Elezioni significa anche abbandonare concetti general-generici per buttarci nella mischia delle proposte e delle idee. Quelle vere.
Soprattutto per chi si occupa di ambiente.
Significa anche la necessità di cambiare alcune abitudini e di intendere la sfida ambientale non più come semplice necessità di chiudere fabbriche o comprare lampadine “verdi”: queste cose vanno fatte e dovrebbero essere pratiche pacificamente accettate senza grandi discussioni.
Ma non rappresentano una vera e propria proposta, un orizzonte, una nuova opportunità.
E’ una concezione dell’ambiente “end of pipe”, alla fine del tubo, un ambiente da logica “poliziesca”, sicuramente necessaria anche questa, ma che è un’altra cosa.
I temi dell’ambientalismo moderno sono altri.
Il primo, come un semplice post-it da appendere a cui ne seguiranno altri, riguardano l’associazione con un altro tema tra i più sentiti oggi: l’occupazione.
L’ambiente racchiude infatti una opportunità di impiego tra le più favorevoli.
Alcuni hanno calcolato che il settore ambientale ha una potenzialità di circa 300.000 nuovi posti di lavoro.
Soprattutto lavoro buono perché contiene un alto indice di conoscenza e quindi meno esposto alla precarietà. Non solo.
Rappresenta un tipo di lavoro che cambia la specializzazione produttiva del nostro Paese, lo rende più competitivo e che combatte fattivamente un declino economico che, questo sì, provoca nuova disoccupazione.
E’ ricco di “ricerca”, quella buona e la sa usare in modo sostenibile. Produce beni ad alta tecnologia che è la risposta seria dei Paesi emergenti dalla sfida della globalizzazione negativa.
L’ambiente non crea solo nuovi posti di lavoro, ma può fattivamente inserirsi come momento di sostegno e di stabilizzazione verso il lavoro precario, senza aver paura di confrontarsi con l’economia.
Esistono proposte “ambientali” come quella del “doppio dividendo” (vedi post 19 ottobre) che agiscono sulla fiscalità disincentivando le produzioni nocive e possono abbattere le tasse che oggi sono caricate sul costo del lavoro, togliendo appunto una zavorra che limita il raggiungimento di livelli di occupazione socialmente decenti in un paese sviluppato.
L’ambiente fa bene all’economia, descrivendone in maniera chiara le cosiddette esternalità, gli effetti negativi, e abbattendo la distorsività del sistema di tassazione iniquo ed inefficiente facendo pagare i costi dei danni non alla collettività generale sottraendole risorse, ma ai produttori e costringendoli a modificare le loro produzioni.
L’ambiente produce efficienza nell’uso delle risorse, che non significa semplicemente usarne meno perché stanno finendo, ma spendere meno per la produzione.
L’ambiente obbliga a cambiare i cicli produttivi utilizzando le migliori tecnologie disponibili a disposizione con un effetto sempre sottovalutato: migliora la sicurezza del lavoro.
Questo è l’ambiente di cui è necessario parlare contro la caricatura che ne viene normalmente fatta.
Soprattutto per chi si occupa di ambiente.
Significa anche la necessità di cambiare alcune abitudini e di intendere la sfida ambientale non più come semplice necessità di chiudere fabbriche o comprare lampadine “verdi”: queste cose vanno fatte e dovrebbero essere pratiche pacificamente accettate senza grandi discussioni.
Ma non rappresentano una vera e propria proposta, un orizzonte, una nuova opportunità.
E’ una concezione dell’ambiente “end of pipe”, alla fine del tubo, un ambiente da logica “poliziesca”, sicuramente necessaria anche questa, ma che è un’altra cosa.
I temi dell’ambientalismo moderno sono altri.
Il primo, come un semplice post-it da appendere a cui ne seguiranno altri, riguardano l’associazione con un altro tema tra i più sentiti oggi: l’occupazione.
L’ambiente racchiude infatti una opportunità di impiego tra le più favorevoli.
Alcuni hanno calcolato che il settore ambientale ha una potenzialità di circa 300.000 nuovi posti di lavoro.
Soprattutto lavoro buono perché contiene un alto indice di conoscenza e quindi meno esposto alla precarietà. Non solo.
Rappresenta un tipo di lavoro che cambia la specializzazione produttiva del nostro Paese, lo rende più competitivo e che combatte fattivamente un declino economico che, questo sì, provoca nuova disoccupazione.
E’ ricco di “ricerca”, quella buona e la sa usare in modo sostenibile. Produce beni ad alta tecnologia che è la risposta seria dei Paesi emergenti dalla sfida della globalizzazione negativa.
L’ambiente non crea solo nuovi posti di lavoro, ma può fattivamente inserirsi come momento di sostegno e di stabilizzazione verso il lavoro precario, senza aver paura di confrontarsi con l’economia.
Esistono proposte “ambientali” come quella del “doppio dividendo” (vedi post 19 ottobre) che agiscono sulla fiscalità disincentivando le produzioni nocive e possono abbattere le tasse che oggi sono caricate sul costo del lavoro, togliendo appunto una zavorra che limita il raggiungimento di livelli di occupazione socialmente decenti in un paese sviluppato.
L’ambiente fa bene all’economia, descrivendone in maniera chiara le cosiddette esternalità, gli effetti negativi, e abbattendo la distorsività del sistema di tassazione iniquo ed inefficiente facendo pagare i costi dei danni non alla collettività generale sottraendole risorse, ma ai produttori e costringendoli a modificare le loro produzioni.
L’ambiente produce efficienza nell’uso delle risorse, che non significa semplicemente usarne meno perché stanno finendo, ma spendere meno per la produzione.
L’ambiente obbliga a cambiare i cicli produttivi utilizzando le migliori tecnologie disponibili a disposizione con un effetto sempre sottovalutato: migliora la sicurezza del lavoro.
Questo è l’ambiente di cui è necessario parlare contro la caricatura che ne viene normalmente fatta.
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