Ma è davvero la quantità di risorse pubbliche che fa la differenza nella ricerca?
A leggere i diversi rapporti la partecipazione del settore pubblico è una specie di ottovolante in cui riportando in percentuale uguali gli impegni di spesa, i risultati rimangono differenti.
Probabilmente le differenze non possono ricondursi semplicemente alla quantità di soldi impiegati dal settore pubblico e da quello privato, ma ad altre variabili.
Ve ne sono almeno due che si ritrovano costantemente nelle situazioni di maggior successo: la cosiddetta “peer rewiew” e il finanziamento pubblico selettivo, che si riversa cioè solamente nei progetti di ricerca considerati di maggior merito.
Partendo dal secondo punto si possono considerare due modelli che vanno per la maggiore: ricerca pubblica finanziata attraverso fondi attribuiti a tutte le Università (con il privato che finanzia solo le ricerche valutate di qualità superiore) o viceversa fondi pubblici solo ai più meritevoli (con il privato che sostanzialmente finanzia il rimanente).
E qui entra la peer rewiew: tra i diversi progetti si scelgono quelli ritenuti più validi attraverso una commissione di revisione indipendente con ricercatori esperti della stessa area di ricerca, appunto “peer” cioè alla pari.
In Italia questo meccanismo non è sicuramente attivo, anche se qualche timido interessamento cerca di farsi strada.
Toni Scarpa, direttore del Center for scientific rewiew del Nih (Istituto nazionale americano della salute), e consulente di diversi governi, descrive così almeno due realtà sicuramente all’avanguardia.
Negli Usa si applica già da molti anni la peer rewiew, con i professori universitari che devono fare attivamente domanda di finanziamento presentando un progetto.
Se viene giudicato idoneo, hanno un contratto di sovvenzionamento per quattro anni, che previa revisione dei risultati, può essere prolungato per altri quattro anni.
Dopodiché i finanziamenti decadono e si riparte daccapo. In caso contrario ricercheranno finanziamenti privati.
Altra esperienza è il modello australiano dove il peer rewiew si applica da circa un triennio con una transizione “morbida”.
Il Governo continua infatti a spendere 3 miliardi all’anno distribuendoli tra i sette principali atenei del Paese,ma tutele quote aggiuntive vengono elargite con il nuovo criterio.
Il risultato è che la parte di ricerca finanziata con il peer rewiew è passata dall’8% al 20% del totale senza incontrare opposizioni da parte dei professori.
Il metodo sicuramente non può considerarsi perfetto, ma la ricorrenza fissa di queste due variabili nelle situazioni di maggior sviluppo, deve sicuramente far pensare.
Oltre al fatto di provarci anche noi visto che mantenere gli stessi meccanismi attuali nel nostro Paese non porta da nessuna parte.