ambienteMentre la politica torinese fa a cazzotti con se stessa, bisognerebbe iniziare a dire qualcosa rispetto a come immaginiamo la nostra Provincia nel prossimo mandato amministrativo per cui andremo a votare il 6 e 7 giugno prossimi. Proprio perchè il momento di crisi generalizzata attende delle risposte che influiranno anche sulla vita delle persone che vivono nella nostra Provincia. La parola chiave oggi, che la si giri o la si volti, è crisi. E crisi vuol dire innanzitutto scarsità di risorse, cioè abbiamo poche risorse da impiegare per far funzionare meglio la macchina amministrativa (fatta di autorizzazioni, pareri, linee guida ecc.), per far crescere la cultura sul nostro territorio, per permettere che si creino nuovi posti di lavoro e per formare le persone che dovranno domani compiere questi nuovi lavori. In tutto ciò una novità a livello mondiale è l’individuazione delle risorse ambientali in tutte le diverse facce come momento fondamentale per far fronte alla crisi. In passato ci si affidava al keynesismo più o meno spinto per rimettere in moto il sistema, ma oggi tutti guardano alle risorse che l’ambiente può mettere in campo. Ma anche qui esiste un problema di scarsità che deve essere risolto, cioè bisogna scegliere dove e quanto destinare delle risorse possedute. Bisogna inoltre iniziare a svolgere una ancora più pressante analisi costo/beneficio delle politiche che vengono messe in campo e come prima proposta penso sia ineludibile tentare di dare maggiore forza agli strumenti dell’analisi economica, per far comprendere a tutti noi quali politiche possono darci i migliori risultati. Spesso infatti ciò che ci appare come ideologicamente ottimo, in realtà tradotto in norma amministrativa non produce che uno scarso vantaggio ambientale e sociale.
Un’ente come la Provincia di Torino ha per vocazione amministrativa la sua massima efficacia nel saper usare alcuni strumenti a disposizione la cui natura continua ad evolversi nel tempo e la cui scelta ha la stessa importanza della determinazione dell’obiettivo da raggiungere. In questo senso potremmo richiamare l’interpretazione delle norme amministrative in materia ambientale (ancora oggi abbastanza contraddittorie e non esaustive), il gioco delle imposte e sussidi (anche qui, paradossalmente, con un certo margine di interpretazione), strumenti di tipo informativo (basilari nel far coprire l’assimmetria tra le conoscenze in capo alle amministrazioni e quelle degli utenti), altri di tipo certificativo fino a quelli cosiddetti negoziali (accordi, intese tra diversi attori che intervengono nella società). Ma appunto nella scelta di questi strumenti occorre considerare non solo la loro efficienza, ma anche la loro efficacia nel raggiungere gli obiettivi. In base a quali parametri possiamo scegliere i diversi strumenti di regolazione ambientale? Questa, se vogliamo, diventa la vera questione politica in grado di dividere le forze politiche. Proverò ad elencare alcuni criteri che secondo la mia opinione devono essere considerati nella scelta e nell’uso degli strumenti che le politiche dell’ambiente devono soddisfare, ammettendo come giochi in questa mia personale scelta anche l’avvicinamento che giocoforza ho dovuto intraprendere in questi anni verso l’economia ambientale e soprattutto verso autori come Panella a cui rimando per ulteriori approfonimenti più tecnici.
Efficacia ambientale. Sembra banale, ma la prima qualità di uno strumento deve essere quello di raggiungere un dato obiettivo ambientale prefisso. La valutazione dell’efficiacia deve comuqnue prevedere tutti i momenti di applicazione dalla fase di determinazione a quella di gestione controllo. L’importanza di questo criterio è nascosto in un particolare di non poco conto, quale quello che il risultato non deve essere la semplice efficienza – cioè la migliore capacità di applicazione da parte delle strutture burocratiche – ma la sua efficacia esterna, ambientale appunto
Efficienza economica. Comunque bisogna stare molto anche all’efficienza. In questo caso l’efficienza economica significa che la scelta tra diverse opzioni dovrà esseere guidata dalla capacità di raggiungere un certo obiettivo con i minori costi possibili per la comunità. Soprattutto se si tiene in considerazione che quasi sempre esiste una netta divergenza tra quanto la teoria ci dice e quantol’applicazione concreta dellostrumento può portare.
Incentivi a ridurre le esternalità. Gli strumenti devono essere capaci di spingere i diversi soggetti a comportarsi in maniera compatibili con gli obiettivi stabiliti dall’ente pubblico regolatore. Tra i diversi strumenti, infatti, alcuni più di altri contengono elementi che incentivano i soggetti a perseguire in modo anche autonomo gli obiettivi da raggiungere.
Flessibilità. Non tutti saranno immediatamente d’accordo, ma per esperienza le politiche più efficaci sono quelle in grado di adattarsi con maggiore libertà ai soggetti soprattutto economici a cui sono rivolte. Per spiegarci meglio, prendiamo i due tipi principali di strumenti ambientali: quelli cosiddetti diretti e quelli indiretti.
