Contro la crisi ognuno deve fare la propria parte. Noi continuiamo ad affermare che la politica ambientale offre un’opportunità strategica contro l’attuale quadro economico. Il problema vero è che le proposte “verdi” stentano non solo a decollare, ma sembrano sistematicamente ignorate sia dal mondo politico che da quello economico. A parte qualche vaga dichiarazione nessuno sembra voler utilizzare la politica ambientale per superare l’evidente impasse economico. Eppure i dati parlano chiaro. Ad esempio il rapporto UNEP (green jobs. Toward decent work in a sustanaible low- carbon world) del 19 gennaio 2009, documentano un deciso aumento dei posti di lavoro in attività produttive inerenti la diminuzione degli impatti ambientali.
Ancora più espliciti sono i dati dell’OECD (Measuring Sustainable development, 2008) che documentano la misura degli scambi internazionali di questi beni e che segnano anche qui un significativo aumento, anche rispetto ai beni manifatturieri rispetto al 2002. Il rapporto segnala anche come questo aumento segni un forte vantaggio competitivo dei Paesi che si sono impegnati in questo settore.
A questo punto, visti anche i balbettii a livello nazionale, è necessaria una chiara presa di coscienza di chi si occupa di ambiente, che stiamo entrando in una nuova fase dove anche il nostro settore è chiamato a rispondere a questa crisi, a confrontarsi con le soluzioni che è possibile mettere in campo, a dare quindi impulso al ragionamento che l’economia ambientale sta tentando di proporre da diversi anni. L’ambiente quindi deve uscire dalla secca di un atteggiamento da “pronto soccorso” in cui si valutano solo i danni, per divenire attore, motore di un nuovo sviluppo. Il nuovo paradigma, infatti, deve superare la mentalità del “filtro alla fine del processo” per iniziare ad incidere subito a livello della progettazione e della produzione del prodotto. I meccanismi da mettere a disposizione possono essere diversi: da un nuovo modello degli acquisti “verdi” delle amministrazioni, all’uso dei certificati verdi, allo spostamento del drenaggio fiscale dal lavoratore agli inquinatori, all’intervento dell’operatore pubblico sui diritti di proprietà. Non per ultima la necessità di sviluppare nuova conoscenza per invertire l’attuale sistema che vede il nostro Paese semplice compratore di nuove tecnologie a differenza di Paesi che hanno intrapreso la strada della ricerca e produzione di nuove tecnologie che stanno già producendo utili a livello di bilancio export. Il nostro impegno a questo punto non può che essere quello di inserire a livello di programma politico sia locale che europeo tutti gli strumenti che possono permettere al’ambiente di dare un contributo significato per uscire dalla crisi. Il programma del Partito socialista Europeo ha già indicato con forza questo tipo di politiche, facendone uno dei pilastri della propria azione. A livello locale bisogna iniziare questa battaglia con risolutezza perché il tempo è finito.
Ancora più espliciti sono i dati dell’OECD (Measuring Sustainable development, 2008) che documentano la misura degli scambi internazionali di questi beni e che segnano anche qui un significativo aumento, anche rispetto ai beni manifatturieri rispetto al 2002. Il rapporto segnala anche come questo aumento segni un forte vantaggio competitivo dei Paesi che si sono impegnati in questo settore.
A questo punto, visti anche i balbettii a livello nazionale, è necessaria una chiara presa di coscienza di chi si occupa di ambiente, che stiamo entrando in una nuova fase dove anche il nostro settore è chiamato a rispondere a questa crisi, a confrontarsi con le soluzioni che è possibile mettere in campo, a dare quindi impulso al ragionamento che l’economia ambientale sta tentando di proporre da diversi anni. L’ambiente quindi deve uscire dalla secca di un atteggiamento da “pronto soccorso” in cui si valutano solo i danni, per divenire attore, motore di un nuovo sviluppo. Il nuovo paradigma, infatti, deve superare la mentalità del “filtro alla fine del processo” per iniziare ad incidere subito a livello della progettazione e della produzione del prodotto. I meccanismi da mettere a disposizione possono essere diversi: da un nuovo modello degli acquisti “verdi” delle amministrazioni, all’uso dei certificati verdi, allo spostamento del drenaggio fiscale dal lavoratore agli inquinatori, all’intervento dell’operatore pubblico sui diritti di proprietà. Non per ultima la necessità di sviluppare nuova conoscenza per invertire l’attuale sistema che vede il nostro Paese semplice compratore di nuove tecnologie a differenza di Paesi che hanno intrapreso la strada della ricerca e produzione di nuove tecnologie che stanno già producendo utili a livello di bilancio export. Il nostro impegno a questo punto non può che essere quello di inserire a livello di programma politico sia locale che europeo tutti gli strumenti che possono permettere al’ambiente di dare un contributo significato per uscire dalla crisi. Il programma del Partito socialista Europeo ha già indicato con forza questo tipo di politiche, facendone uno dei pilastri della propria azione. A livello locale bisogna iniziare questa battaglia con risolutezza perché il tempo è finito.
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