Chiacchierando con leggerezza di elezioni, a tutti noi è capitato di discutere sull’influsso delle condizioni economiche presenti al momento del voto nel favorire questo o quel partito.
Così vengono tirati in ballo argomenti quali il denaro che l’elettore ha in tasca, la preoccupazione dei politici di essere rieletti che guida le loro politiche economiche, che i governi esercitano effettivamente un controllo sull’economia tale da consentire loro di raggiungere i propri scopi.
Ma gli elettori rieleggono i governi quando l’economia va bene? Cinicamente chi guarda le campagne elettorali può trovare sorprendente che i politici diano l’impressione di non gestire l’economia in un’ottica di rielezione.
Questa però sembra essere la conclusione di una accurata analisi condotta sul rapporto tra economia ed elezioni condotta da Alesina e Roubini (Economia elettorale. Tra promesse e realtà; Università Bocconi ed.) ripresa da John Kay nel suo interessante e consigliato: “Lampadine ad alta efficienza”, Brioschi ed.; 2007.
I due ricercatori si sono cimentati con due ipotesi alternative.
La prima, chiamata “il partigiano”, assume che l’influsso principale sulle azioni dei politici sia quello esercitato dalle loro opinioni dichiarate.
La seconda, o “dell’opportunista”, pensa che qualunque cosa sia dichiarata, essi faranno tutto il possibile per essere rieletti.
Secondo la teoria opportunistica, i cicli economici coincidono con i cicli elettorali.
Nella teoria partigiana si prendono si sposta invece la visuale.
Secondo quest’ultima accade che i governi di sinistra espandono l’economia nei primi anni di mandato ma successivamente, trovando fallimentari queste politiche, mettono in atto una politica di tagli di spesa.
Al contrario i governi di destra all’inizio del mandato contraggono l’economia e poi, con la stessa sensazione di fallimento degli altri, optano per l’espansione.
Una conseguenza della teoria partigiana è che l’economia ha maggiori probabilità di prosperare quando le elezioni sono indette dai governi di destra rispetto a quelli di sinistra.
Storicamente sembra che questo sia vero.
Ma se la tesi opportunistica a questo punto fosse corretta, i governi di destra riuscirebbero ad ottenere la riconferma più sovente di quelli di sinistra.
Questo non sembra essere così nettamente confermato.
Nell’analisi statistica di Alesina e Roubini la teoria “partigiana” sembra spuntarla rispetto a quella “opportunistica”.
Conclude Kay: “se l’econometria non mente, neppure i politici mentono.
La migliore spiegazione del loro comportamento è che, comunque vadano le cose, essi fanno sul serio.
E la migliore spiegazione del comportamento degli elettori è che decidono sulla base dei problemi in ballo e della competenza delle compagini governative.
E’ saggio essere cinici riguardo alla politica, ma possibile anche essere troppo cinici”.
Così vengono tirati in ballo argomenti quali il denaro che l’elettore ha in tasca, la preoccupazione dei politici di essere rieletti che guida le loro politiche economiche, che i governi esercitano effettivamente un controllo sull’economia tale da consentire loro di raggiungere i propri scopi.
Ma gli elettori rieleggono i governi quando l’economia va bene? Cinicamente chi guarda le campagne elettorali può trovare sorprendente che i politici diano l’impressione di non gestire l’economia in un’ottica di rielezione.
Questa però sembra essere la conclusione di una accurata analisi condotta sul rapporto tra economia ed elezioni condotta da Alesina e Roubini (Economia elettorale. Tra promesse e realtà; Università Bocconi ed.) ripresa da John Kay nel suo interessante e consigliato: “Lampadine ad alta efficienza”, Brioschi ed.; 2007.
I due ricercatori si sono cimentati con due ipotesi alternative.
La prima, chiamata “il partigiano”, assume che l’influsso principale sulle azioni dei politici sia quello esercitato dalle loro opinioni dichiarate.
La seconda, o “dell’opportunista”, pensa che qualunque cosa sia dichiarata, essi faranno tutto il possibile per essere rieletti.
Secondo la teoria opportunistica, i cicli economici coincidono con i cicli elettorali.
Nella teoria partigiana si prendono si sposta invece la visuale.
Secondo quest’ultima accade che i governi di sinistra espandono l’economia nei primi anni di mandato ma successivamente, trovando fallimentari queste politiche, mettono in atto una politica di tagli di spesa.
Al contrario i governi di destra all’inizio del mandato contraggono l’economia e poi, con la stessa sensazione di fallimento degli altri, optano per l’espansione.
Una conseguenza della teoria partigiana è che l’economia ha maggiori probabilità di prosperare quando le elezioni sono indette dai governi di destra rispetto a quelli di sinistra.
Storicamente sembra che questo sia vero.
Ma se la tesi opportunistica a questo punto fosse corretta, i governi di destra riuscirebbero ad ottenere la riconferma più sovente di quelli di sinistra.
Questo non sembra essere così nettamente confermato.
Nell’analisi statistica di Alesina e Roubini la teoria “partigiana” sembra spuntarla rispetto a quella “opportunistica”.
Conclude Kay: “se l’econometria non mente, neppure i politici mentono.
La migliore spiegazione del loro comportamento è che, comunque vadano le cose, essi fanno sul serio.
E la migliore spiegazione del comportamento degli elettori è che decidono sulla base dei problemi in ballo e della competenza delle compagini governative.
E’ saggio essere cinici riguardo alla politica, ma possibile anche essere troppo cinici”.
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