Alcune politiche anticrisi vedono Province Comuni e Regioni protagoniste in interventi che stimolino i mercati e trasferiscano risorse fresche alle aziende per far fronte all’attuale stagnazione economica. Da diversi decenni queste politiche sono dirette principalmente su due fronti principali: 1) investimenti in grandi opere; 2) aiuti più o meno diretti alle aziende, fino alla suggestione della nazionalizzazione delle stesse. Esistono altre opzioni? Una sollecitazione in tal senso,peraltro non proprio nuova, ci arriva da una bell’intervento del prof. Ugo Pagano, ordinario di politica economica dell’Università di Siena. L’analisi parte da una semplice constatazione: i diritti di proprietà intellettuale possono essere causa di stagnazione economica. In sostanza i detentori dei diritti di proprietà intellettuale (leggi brevetti, copyright ecc.) agiscono come monopolisti che impongono prezzi e limitano produzione di molti beni, anche essenziali. Inoltre dopo un primo stimolo nell’attrarre nuovi investimenti, questa capacità si affievolisce perché l’uso di questa conoscenza può essere limitata dalla necessità di essere utilizzata da altre conoscenze a loro volta coperte da diritti, con l’esito finale di una stagnazione. A questo punto del discorso si incrociano le politiche degli enti pubblici che, per stimolare produzione e consumo, mettono in campo risorse di vario genere che spaziano dal semplice “foraggiamento” delle stesse aziende che producono la crisi fino appunto alla nazionalizzazione delle stesse (come sta avvenendo soprattutto in altri Paesi). Soprattutto la concessione di contributi sta però determinando un mancato ritorno di efficacia – quasi un finanziamento a fondo perduto – con un aumento di insoddisfazione dei cittadini, la cui richiesta di maggiore efficienza ed efficacia nello stanziare risorse sta crescendo. I cittadini sono cioè più attenti alle contropartite che queste risorse producono, con poca disponibilità, appunto, al “fondo perduto”. Dato il quadro attuale con diversa composizione del mercato e del lavoro rispetto al passato, è necessario introdurre dei correttivi ai criteri che sovraintendono alla distribuzione di queste risorse pubbliche. Uno strumento sarebbe a questo punto quello che agisce sui diritti di proprietà intellettuale. In sostanza il finanziamento pubblico potrebbe essere impiegato non più nell’acquisizione di aree dismesse , di quantità di prodotto o altre forme poco efficienti, ma essere erogato per l’acquisizione di diritti di proprietà intellettuale pagato ad un prezzo corrispondente al suo valore privato. Questo potrebbe generare una vera e propria capacità moltiplicativa degli interventi, nel caso fossero successivamente resi disponibili gratuitamente o quasi dall’Ente pubblico, per diversi motivi. In primo luogo perché destinerebbe gli interventi principalmente alle aziende che si sono dimostrate innovative, contro altre che sono incentrate su produzioni ormai vecchie e non particolarmente in grado di poter resistere sul mercato. Questo permetterebbe di spingere le aziende verso l’innovazione, cioè verso la ricerca di nuove soluzioni, tecnologie e via discorrendo che consoliderebbero le posizioni raggiunte sui mercati con prodotti innovativi. Queste aziende potrebbero quindi usufruire di risorse fresche da reinvestire in nuova ricerca e sviluppo e nella stessa produzione. In secondo luogo i prezzi dei beni prodotti si abbasserebbe. Il mercato, liberato dal monopolio, si incaricherebbe di porre in competizione ed in concorrenza le diverse aziende arrivando al miglior prezzo del prodotto finale da vendere al cittadino. Infatti, liberato dal prezzo imposto da un monopolista, l’efficienza del mercato giocherebbe finalmente il suo ruolo vero. Oltre al fatto che nuove aziende potrebbero mettersi a produrre quel bene aumentando la forza lavoro. Lo stesso prezzo del prodotto non avrebbe necessità di essere ribassato attraverso le comuni politiche di sgravio fiscale, distorcente, senza grandi contropartite e sottrattore di risorse per altri settori quali ad esempio quello sociale. ”Dunque – come ricorda Pagano -, se da una parte dei fondi vengono immediatamente acquisiti dalle imprese che sono state più innovative in passato (che spesso appartengono ai paesi più ricchi), dall’altra l’aumento della conoscenza liberamente disponibile per tutti ha effetti diffusi e contribuisce allo sviluppo complessivo dell’economia mondiale. Per di più, in tutti i paesi indipendentemente dal loro grado di sviluppo, gli imprenditori dovrebbero superare un numero minore di barriere monopolistico-proprietarie per fare investimenti innovativi preziosi per la stagnante economia mondiale.”
Un vero moltiplicatore sulla resa delle risorse impegnate dal sistemo pubblico, su cui a mio avviso andrebbe approfondita la possibilità di interventi degli Enti Locali, soprattutto Province e Regioni.
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