Il superamento del sistema attuale di finanziamento dei partiti è nelle cose. È la conseguenza delle ragioni che condussero all’approvazione della legge del ’99: un’arrogante risposta non solo e non tanto al referendum abrogativo del ’93 quanto alla legge del ’97 sulla contribuzione volontaria dei cittadini per il finanziamento della politica.
Il Paese è in grado di riprendere il cammino interrotto. Ma la soluzione al problema dei finanziamenti non può essere il mercato. La strada è associare libertà di scelta dei singoli e presenza di un contributo pubblico. La proposta di legge presentata da chi scrive al Senato e alla Camera segue questa impostazione.
Il cuore della proposta è semplice: lo Stato riconosce ai cittadini un credito d’imposta pari al 50% dei contributi che essi versano a movimenti o partiti, con un tetto di 5.000 euro. Andare oltre il 50% deresponsabilizzerebbe i cittadini (aprendo la strada a evidenti abusi).
Il credito d’imposta è attribuibile alle sole persone fisiche, mentre i contributi sono erogabili a movimenti o partiti già presenti o che intendano candidarsi, in maniera non episodica, per elezioni nazionali o regionali. Insomma, a chi fa politica o intende farla, non a chi la ispira o fiancheggia (associazioni e fondazioni).
Partiti o movimenti che ricevono i contributi volontari sono iscritti in un elenco nazionale e sottoposti a controlli e limiti stringenti. Il controllo ex post è attribuito alla Corte dei Conti. Irregolarità contabili o violazioni di legge sono punite anche con la sospensione dall’elenco.
Visto che si vota fra un anno per le Politiche e fra due per le Regionali, il periodo transitorio è di due anni (in cui il sistema vigente è gradualmente sostituito da quello futuro). Ciò per non rischiare di finanziare partiti scomparsi.
La proposta offre un contributo alla spending review. È infatti formulata sul presupposto di una riduzione degli oneri per il finanziamento pubblico dei partiti a carico dello Stato (in parte già nel 2012) e prevede un limite al totale dei contributi verso i partiti, oltre il quale viene rivista la componente pubblica del finanziamento.
I minori oneri per la finanza pubblica sono destinati al Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale, introdotto (con buona pace del governo) nella legislazione vigente dalla manovra di settembre e operativo dal 2014.
Perdere l’opportunità per restituire ai cittadini la libertà di scelta e alla politica la dignità sarebbe, questo sì, un «errore drammatico».
La proposta è firmata da Nicola Rossi, Mario Baldassarri, Marco Follini, Maria Pia Garavaglia, Pietro Ichino, Maria Leddi, Roberto Antonione, Fabio Gava, Stefano Graziano, Giustina Mistrello Destro, Angelo Santori, Luciano Sardelli
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