Siamo in pochi a sapere — la maggior parte delle persone non ne ha la minima idea — che il discorso di Washington, quello di «I Have a Dream», doveva essere diverso. E lo sarebbe stato, se non fosse giunta un’esortazione dal pubblico. Martin stava leggendo il testo che avevamo preparato quando Mahalia Jackson, la sua cantante gospel preferita, che lo stava ascoltando, gridò: «Raccontagli del sogno, Martin! Raccontagli del sogno!» (nelle chiese battiste degli afroamericani è un costume consolidato il dialogo ad alta voce con il pastore, durante le pause di un’omelia, con richieste e invocazioni, ndr). In tutti questi anni, ripensando a quel momento, ho concluso che doveva averlo ascoltato a giugno di quell’anno, a Detroit, quando Martin aveva fatto specifico riferimento al suo sogno. Quando Mahalia gli gridò quella frase, io ero dietro di lui, circa 15 metri indietro. E vidi succedere tutto in tempo reale. Prese il testo che avevamo preparato e lo spostò dalla parte sinistra del leggio. Lo mise da parte. Allora dissi a una persona che stava al mio fianco: «Stiamo per entrare in chiesa». Lo dissi perché, da dietro, vidi il suo linguaggio del corpo cambiare completamente. Finché lesse il testo preparato, ebbe il linguaggio del corpo di un professore che parla dalla cattedra durante una lezione, o una conferenza. Ma poi si trasformò nel pastore battista che predica alla sua congregazione. Se chiunque altro, quel giorno — chiunque altro — gli avesse gridato qualcosa non credo che si sarebbe distaccato dal testo preparato. Non sono sicuro. Ma Mahalia Jackson era la sua cantante gospel preferita, e quando parlò lei lui si sentì in dovere di rispondere.
Clarence Jones
consigliere di Martin Luther King,
co-autore di una prima stesura
del discorso «I Have a Dream» (2013)
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