Crisi finanziaria globale ma interventi a scala locale: questo è in sintesi il panorama a cui stiamo assistendo in questo periodo. Eppure il fatto di essere a pochi mesi dalle elezioni europee dovrebbe accendere l’interesse dei gruppi politici  nel richiamare – o rifiutare – visioni più ampie anche dei problemi finanziari, indicando linee d’azione che dovrebbero rispondere a quesiti cui si troverà di fronte l’elettore medio nel giugno prossimo. Invece assistiamo ad una radicalizzazione della discussione sulla riforma delle modalità di voto, che sembra essere più rivolta a chiudere conti interni – sia nei partiti che tra partiti – che ad occuparsi di problematiche riguardanti il  Parlamento Europeo.
Eppure è sotto gli occhi di tutti la necessità di risposte coordinate più ampie soprattutto oggi che la politica nazionale non appare così adeguata a risolvere le sfide sul tavolo. Perché è necessario che la politica ragioni su scala transnazionale e colga l’opportunità del rinnovo degli organi dell’Unione Europea?

Innanzitutto perché gli economisti calcolano che uno stimolo coordinato ed unitario dei diversi Paesi dell’Unione moltiplicherebbe di almeno il 50% l’intensità e la durata delle misure singolarmente messe in campo.
Non sarebbe inoltre negativo dare un segnale negativo sulle propensioni di alcuni al ritorno di politiche protezionistiche: i benedici di una stimolazione coordinata del mercato porterebbe ad isolare gli Stati protezionisti non facendoli partecipare al beneficio della ripresa economica degli altri.
Non ultimo l’aspetto politico della vicenda, che smaschererebbe i finti europeisti e porterebbe alla discussione aperta i “negazionisti” dell’unità europea. Risulta chiaro che la costruzione di una figura politica ed economica europea, soprattutto quella già presente dell’area dell’Euro, porterebbe una diversa fiducia nei mercati e credibilità anche a livello politico. In sostanza economia e politica oltre a rafforzarsi reciprocamente, sarebbero costrette ad agire in interdipendenza limitando le debolezze di ognuna. Ad esempio agirebbero potenti correttivi alla tendenza generale attuale dove per molti anni sono state le banche a disciplinare i governi e non viceversa.
Penso quindi che sia necessario iniziare a diffidare da tutte quelle forze politiche che non si pongono il problema di una risoluzione della crisi attraverso un sano europeismo dei popoli, che non ci dicono come intendono governare i processi europei, con chi e con quali tempi. A pochi mesi dal rinnovo politico dell’Unione europea è imperdonabile. Anche perché proprio il problema delle politiche fiscali potrebbe rappresentare uno straordinario opportunità per comprendere meglio quali sono le diverse intenzioni delle forze che verranno elette da qui a poco.