Come ultimamente succede, le primarie del centrosinistra di Torino sembrano avviate ad un risultato non scontato. Infatti i “beninformati” ci fanno sapere che i candidati democratici – Gariglio e Fassino – sono sostanzialmente appaiati nel consenso dei torinesi. Gli altri candidati – Passoni, Curto e Viale – non sembrano avere numeri sostanziosi per contrastare il Pd, a maggior ragione oggi che sfuma la possibilità di un fronte unico a sinistra tra Passoni e Curto che indeboliranno la forza d’urto dell’ala radicale della coalizione. Cosa dirà, dunque, il “Laboratorio Torino” sempre disponibile a provare su sè stesso il vento del cambiamento anticipatore, spesso, di dinamiche più ampie? Più che il risultato, oggetto da indovini, possiamo comunque comprendere qualche elemento che, se verrà preso in considerazione dagli elettori di centrosinistra, porà ragionevolmente spostare il risultato finale. Nei fatti Gariglio è riuscito ad accreditarsi come “uomo nuovo” contrapposto all’esperto e ormai ricco di esperienze nel campo politico, ultimo segretario dei Ds. Quanto può valere questo fattore? Potrebbe valere molto in questo momento in cui la città si avvia ad una trasformazione che non lascerà come prima gli assetti oggi esistenti e dove si inizia a sentire la necessità di un’ordinato cambio della classe dirigente che negli ultimo vent’anni ha scritto la storia di Torino. Fassino, forse, ha fatto una mossa sbagliata pubblicizzando l’alleanza con uomini e settori che, loro malgrado, vengono considerati “poteri forti” dell’area torinese e che hanno contribuito a rinsaldare l’amministrazione largamente positiva di Sergio Chiamparino. La prima fila che si è vista nelle riunioni di Fassino non brillava certo per novità ed il fatto è stato ampiamente annotato dagli osservatori politici cittadini. L’esigenza di cambiamento che percorre la città passa soprattutto nella capacità di aprire la rappresentanza a soggetti nuovi quali nuovi professionisti in ascesa e lavoratori con un profilo diverso che sono, loro malgrado, “costretti” a sottoscrivere nuovi patti per il lavoro alla Marchionne ed andare avanti piuttosto che arroccarsi nel blocco senza se e senza ma. Ma anche giovani il cui futuro è sempre più legato alla conoscenza e all’internazionalizzazione, pensionati ancora in grado di poter giocare un ruolo ed attivi in ruoli che il welfare non riesce più a coprire, ma che hanno anche vissuto i cambiamenti del lavoro e che non sono più convinti della difesa dello statu quo. Questo popolo potrebbe anche incarnare oggi lo spirito per cui nacquero le primarie negli Stati Uniti: usare l’unico strumento possibile per ottenere il ricambio di una classe dirigente che tiene i cordoni del potere effettivo da molti anni e che non è disposto a cedere il passo. E saranno certamente più motivati ad andare a votare queste persone che ricercano una nuova classe dirigente all’altezza di nuove sfide rispetto a coloro che pensano ad una semplice continuità senza troppi scossoni. Il grosso della partita si gioca, penso, proprio qui, in una Torino che sta facendo i conti con cambiamenti ignoti e non è più composta da “bogia nen” a cui in fondo va bene l’esistente. Come certamente esiste un’opinione diffusa secondo la quale Fassino potrebbe giocare il ruolo di chi ha l’esperienza per garantire la crescita e la formazione di una classe classe politica che non commetta troppi “errori di gioventù” nell’amministrazione della cosa pubblica. Sistema che però non ha funzionato in altre realtà dove si è proposto lo stesso schema, ad esempio Roma con Rutelli e la stessa Provincia di Milano con Penati. Roma e Milano non sono Torino, ma sotto la mole la voglia di cambiamento potrebbe dar ragione ad una spinta “all’americana” che sparigli il campo ed azzeri i conti con un passato che, anche se nobile, è sempre passato. Ultima annotazione certamente presente è il profilo dell’outsider Gariglio e la sua connotazione maggiormente “centrista”, che potrebbe anche pescare consensi in aree in cui il centrosinistra subalpino non ha mai fatto grandi sortite negli ultimi anni rappresentate anche dal mondo cattolico – che qui è diverso da quello tipicamente romanocentrico – ed in grado di coniugare la laicità dello Stato con le convinzioni e scelte personali su temi spinosi come il testamento biologico o la possibilità di spazio della scuola confessionale. Se lo stesso Fassino è il prodotto di una formazione giovanile in cui è presente l’Istituto Sociale dei gesuiti, non sembra che questo aspetto sia uno degli asset che i suoi spin doctors stanno curando, lasciandolo quasi completamente nelle mani del cattolico Gariglio: cattolico sì, ma senza grandi proclami di guerra santa e quindi compatibile con una Torino crogiuolo delle differenze che oggi mangia grissini e kebab senza troppi problemi.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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