Un nuovo compito prioritario che penso debba essere assegnato alle pubbliche amministrazioni per l’ambiente è sicuramente quello dell’azione sull’innovazione tecnologica. Se da un lato le politiche ambientali possono spingere le imprese ad adottare tecnologie “pulite” già disponibili sul mercato, è comunque necessario stimolare ricerca e sviluppo (R&S) per raggiungere la quota di risultato che non può essere raggiunta solo attraverso altre politiche economiche. Il problema infatti è che nell’attuale sistema di mercato la disponibilità degli investimenti in R&S non è socialmente ottimale. Ciò dovuto a fatti noti. Esiste un rischio in termini di guadagni potenziali in quanto è difficile prevedere l’esito della ricerca. Le innovazioni sono inoltre molto costose alle imprese che le effettuano e poco costose da imitare. La stessa avversione al rischio delle banche, il modo di considerare le richieste di credito in questo settore costituiscono elementi che riducono la possibilità di accesso al finanziamento da parte delle imprese soprattutto di media grandezza. Ciò comporta appunto una divergenza tra il valore sociale e quello privato dell’attività innovativa. Proprio per questo le politiche ambientali da parte dell’operatore pubblico che incentivino l’innovazione tecnologica delle imprese in modo da spostare le frontiere tecnologiche e diffondere l’innovazione nel restane sistema delle imprese non può essere elusa. Si potrebbe persino azzardare che l’innovazione rappresenta un bene comune in cui la cosa pubblica deve ricavare un ruolo chiave. Le azioni sono certamente molto articolate, ma alcune possono essere immediatamente richiamate. Uno strumento importante è dato dalla stessa domanda pubblica. La richiesta di un prodotto o servizio qualificato secondo specifiche altamente elevate non solo diventa uno stimolo globale, ma supera anche il metodo di sostegno diretto alle fasi del processo di innovazione. Sicuramente tale azione deve avere un esteso arco temporale, dimensione adeguata, concentrata in settori dove si può avere maggiore ricaduta tecnologica. La domanda deve effettuarsi attraverso veri e propri contratti di ricerca o accordi di programma con oggetto specifiche tecnologie innovative e riguardare beni acquistati dall’operatore pubblico o da commercializzare sul mercato. Attraverso i contratti l’operatore pubblico controllerebbe l’accesso alla ricerca evitando duplicazione di costi. Non trascurabili comunque sono anche gli incentivi diretti dell’innovazione tecnologica. Chiarendo come la convenienza all’introduzione delle tecnologie “pulite” dovrebbe essere determinata dal confronto tra i costi ed i benefici sociali, e non privati; calcolando come il privato per sua natura trascura costi e benefici esterni o i vantaggi per la collettività, risulta immediatamente comprensibile come la mano pubblica non possa estraniarsi dal problema, ma forse deve assumere nuove caratteristiche e nuovi obbiettivi. Un compito può essere quello di cercare di minimizzare il costo del raggiungimento dell’obbiettivo fissato di controllo dell’inquinamento, comprendendo tra i costi quelli relativi agli strumenti. Una vera sorveglianza politica in questo senso con l’abbandono di finanziamenti a pioggia in settori non consoni all’azione pubblica e la concentrazione degli interventi su questi obbiettivi di naturale produttività pubblica potrebbero cambiare molte cose e far assumere uno stile di governo più in linea con le aspettative dei cittadini.
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