sanità possano portare al miglioramento dei livelli di salute collettiva e di capacità di rispondere ai bisogni, sempre in trasformazione, della popolazione. Un eccesso di efficientismo potrebbe portare a dimenticare la valutazione dell’efficacia complessiva del servizio, la capacità di un’azione di raggiungere l’obbiettivo per la quale era stata congeniata.
Tenendo conto di tutto ciò risulta chiaro come il riferirsi a modelli “lombardi”, porsi come fine l’efficienza senza prendere in considerazione l’efficacia delle prestazioni, riferirsi a semplici dati economici, siano posizioni che gettano fumo negli occhi e che non portano da nessuna parte. Posizioni, peraltro, come sempre portanti nel centrodestra piemontese e nazionale.
Il primo rischio è quello del “mito dei modelli”, che si riferisce alla convinzione di come sia possibile applicare alla sanità modelli di analisi, valutazione e controllo propri di altri settori, sperimentati nelle realtà private di produzione e scambio di beni. Così come la fiducia nell’importare nel settore sanitario modalità manageriali tipiche di altre realtà. L’organizzazione della salute ha infatti peculiarità e complessità riconosciute che non permettono queste trasposizioni.
Un secondo mito da cui guardarsi è quello definito come quello della “cassetta degli attrezzi”. L’impiego di nuovi strumenti di gestione fornisce spesso l’impressione, soprattutto tra gli operatori sanitari, di essere un moltiplicatore di informazioni (veri epropri metri cubi di tabulati) non utilizzabili a fini decisionali. La capacità dilettura di questa gran massa di informazioni è infatti ancora estremamente modesta e le ricadute sui processi di decisione sono del tutto ionsoddisfacenti.
L’ultimo è quello della “quadratura dei conti” dove l’errore è considerare l’equilibrio economico-finanziario come un obiettivo, a volte anche l’unico, da raggiungere e non come un vincolo da rispettare. La preoccupazione è che l’attenzione nei confronti dell’efficienza possa far passare in secondo piano quella dell’efficacia sul contributo che le prestazioni della sanità possano portare al miglioramento dei livelli di salute collettiva e di capacità di rispondere ai bisogni, sempre in trasformazione, della popolazione. Un eccesso di efficientismo potrebbe portare a dimenticare la valutazione dell’efficacia complessiva del servizio, la capacità di un’azione di raggiungere l’obbiettivo per la quale era stata congeniata.
Tenendo conto di tutto ciò risulta chiaro come il riferirsi a modelli “lombardi”, porsi come fine l’efficienza senza prendere in considerazione l’efficacia delle prestazioni, riferirsi a semplici dati economici, siano posizioni che gettano fumo negli occhi e che non portano da nessuna parte. Posizioni, peraltro, come sempre portanti nel centrodestra piemontese e nazionale.
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