Gli stessi osservatori hanno sempre accreditato una sua eventuale candidatura di ottime probabilità di successo, ma Bloomberg continua a rifiutare una sua discesa in campo.
Credo, al di là delle opinioni di ognuno, il suo rappresenti un importante punto di vista, utile non soltanto per capire di più gli USA, ma con richiami che non sfigurano certamente anche nella attuale discussione politica in Italia.
Ho quindi ritenuto interessante riproporre un suo articolo tratto dal New York Times.
“Seguendo al campagna presidenziale del 2008, si ha a volte l’impressione che i candidati ne sappiano più di quanto danno a vedere. Devono sapere che non possiamo pensare di risollevare la situazione economica e creare posti di lavoro isolando l’America dagli scambi globali; che non bastano le misure di sicurezza alle frontiere per risolvere il problema dell’immigrazione; che i problemi della scuola non si affrontano senza responsabilizzare gli insegnanti, i presidi e i genitori; che la lotta contro il riscaldamento globale non si fa a costo zero e che è impossibile impedire ai criminali di procurarsi armi illegali senza una stretta di vite sul loro commercio. Queste cose la stragrande maggioranza degli americani le sa benissimo. Ma la politica è quella che è, per cui sembra che i candidati non trovino il coraggio di affrontare queste questioni a viso aperto. Lo scorso anno mi sono impegnato a sollevare una serie di questioni di grande rilievo sia per i cittadini di New York che per tutti gli americani e ho proposto una serie di soluzioni di buon senso, nei termini più semplici ed accessibili. Alcune di queste misure sono tradizionalmente considerate di segno repubblicano, altre sono assimilate al partito democratico. Quanto a me, da uomo di affari non ho mai creduto che un dato partito abbia il monopolio delle risposte giuste e la mia esperienza di sindaco mi ha confortato in questa convinzione. In tutte le città che ho visitato il messaggio di un approccio indipendente e della necessità di una nuova agenda per le realtà urbane ha avuto una forte risonanza. Ormai più del 65% degli americani vive nelle aree urbane, che sono il motore economico della nostra nazione. Ma di questo i candidati non parlano. In un periodo in cui la nostra economia ha il fiato corto, per usare un termine blando, cos si sta facendo per aumentare i posti di lavoro, per ridare vitalità a città che non si sono mai risollevare dal declino industriale degli ultimi decenni? Ritengo che una posizione indipendente nell’affrontare questi problemi sia essenziale per governare la nostra nazione; che un indipendente possa vincere la corsa alla presidenza. Ho ascoltato con molta attenzione chi mi ha incoraggiato a entrare in lizza, ma non sono e non sarò un candidato alla Casa Bianca. Ho seguito lo sviluppo di questa campagna, e spero che i concorrenti sappiano portare la sfida ad un livello più elevato, proponendosi come leader realmente indipendenti. (…) Continuerò ad dorarmi affinché il dibattito sia meno fazioso e più unitario, cercando di condurlo dall’ideologia al buon senso, dalla magniloquenza alla sostanza. Se come ho detto non sono incorsa per la presidenza, penso che la gara sia troppo importante per starmene in panchina. Perciò ho cambiato idea su un punto: se uno dei candidati si orienterà verso una posizione indipendente e non di parte, optando per soluzioni pratiche, non condizionate dall’ortodossia di partito, sarò pronto a schierarmi con chi lo sosterrà. I cambiamenti di cui questo Paese ha bisogno sono davvero molti, ma c’è sempre una ragione di parte per scegliere la via più facile, che quella di eluderli. C’è sempre qualche interesse particolare, contrario a ogni tentativo di cambiare lo status quo. E c’è sempre chi si preoccupa più di essere eletto che delle condizioni di salute del nostro Paese. Le forze che ostacolano qualunque progresso significativo sono molto potenti, e si trovano in entrambi i partiti. Ma a mio parere la vittoria andrà a al candidato pronto a riconoscere che la festa è finita, e a mobilitarci tutti per rimettere a posto le cose”
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