Quelli diretti sono i classici chiamati “comando-controllo” che concedono pochi gradi di libertà e incidono immediatamente sul comportamento. In sostanza atttraverso vincoli, ordini, permessi, licenze ti dico cosa devi fare, e se non lo fai come io ti dico incorrerai in sanzioni pecuniarie, civili o penali.
Quelli indiretti sono i classici economici: imposte o sussidi. Ti tocco il portafoglio rendendoti poco profittevole una certa azione o al contrario ti incentivo nei comportamenti virtuosi. In sostanza questo tipo di strumento modifica il comportamento dei diversi soggetti lasciando una certa libertà di adottare una azione in base al calcolo di convenienza economica. Chiaramente questo sistema non vuole assolutamente togliere alcun limite di legge e creare un far west dove ognuno sceglie di fare cosa vuole, ma si applica principalmente nella capacità di incidere sulle scelte tra lediverse alternative tecnologiche da adottare oppure sul versante del consumo attraverso la modificazione delle convenienze in termini di costi e benefici privati.
Semplicità di applicazione. Il punto è più importante di quanto si pensi, perchè ogni politica rivolta a chiunque se non è di semplice e sensata applicabilità è inutile.
Integrazione con le politiche di altri settori. L’ambiente viene spesso considerato come un mondo a se stante a cui le altre politiche devono incinarsi. Credo che questa idea sia alla base del fondamentalismo ambientale che spesso negli anni passati abbiamo subito. Oggi invece la ricerca nello sviluppo delle politiche ambientali sta riprendendo il concetto da cui sono nate le istituzioni per la difesa dell’ambiente che devono potersi integrare con le politiche di altri settori quali quello dei trasporti, dell’energia, dell’agricoltura, industriale e via discorrendo, senza rinchiudersi in una splendida solitudine sterile.
Accettabilità economica. “La protezione dell’ambiente ha un costo al quale i soggetti economici sono sensibili e lo sono ancora di più se tale costo va ad aggiungersi ad altri costi dettati dal rispetto dei vincoli preesistenti. Questo costo varia sia in funzione degli obiettivi sia degli strumenti adottati. E’ la loro dimensione che è alla base della mancata definizione di obiettivi ottimali” (Panella, 2002).
Accettabilità politica. I diversi strumenti hanno un diverso grado di accettabilità politica da parte dei diversi soggetti. Ad esempio sembrerà curioso, ma l’opinione pubblica e le imprese ritengono maggiormente accettabili gli strumenti di tipo amministrativo rispetto a quelli di natura economica. Purtroppo però l’efficacia di questi strumenti sta mostrando la corda, oltre al fatto che l’analisi delle ragioni di accettabilità politica pur convergendo sullo stesso strumento, mostrano motivazioni per così dire opposta. Dal lato imprenditoriale infatti è innegabile che i rappresentanti di questi interessi hanno una maggiore capacità di influire sul processo di definizione delle norme amministrative a livello centrale in modo da adattarle meglio alle loro esigenze, oltre al fatto di essere convinti che le norme amministrative definiscono obiettivi da raggiungere in modo certo. Non ultimo il fatto che una ormai consolidata prassi politica rende le norme difficilmente modificabili in periodi brevi, permettendo quindi di non dover modificare la tecnologia produttiva o di limitazione dell’inquinamento. D’altro canto la stessa opinione pubblica ha la sensazione che la leva economica rappresenti un implicito acquisto del diritto ad inquinare. Lo stesso operatore pubblico gradisce meglio la norma amministrativa perchè ha un maggior coinvolgimento e consuetudine con queste, oltre al fatto che riesce a preservare un indubbio potere sul sistema; anche se è da registrare un cambiamento di interesse delloperatore pubblico dato dal semplice incameramento del gettito assicurato dalle tasse ambientali.
Tutto ciò chiaramente non esaurisce in alcun modo l’argomento, ma credo doveroso iniziare a confrontare le diverse opinioni politiche almeno sui criteri da seguire nell’adozione dei diversi strumenti ambientali. Altrimenti parliamo del vuoto pneumatico, proprio perchè penso che nessuna forza politica sia contraria ad avere un ambiente migliore, ma il come giungere a questo risultato vede le diverse forze schierate in maniera certamente diversa con possibilità di risultati ben diversi a seconda delle opzioni perseguite. La mia personale opzione rimane quella socialista dove rimane necessario interpretare e dare espressione alle nuove esigenze e domande della società studiandone bene le modificazioni, l’attuale parcellizzazione e varietà, rispettando le opzioni individuale nelle proprie scelte offrendo soluzioni flessibili, decentrate e suscettibili del massimo dell’autogestione possibile senza però far pagare ala società nel suo insieme i costi esterni generati. Non ci interessa, da socialisti, il semplice governo sugli uomini, ma aiutare gli uomini a governarsi da sè, dando a tutti gli individui la masisma possibilità di influire sulla propria esistenza e sulla costruzione della propria vita. Iniziando dall’ambiente.